Elogio di un fuoriuscito
“È la fine, per me l’inizio della vita”.. Un uomo che ama a tal punto la vita, da cogliere persino nel suo termine un inizio. Questa è l’ultima testimonianza verbale che Bonhoeffer ha lasciato, salendo al patibolo, la mattina del 9 aprile 1945. Ma insieme alle parole ultime, ciò che è eloquente di lui, è innanzitutto la vita reale. Preoccupata di essere fedele alla Parola che chiama e che consente di esistere. “Esistere, nel senso più rigoroso del termine”, che – come precisò egli stesso in Sequela – aveva il significato di “fuoriuscire”. Il grembo da cui venire fuori, e che si intuisce da una visione complessiva di lui, pare essere quello che rinchiude l’essere umano attorno alla sua unica vita. Quale grande amore deve essere Dio, che in questo oscuro nido raggiunge l’uomo e lo trae di nuovo alla terra, con una
La chiesa confessa di aver assistito all’uso arbitrario della forza brutale, alle sofferenze fisiche e spirituali di innumerevoli innocenti, all’oppressione, all’odio, all’assassinio senza elevare la propria voce in loro favore, senza aver trovato vie per correre in loro aiuto. Essa si è resa colpevole della vita dei fratelli più deboli e indifesi di Gesù Cristo. [...]
La chiesa confessa di aver assistito in silenzio alla spoliazione e allo sfruttamento dei poveri, all’arricchimento e alla corruzione dei potenti. La chiesa confessa di essersi resa colpevole verso le innumerevoli persone la cui vita è stata distrutta dalla calunnia, dalle delazioni, dalla diffamazione. Non ha rinfacciato al calunniatore la sua ingiustizia e ha così abbandonato il calunniato al suo destino. La chiesa confessa di aver desiderato la sicurezza, la tranquillità, la pace, il possesso, l’onore a cui non aveva diritto e di aver così stimolato anziché frenato la cupidigia degli uomini.
Amore che precede
Sorprende vedere come in Bonhoeffer alcune categorie teologiche siano connesse a dinamiche relazionali, ad atti di vicinanza o di ripulsa, incontri gravidi di conseguenze, che precedono i suoi pensieri e le sue scelte etiche. La riflessione teologica sembra innestarsi in processi dinamici e dialettici tra persone, che crescono nella donazione e nel rifiuto, nella rottura e nel legame. Anche l’amore dell’uomo per Dio poggia unicamente sul legame con lui, che intraprende in anticipo la relazione (1Gv 4,19). Di più, Bonhoeffer sostiene che il nostro amare consiste innanzitutto nel gradire l’amore di Dio in Gesù Cristo, nell’accettare la sua elezione. È difficile trovare i motivi dell’amore. Forse ciò che affascina di più è esattamente il fatto che l’amore non ha ragioni. La precedenza dell’amore di Dio rispetto all’uomo, non ha neppure lo scopo di mettere in moto una corrispondenza che dipenda da capacità umane. Amare Dio consiste nel subire la trasformazione di tutta l’esistenza ad opera sua. Quello dell’uomo, si può così definire un amore passivo, in senso teologico. È amore, non al modo di una pigra attesa che esclude pensieri, parole e azioni, ma all’opposto esso è passivamente pieno di attività. Risuona come contrappunto al cantus firmus di Dio e della sua eternità. L’immagine che Bonhoeffer fa udire canta l’amore umano in tutta la sua piena autonomia e allo stesso tempo, nella necessaria relazione all’amore di Dio. I rapporti che si creano, allo stesso modo di Cristo, non hanno lo scopo di cercare corrispondenza, ma semplicemente l’altro. Solo attraverso questa via è possibile il riconoscimento della differenza, alla quale viene dato valore di possibilità. E quando l’apertura all’alterità è vissuta nell’accoglienza del limite che ne distingue il mistero, è aperta la via alla comunione. Proprio dalla preoccupazione per le persone, senza le quali non potremmo vivere, riconosciamo come la nostra vita sia intrecciata con quella di altre persone, e che non siamo affatto dei singoli. In questo decentramento dell’io da se stesso, la vita sulla terra riceve il suo senso divino e si dona nel servizio.
A impreziosire il campo delle relazioni, vi è ciò che Bonhoeffer chiama, il raro fiore dell’amicizia. Lasciato fiorire al fianco del campo del pane quotidiano, che solo il linguaggio della poesia custodisce nella sua
Lettera del 21 luglio 1944
Vita nella morte
Bonhoeffer non ricerca la morte, ma osa e rischia l’amore nella libertà dell’azione. È questo un passo che compie mosso dalla spinta a entrare in una vita nell’amore di Dio e cioè – parole sue – a entrare nella realtà. Questo ingresso appare come una sintesi della relazione con Dio, con l’altro da sé, con la Chiesa e con il mondo. Esso è reso possibile dalla grazia divina, che nell’incarnazione espone se stessa all’ambiguità mondana e che prende forma nell’uomo. Ma quando gli scenari della realtà sono pervasi da conflitto e morte, che governano selvaggiamente, cosa può significare per un Cristiano resistere al male? I Cristiani non vengono mossi ad agire dalle esperienze fatte sulla propria pelle, ma da quelle sul corpo dei fratelli, per amore dei quali Cristo ha sofferto e che in questo caso hanno i volti, i nomi, o anche solo dei vincoli sponsali, di fratelli stranieri, figli del popolo prescelto da Dio. Per questi altri, il Cristiano accetta l’ora e si sottopone al pericolo. Mediante la compassione viene introdotto nella comunione di Dio con il mondo attuata in Gesù, nell’amore per l’uomo reale e diviene uomo completo. Un uomo reso capace della stessa fecondità di Cristo, pronto cioè a restituire vita. L’amore per il Cristiano è un imperativo che corrisponde alla disponibilità a patire per l’altro, la terra, il futuro. Si tratta di una grazia cara, che non fa altro che avvicinare alla perfezione dell’amore.
Inizio dalla fine
L’amore, che si abbandona e si identifica alla stabilità sinfonica del cantus firmus, diviene, nell’intreccio delle diverse relazioni, due cose insieme: superamento dell’egocentrismo e operosità che accompagna la fede e che consiste nel fare la Parola di Dio. Partecipa all’amore originario di
All’amico Bethge, 30 giugno 1944
Tra le polveri sollevate dalla guerra nell’aria, in quella mattina del 9 aprile, respiriamo profumi simili a quelli dell’alba di Risurrezione di Cristo, che ha significato nuovamente, come solo nell’essere-per-altri si può davvero vivere. Nella vittoria della vita sulla morte diviene reale la possibilità di proseguire in modo altro la relazione. Ancora, il nostro, risulta essere il Dio amante della vita.