ARMI

Cinismo a grappoli

Le guerre passano, le bombe rimangono. A grappoli. Si chiamano cluster bomb e uccidono più di altre armi. Prevalentemente i civili. Come mettere al bando questa barbarie.
Nicoletta Dentico

Cluster bombs. Quando Giuliana Sgrena ha parlato delle cluster bombs – le bombe a grappolo – nel corso del suo primo messaggio video in cattività, le ha volute rappresentare come il simbolo più drammaticamente eloquente della natura e degli effetti della guerra in Iraq sulla popolazione civile. E non ha fatto sconti a nessuno nella sua denuncia di queste armi, pur mescolata alla richiesta della sua liberazione. A guardare le fotografie scattate da Giuliana, tuttavia, si ha l’impressione forse un po’ cinica, da addetti ai lavori, che le immagini rendano solo pallidamente l’idea degli effetti che questi ordigni provocano, quando rimangono inesplosi sul terreno, con cariche solitamente più potenti delle stesse mine terrestri. Perché le bombe a grappolo sono progettate per uccidere, non mutilare.

Fascino irresistibile
Il 31 marzo 2003 un attacco USA con munizioni cluster su al-Hilla, nell’Iraq centrale, ha causato la morte di almeno 33 civili e il ferimento di altri 109.

Le dimensioni del problema
Le munizioni cluster sono state usate in almeno 16 Paesi della forze armate di almeno 11 nazioni.
Tra i Paesi colpiti si contano: Afghanistan, Albania, Arabia Saudita, Bosnia-Erzegovina, Cambogia, Ciad, Eritrea, Etiopia, Iraq, Kuwait, Laos, Libano, Russia (Cecenia) Serbia e Montenegro (compreso il Kossovo), Sudan e Vietnam. Le munizioni cluster sono state usate anche nel conflitto delle Falkland/Malvinas. Ci sono inoltre indicazioni non confermate di un loro uso in Colombia, Marocco (Sahara Occidentale), Sierra Leone, Turchia.

Hanno fatto uso di bombe a grappolo in operazioni militari: Arabia Saudita, Eritrea, Etiopia, ex Jugoslavia, Francia, Israele, Olanda, Regno Unito, Russia, Stati Uniti e Sudan.

Almeno 57 Paesi detengono arsenali di munizioni cluster. Solo gli Stati Uniti stoccano oltre un miliardo di sub-munizioni. Spesso considerate armi sofisticate per forze armate avanzate, in realtà la stragrande maggioranza degli stock mondiali è fatta da munizioni costruite con tecnologie vecchie di decenni, a bassa precisione. Fino a poco tempo fa, era consuetudine migliorare la loro affidabilità inserendone una quantità maggiore dentro una stessa bomba cluster per assicurare il successo dell’operazione.

33 Paesi hanno prodotto almeno 208 tipi diversi di munizioni, che contengono una grande varietà di sub-munizioni. I principali produttori sono gli USA, la Russia e la Cina. A parte i paesi Nato e dell’ex Patto di Varsavia, si annoverano tra i produttori di cluster Argentina, Brasile, Cile, Corea del Nord, Corea del Sud, Egitto, India, Iran, Iraq, Israele, Pakistan, Singapore e Sudafrica.

L’esatta dimensione del commercio globale delle cluster bombs non è conosciuta. I maggiori esportatori sono Brasile, Cile, Egitto, ex Jugoslavia, Germania, Israele, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Risulta che alcune modelli di vecchia generazione (con relativi sistemi di lancio) siano stati trasferiti verso eserciti meno avanzati, ciò che potrebbe prefigurare una pericolosa tendenza per il futuro, vista la crescente popolarità di questo sistema d’arma.
Si è trattato di un episodio particolarmente grave, ma non certo anomalo nel contesto del conflitto iracheno. Lo stesso deve dirsi degli scenari bellici in Afghanistan nel 2001 e 2002, o in precedenza, nel 1999, nella ex Jugoslavia: in questi e altri conflitti recenti l’uso di munizioni cluster ha causato un notevole numero di vittime civili. E quel che è peggio (e che troppo le fa assomigliare alle mine terrestri) è che gli ordigni inesplosi lasciati in gran numero dall’uso di queste armi continuano a uccidere e mutilare civili per molto tempo dopo la fine dei bombardamenti: un’eredità della guerra mostruosa, negli anni in cui i sibili e gli sconquassi delle armi sembrano gli unici rumori in grado di colmare il silenzio e lo sbigottimento della politica.
Le forme eleganti delle piccole bombe che restano sul terreno – sia che si tratti delle piccole bombe sferiche (bombies) usate nel conflitto in Vietnam o quelle che assomigliano a lattine di bibite impiegate da entrambe le parti nel conflitto in Kossovo – e i loro colori spesso sgargianti le rendono irresistibili tanto ai bambini quanto agli adulti. I dati della Croce Rossa Internazionale suffragano con forza statistica crescente le indicazioni secondo cui i bambini hanno più probabilità di essere uccisi dall’esplosione delle bombe a grappolo e altre sub-munizioni che non dalle mine, in aree contaminate da entrambi i sistemi d’arma.

