Cartoline di precetto
Tradisce la sua emozione quel giovane in seconda fila, segnato dall’immenso dolore che hanno impresso in lui le immagini del film “Né muri né silenzi” appena terminato; alza la mano e sconsolato pone la solita domanda che non manca mai ad ogni serata che noi del Punto Pace di Venezia organizziamo per la Campagna “Ponti e non Muri”: “Ma io cosa posso fare?”
È il costante senso di impotenza che cattura tutti non solo di fronte a un conflitto che insanguina da mezzo secolo la terra che le Nazioni Unite avrebbero da decenni destinato a due popoli, ma anche di fronte a un’enorme e sottaciuta ingiustizia per la quale, dopo aver invocato caparbiamente l’intervento diretto dell’Onu, restiamo tristemente inerti.
Per contrastare questo sentimento di impotenza, la Campagna di Pax Christi contro il muro dell’apartheid sta attivando migliaia di semplici cittadini e gruppi in un’opera di sensibilizzazione attraverso cui anche il semplice gesto di compilare e spedire una cartolina di denuncia diventa inizio di un’inedita presa di coscienza personale e sociale.
Con una sola cartolina
Ci stupiamo ogni volta che vediamo i protagonisti di questo conflitto,
Eppure… eppure alla nostra segreteria nazionale ogni giorno arrivano cartoline di ‘invio effettuato’: un’incalzante, cocciuta domanda di pace si leva dalla società civile. Che quindi vigila e riflette sui progetti dei potenti, che può e deve diventare voce da ascoltare…
Cosa possiamo fare? Forse poco. Dipende dai ruoli che ciascuno gioca nell’unica vita ‘valida’ per tutti. Di certo qualcosa. Come l’invio di una cartolina.
Conti in sospeso
Significativo è il risultato ottenuto con una campagna di contro-informazione da un caparbio giornalista di Ha’aretz. Meron Rapaport ha denunciato l’assurda
decisione del governo israeliano di applicare in segreto una legge sulla proprietà degli assenti che nel 1950 era servita a confiscare le terre di migliaia di Palestinesi espulsi nel 1948. Da giugno scorso l’ennesimo atto di illegalità del governo di occupazione fa sì che i proprietari scoprano improvvisamente che i loro possedimenti sono stati “trasferiti” alle autorità israeliane. La denuncia del giornalista si è diffusa a macchia d’olio raccogliendo sempre più consensi, fino a ottenere la revoca del procuratore generale. Certo, questa è solo una piccola goccia nell’oceano di un’illegalità che maschera il “disimpegno” da Gaza come gesto di pace affermando pubblicamente che in realtà “serve a evitare e congelare il processo di pace” (Weisglass, principale consigliere di Sharon, ottobre 2004), cioè a rafforzare la colonizzazione in Cisgiordania fino a rendere impossibile la costituzione di un futuro Stato palestinese. E a detta dello stesso Sharon “le colonie in Cisgiordania saranno parte dello Stato Ebraico in futuro” (15 febbraio 2005). L’espansione degli insediamenti, che la Road Map chiede sia fermata completamente, prosegue ovunque proprio mentre viene data al mondo una speranza di pace a Sharm El Sheikh (ben 3500 nuove abitazioni e 99 “avamposti” che incrementano la quantità della terra colonizzata).
Il cessate il fuoco sarà importante solo se si arriverà ad affrontare e risolvere le questioni di fondo rimaste sul tavolo di Camp David e Taba: i confini del ’67 per uno Stato di Palestina, Gerusalemme capitale (ora sempre più stretta da immensi quartieri-colonie), i 300.000 Israeliani che occupano illegalmente i territori palestinesi, i milioni di profughi e le migliaia di prigionieri palestinesi. Tutto questo e non solo l’arresto degli attacchi terroristici – che ne sono la gravissima conseguenza – saranno le chiavi per la pace.