Il contributo della nonviolenza

Superare il sistema mafioso

In preparazione al convegno di Palermo del 21 e 22 maggio 2005
18 marzo 2005 - Enzo Sanfilippo

Generalmente si è insofferenti verso la dimensione teorica, che viene considerata astratta e inconcludente. Anch'io sento ormai l'esigenza di confrontarmi sull'azione, di passare alla dimensione dell'esperienza e della verifica. Tuttavia ho percepito più volte che alcuni nodi e alcune resistenze che non ci fanno essere efficaci sul piano del contrasto alla mafia risiedono proprio nel nostro modo di pensare, di concepire le cose, i fatti, i modi di accostarci alla realtà.
Quando si parla di nonviolenza si ha spesso l'impressione che le domande poste, a volte con curiosità, altre con scetticismo disfattista, ci stringano con le spalle al muro, senza darci la possibilità di trovare una risposta, di andare un po' avanti, senza impantanarci.
Siamo schiavi anche noi, infatti, di un pensiero binario che ci fa ripetere le stesse cose, non ci dà alternativa, slancio, possibilità terze anche ai dilemmi che ci si pongono nei termini di possibile/impossibile. Proprio ieri un docente universitario mi diceva: “Secondo voi, il metodo nonviolento è alternativo al metodo repressivo?”. Se rispondiamo di “no”, le due modalità di azione procederanno in maniera parallela, cioè, alla fine, alternativa, e senza alcuna contaminazione: la nonviolenza non intralcerà la polizia e la magistratura e viceversa. Con una risposta affermativa, invece, si aprono mille problemi e mille altre domande del tipo “Come possiamo essere certi che la nonviolenza sia efficace?”, “Pensiamo veramente che si possano contrastare Riina e Provenzano e le varie mafie senza

SUPERARE IL SISTEMA MAFIOSO, CONVEGNO NAZIONALE
Il contributo della nonviolenza
SABATO 21 MAGGIO 2005 DOMENICA 22 MAGGIO 2005
Salone del convento dei Francescani di Baida, Palermo

Interventi di:

R.Altieri (Università di Pisa, Direttore della Rivista “Quaderni Satyagraha”)
R. Bruno (Cappellano del Carcere di Lecce)
M.Cannito (Esperta di Giustizia Rigenerativa,“Witness for Peace”,Washington)
A.Cavadi (Scuola di Formazione Etico-Politica “G.Falcone, Palermo)
A. Cozzo (Docente di Teoria e Pratica della Nonviolenza, Università di Palermo)
A.Drago (Esperto Difesa Popolare Nonviolenta, Primo presidente Comitato di Consulenza presso l'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile),
A. Foti (ARCI Sicilia, Vice Presidente Nazionale di LIBERA),
N.Salio (Centro Studi Domenico Sereno Regis di Torino),
G. Scardaccione, (Esperta di mediazione penale Università di Chieti),
V.Sanfilippo (Movimento dell’ ARCA),
U.Santino (Centro Impastato Palermo),
S.Rampulla (Seminario Nonviolenza, Palermo),
E. Villa, (Libera Palermo)

Gruppi di lavoro su:

– Pratiche di mediazione e di giustizia rigenerativa
– Pratiche di resistenza civile: antiracket boicottaggi
– Difesa Popolare Nonviolenta, servizio civile, contrasto alla mafia
– Strategie educative
– Ruolo delle donne
– Comunità religiose e mafia
– Percorsi di accompagnamento per vittime, testimoni, dissociati