Pensate per uccidere
Ma che cosa sono le cluster bombs? Si tratta di armi di grandi dimensioni che si aprono a mezz’aria spargendo ad ampio raggio decine, o addirittura centinaia, di piccoli ordigni (sub-munizioni). Le bombe a grappolo possono essere lanciate da svariati tipi di mezzi aerei, tra cui caccia, lanciarazzi e Armi a effetti combinati. lanciamissili, che le spargono da quote altissime (spesso 5000 metri) così da dilatarne la capacità – peraltro già militarmente assai apprezzata – di ampia dispersione sul territorio. Sono infatti armi cosiddette “d’area”, capaci di diffondere i propri contenuti su un’ampia superficie. Popolari perché hanno un’impronta di morte elevatissima, quindi. Le sub-munizioni sono progettate in modo da esplodere al momento dell’impatto con il terreno, a differenza delle mine che invece hanno bisogno del contatto con la vittima per essere attivate. Ma troppo spesso capita che siano difettose e l’elevato tasso di errore nel funzionamento (5%, dicono i produttori; dal 20 al 55%, segnalano altri esperti), rappresenta una minaccia umanitaria destinata ad aggravarsi su scala esponenziale se l’utilizzo di questo sistema d’arma non verrà fermato. Anche perché ormai il loro utilizzo in aree urbane densamente popolate è divenuto la norma…
Ma anche volendo prendere per buone le rassicurazioni sul funzionamento delle bombe a grappolo spavaldamente propugnate da chi le fabbrica, gli scenari sono tutt’altro che rassicuranti per chi resta a vivere nei Paesi colpiti. Tra ottobre 2001 e marzo 2002 sono state sganciate in Afghanistan 1.228 bombe cluster, contenenti 248.056 sub-munizioni. Nel migliore dei casi (5% di

L’attività di sminamento
Lo sminamento – o, più correttamente, la bonifica – è l’insieme delle operazioni che permettono di eliminare dal terreno tutti gli ordigni esplosivi, regolamentari e non, rinvenuti. Infatti, spesso su territori dove si sono consumate delle guerre, oltre le mine, rimangono anche diversi e pericolosi ordigni inesplosi (UXOs) che producono, di fatto, gli stessi effetti. Tra questi le bombe a grappolo.
La bonifica operativa è il complesso delle attività effettuate durante un atto esecutivo ed è attuata attraverso mezzi meccanici ed esplosivi. La pericolosità residua è più alta rispetto alle bonifiche manuali. Questo rischio più elevato è accettato a fronte di una maggiore celerità degli spostamenti di uomini e mezzi, e comunque, l’impegno, è normalmente limitato alle zone di territorio utilizzate dagli stessi militari, e assicura un grado di affidabilità del 60-70%.
La bonifica umanitaria, per standard imposti internazionalmente, deve raggiungere risultati di affidabilità pari 99,6% e non può accettare alcun rischio residuo se non quello dell’evento casuale. L’unico modo per ottenere risultati vicini a questo standard è affidarsi a un lavoro lento e faticoso quale quello della bonifica manuale.
Fonte: http://www.campagnamine.org
margine di errore), sarebbero comunque rimaste sul terreno di un’area già ampiamente battuta dalle mine più di 12.400 ordigni inesplosi innescati. Tra i 127 civili uccisi dall’ottobre 2001 al novembre 2002 si contano pastori che portavano le greggi al pascolo, contadini che aravano i campi, bambini che raccoglievano la legna… una storia già abbondantemente raccontata con la vicenda delle mine, per rimuovere le quali almeno gli afgani hanno sviluppato una capacità locale straordinaria. Adesso hanno dovuto ricominciare da capo con le bombe a grappolo, molto più pericolose da rimuovere: infatti devono essere fatte esplodere, una a una, sul luogo dove si trovano. In Iraq, durante le tre settimane campali di bombardamenti nella primavera del 2003, le forze armate americane e inglesi hanno sganciato circa 13.000 bombe, per un totale di 1,8-2 milioni di piccoli ordigni. Le ricerche condotte sul campo dall’organizzazione Human Rights Watch sono giunte alla conclusione che proprio queste operazioni sono state tra le principali cause di morti civili, con centinaia di morti e feriti fra la popolazione civile a Bagdhad, al-Hilla, Bassora, al-Najaf. Potrebbero essere 200.000 le piccole bombe inesplose sul terreno.

