EDITORIALE

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Tonio Dell'Olio

Nessuna incertezza nella condanna della guerra. Oggi più che mai. Oggi più di prima. Senza se e senza ma. Se vi poteva essere qualche dubbio nell'opinione pubblica nel momento in cui l'opposizione, ugualmente decisa e determinata, era mediaticamente rappresentata dagli slogan prima che dall'analisi, dalle previsioni, dal rispetto del diritto internazionale, da valori etici ecc. i risultati nefasti che la guerra in Iraq continua a provocare a distanza di due anni dal suo inizio (19 marzo 2003) sono sotto gli occhi di tutti. A cominciare dal dato molto concretamente drammatico del numero delle vittime riferite dalle fonti super partes che, al 23 marzo 2005 dettagliano in questo modo: iracheni tra17.085 e 19.457, statunitensi 1.524 e altri 176. Dietro ogni unità di quelle cifre ci sono storie, affetti, progetti, sogni e vite definitivamente schiacciate dalla logica perversa della morte, del sacrificio in nome di interessi economici e geostrategici rilevanti per gli Stati Uniti. Queste cifre, da sole, basterebbero a rafforzare definitivamente l'opposizione netta alla decisione che ha portato americani e suoi alleati a dare inizio alla “campagna irachena”. Non sono mancate critiche di disinvolta superficialità ogni volta che abbiamo parlato del fabbisogno energetico degli USA e della loro volontà di predominio nell'area mediorientale.
Oggi è molto più chiaramente sotto gli occhi di tutti che le armi di distruzione di massa non sono state scovate semplicemente perché non esistevano, il dittatore Saddam non era certamente più dittatore di quanti ne presenta il vasto campionario della storia e dell'attualità, la libertà e la democrazia non sono merce di esportazione. Soprattutto non lo sono a tutti i costi. Soprattutto non lo sono con i costi umani che abbiamo citato. Forse il risultato peggiore è la strada che quel conflitto ha aperto a l terrorismo e al fondamentalismo fanatico anche in regioni che prima non lo conoscevano. Persino la democrazia esercitata dal voto nasce zoppa e viziata. Zoppa perché avvenuta senza la reale e convinta partecipazione di tutte le componenti della società irachena e viziata perché immersa e condizionata da un clima di violenze e di pressioni che sono esattamente il contrario della libertà e della democrazia che si volevano acquisire.
D'altra parte proprio gli Stati Uniti ci hanno insegnato che esistono anche altre vie per poter suscitare la libertà nei popoli e, man mano che gli archivi della CIA si aprono al pubblico, nonostante gli omissis veniamo a conoscenza delle operazioni compiute dai servizi segreti americani in America Latina e in Indonesia, in Afghanistan e in Africa… per rovesciare regimi (non sempre totalitari) e governi, scacciare invasori e ristabilire l'ordine senza necessariamente intervenire in maniera diretta ed esplicita, ma aiutando e rafforzando il dissenso interno e le forze della resistenza. La posta in palio in Iraq era molto più alta in termini economici e ancora più urgente. Non poteva evidentemente contemplare tempi lunghi. Per questo si è dovuto far ricorso a un concetto giuridicamente mostruoso come la guerra preventiva. La verità è che l'invasione dell'Iraq non ha costituito soltanto una sconfitta del diritto, della vita, dell'etica e della politica. Ha posto le premesse per giustificare tutti i conflitti in corso e per preparare accuratamente anche i futuri.
È per questo che le pagine di questo mensile non abbasseranno mai la guardia per denunciare la follia della guerra, “alienum est a ratione” come la definiva Giovanni XXIII nella Pacem in terris. Ancor più contribuiranno semmai ad arginare la diffusione delle tossine che la teoria della guerra preventiva ha posto in circolo nella cultura, nella mentalità, nella politica…
Non possiamo mancare in queste pagine di rendere omaggio a Giovanni Paolo II il cui magistero di pace appare oggi un dono prezioso di Dio. In questi giorni sono stati molti coloro che si sono esercitati nel tracciare il bilancio del suo pontificato. A noi sembra prematuro riuscire a dare un giudizio storico complessivo e obiettivo. È certo però che le posizioni del Papa polacco contro la guerra e il ricorso all'uso della forza non hanno mai avuto cedimenti e segnano un punto di non ritorno. Al Pontefice (lett. “costruttore di ponti”) che succede a Giovanni Paolo II spetta di valutare l'urgenza di convocare un Concilio realmente ecumenico sul tema della pace. Una sede così solenne e autorevole avrà il compito profetico di cancellare dalla storia, dalla teologia, dal linguaggio la cifra della guerra secondo una radicalità più evangelica e più… razionale. Da tempo ci siamo iscritti tra coloro che non mancheranno di sollecitare questo futuro per le Chiese e per il mondo intero. La nonviolenza sempre più deve diventare articolo certo della confessione di fede dei cristiani.

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