info: v.sanfi@virgilio.it
polizia e carabinieri?” .
Le funzioni giudiziarie, difensive e di tutela dell'ordine sono, nelle nostre rappresentazioni sociali, delegate alle sole istituzioni e generalmente associate alla violenza. Non riusciamo a immaginarle in altro modo. Ma alcune piste cominciano a farsi strada. Per quanto riguarda un possibile uso della nonviolenza tra le forze dell'ordine va ricordato un disegno di legge che, nel 2001, durante la XIV legislatura, prevedeva la formazione e l'addestramento delle forze dell'ordine alla nonviolenza. Questo progetto, rimasto inattuato, ha trovato però una significativa anticipazione a Palermo con l'esperienza di formazione alla nonviolenza condotta da Andrea Cozzo con operatori della Guardia di Finanza e con agenti dell'Arma dei Carabinieri.
Oggi in Italia si è definitivamente sancito che la funzione di difesa può (e deve) esercitarsi anche in forma civile e non armata. Ecco quindi che la domanda posta all'inizio forse non ha più senso. Perché anche le forme istituzionali si modificano (in bene o in male), anche se continuiamo a chiamarle con lo stesso termine.
In questa prospettiva può mutare radicalmente il ruolo creativo della cosiddetta “società civile” che potrebbe aumentare la propria capacità critica, creando degli spazi di sospensione nella dinamica azione-reazione tra mafia e organi repressivi. In modo più esplicito, credo che la società civile (associazionismo laico e comunità religiose) potrebbe identificarsi meno nella richiesta di repressione e più nella ricerca del perché della mafia, anche nel senso (la richiesta potrà apparire provocatoria a molti) dell' “ascolto” e della “comprensione” della violenza mafiosa. A riguardo U.Santino recentemente ha affermato che: “Le ragioni della mafia sono: la violenza per arricchirsi, per comandare, per avere un ruolo sociale. Le dinamiche di causazione sono state indicate dalla letteratura criminologica: deprivazione relativa (condivisione dei fini e non dei mezzi), convenienza della violenza. Dare la parola ai mafiosi, ascoltarli, per una sorta di par condicio? La parola i mafiosi l'hanno già ed è fatta di sangue e di disonore (tutti i delitti, anche quando si tratta di uccidere un bambino, sono in agguato e mai a viso aperto). Tocca a loro dimostrare che vogliono prendere la parola, deponendo le armi”.
E il termine “ragione”non si intende nell'accezione di qualcosa di conforme al giusto o al vero, ma di fondamento soggettivo, intelligibile – anche nei sui aspetti di costrizione interiore a un attore esterno. Nelle scienze sociali ciò ha molto a che vedere con la categoria di comprensione utilizzata da Max Weber. D'altra parte “avere un ruolo sociale” è un bisogno che non giustifica in assoluto la violenza, ma che possiamo riconoscere come un bisogno vitale, la cui negazione è definibile a sua volta come violenza. Appare emblematica, ad esempio, nell'ottica di una lettura “comprendente” la dichiarazione di un collaborante il quale afferma che, prima di entrare in Cosa Nostra lui era “nenti ammiscatu cu nenti” (niente immischiato con niente).
“Dare la parola ai mafiosi” non è un gesto di cortesia, ma in un certo senso un'operazione di terapia sociale (se non individuale) poiché i mafiosi la parola – nel senso che noi attribuiamo a questo termine – non ce l'hanno, è proprio questo il problema!
Tocca a loro dimostrare che vogliono prendere la parola, deponendo le armi: Questo deve essere il nostro obiettivo, non la pregiudiziale per iniziare un lavoro di vera svolta culturale.

Il pensiero nonviolento ci aiuta a ricucire alcune fratture che si sono prodotte nel tempo nel campo della conoscenza dell'uomo e della società (economico, culturale, psicologico, spirituale).
È mia opinione che molti conflitti – e la mafia è uno di questi – si ripropongono a vari livelli e devono pertanto essere affrontati sinergicamente, sia sul piano della conoscenza, come su quello dell'azione.
In un sistema di parti interdipendenti, la mafia, sostiene, ad esempio l'assetto economico globale sempre per il tramite dei sottosistemi politico-amministrativo e culturale. Ciò avviene attraverso il dominio del territorio, i legami di scambio con il mondo politico, l'ingresso dei capitali illeciti nell'economia legale, ecc.
Per tutte queste ragioni, molti studi giungono a vedere la mafia non come fenomeno criminale, ma come possibile deriva del nostro sistema economico mondiale. L'originalità che l'approccio nonviolento può fornire ad un'azione di superamento del sistema mafioso consiste nel raccordare questo piano (macro) con quello (micro) dell'azione interindividuale. Ciò avviene perché la nonviolenza svela una possibile leva di risoluzione dei conflitti. Essa può essere usata a tutti i livelli (micro, meso e macro)
La cerniera tra questi tre livelli è sempre un “lavoro sulle coscienze” o “leva della conversione” (Cfr Lanza del Vasto, Che cos'è la nonviolenza, Jaca Book, Milano, 1978 [ed. orig. 1971], 20): propria, dell'avversario, delle terze parti.
Questo lavoro spirituale ha immediate conseguenze sul piano dell'economia e dei rapporti sociali. Acquisire consapevolezza dello scenario planetario in cui il crimine diventa apocalitticamente “struttura” del mondo, potrebbe lasciarci sgomenti in quanto non riusciamo a scorgere vie di uscita. Ma di fronte alle più grandi ingiustizie e alle più grandi violenze non abbiamo, diceva Lanza del Vasto, che da vivere le nostre relazioni in un modo che, se fosse adottato da tutti, non consentirebbe il sopravvenire di ingiustizie, miserie, guerre.
Abbiamo scoperto che c'è un nesso tra mafia ed economia? Tra mafia e consumismo? Tra mafia e modelli autoritari di educazione? qual è il nostro personale coinvolgimento in questi fenomeni e qual è il modo alternativo di agire?
C'è un modo di aiutare i poveri che non si sostanzia, secondo la consueta metafora, nel dar loro pesci e nemmeno “canne da pesca” (tecnologie e culture inventate spesso a nostra misura). Tale modo consiste, semplicemente, nel non pesare sulla vita di chi possiede meno di noi.
Su questo e su altri temi vorremmo mettere in rete idee ed esperienze. Arrivederci dunque a Palermo.

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