Verso una moratoria mondiale
Negli ultimi dieci anni, la comunità internazionale ha messo al bando due tipologie di armi – le mine antipersona e i laser accecanti – per motivi umanitari. Ora, le munizioni cluster stanno emergendo come la categoria di armi per la quale si rende necessaria una legislazione più decisa e severa, a

Le cluster bombs e l’Italia
Il nostro Paese risulta avere uno stock di bombe a grappolo ed è uno dei probabili produttori di queste armi. Anche se non ci sono a oggi dati attendibili in merito alla quantità o ai modelli prodotti, pare che l’Italia sia coinvolta in ben quattro progetti multilaterali di produzione con regno Unito, Francia, e Germania.
Da fonti riservate di esperti del ministero della Difesa risulta che siano state distrutte le quantità di cluster bombs di cui era dotato l’arsenale italiano, in base alla legge 374/97 che mette al bando le mine antipersona, nell’articolato della quale vige una definizione di mina fondata sull’impatto e non sulle caratteristiche tecniche dell’arma. Questa è sicuramente una buona notizia.

Ma proprio per questo motivo la Campagna Italiana contro le Mine sta promovendo in sede parlamentare iniziative volte alla messa al bando unilaterale delle cluster bombs. Un disegno di legge, il cui primo firmatario è il senatore Nuccio Iovene, ma che gode del sostegno di diversi parlamanetari anche della maggioranza, è arrivato al Senato alla fine di febbraio. Con questo provvedimento l'Italia può diventare l'apripista per la messa al bando di questi ordigni. È una battaglia di civiltà, come quella contro le mine antipersona.

Per maggiori informazioni
http://www.campagnamine.org
oppure
http://www.cmc-international.org
livello nazionale e internazionale, per proteggere la popolazione civile durante i conflitti armati. Molte delle argomentazioni da mettere sul tavolo replicano il repertorio delle mine terrestri – la non discriminazione fra civili e combattenti, la imprecisione nel puntamento, il pericolo a lungo termine – e gli effetti delle bombe a grappolo nulla hanno da invidiare alle mine, anzi: la Campagna inglese “Killing Secrets” pubblicò nel maggio 1999 un rapporto che definiva la sub-munizione BLU97/B inesplosa “una potentissima mina antipersona”, per usare le parole dell’autore Rae McGrath, il quale metteva in evidenza come l’uso di queste armi in Kossovo da parte della Nato avrebbe finito per danneggiare mortalmente le stesse persone che si intendevano “liberare”. Nello stesso spirito della mobilitazione mondiale contro le mine, quindi, si è creato a livello internazionale un movimento sostenuto da ONG, e dalla Croce Rossa Internazionale per fermare la proliferazione e gli effetti devastanti di queste armi, prima che sia troppo tardi. Questa Coalizione contro le Munizioni Cluster (CMC), raccoglie oltre 90 distinte realtà su una piattaforma minima che prevede una moratoria mondiale sulla produzione e commercio delle cluster, l’assistenza alle vittime, e la accettazione, da parte di quanti fanno uso delle cluster bombs, di una speciale responsabilità per la bonifica dei territori. La strada sarà lunga e in salita, non sarà forse possibile ripetere il miracolo del decennio passato con il Trattato di Ottawa, ma esiste di sicuro l’urgenza di riportare sulla scena internazionale iniziative multilaterali capaci di re-inventare metodi di una diplomazia della pace possibile. Per la Campagna Italiana contro le Mine, da dieci anni a fianco delle popolazioni costrette a convivere con la pesante eredità della guerra, aderire a questa coalizione e raccogliere la sfida di questa nuova battaglia di giustizia è un passo naturale e necessario. Nel momento in cui la guerra ha cambiato regole per diventare mezzo di governo del mondo, trincea globale e incontrollata, il diritto internazionale – con i suoi vincoli pur disattesi e oggi quasi definitivamente scompaginati – è l’unico appiglio che resta contro la barbarie e la legge del più forte.

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