CONCILIO

Dogmi o pastori?

Ripercorrere le sfide lanciate dal Concilio Vaticano II. Riprendere a sognare.
E a tracciare una Chiesa nella sua dimensione profetica.
La parola a un padre conciliare.
Mons. Luigi Bettazzi

Non mi arride l’idea di un nuovo Concilio. Lo stesso Card. Martini, nel Sinodo dei vescovi europei, non chiese un nuovo Concilio, ma riunioni di tutti i vescovi per alcuni temi cruciali, ad esempio la sessualità e la bioetica. Perché i Concili, come i Sinodi, sono efficaci se vengono condotti in maniera veramente collegiale. Il Concilio Vaticano II è risultato profondamente innovatore perché, giunto di sorpresa, quindi senza una preparazione approfondita al centro, si aprì veramente al contributo e alla responsabilità di tutti i vescovi. Al contrario gli stessi Sinodi, impostati e gestiti dal centro che poi ne ricava alcuni suggerimenti – praticamente già scontati – non costituiscono momenti di autentica spinta per la vita della Chiesa.
Se poi guardiamo al Concilio Vaticano II, dobbiamo riconoscere che l’apporto tuttora vivo e stimolante è venuto e viene dalle quattro Costituzioni, i documenti che di ogni Concilio hanno costituito il nucleo essenziale. E le Costituzioni realizzavano il mandato di Giovanni XXIII che, indicendo il Concilio, volle che fosse “pastorale” più che “dogmatico”; più che preoccuparsi di definire nuovi dogmi, il Concilio doveva impegnarsi a vedere come presentare alla gente di oggi i dogmi già definiti. E in realtà, per riandare brevemente alle quattro Costituzioni, la Dei Verbum dà la prevalenza alla Parola di Dio sulla elaborazione della tradizione e la proposizione autorevole data dal Magistero.
Così la Liturgia – nella Sacrosanctum Concilium – proporziona la sua efficacia prima ancora che all’esattezza delle formule da enunciare proprio alla consapevolezza e all’impegno con cui si “partecipa”, cioè ci si unisce a Cristo che si rende presente nella definitività della sua preghiera ravvivando in noi la presenza operante dello Spirito Santo.
La Lumen Gentium a sua volta ci presenta la Chiesa non cominciando – come si faceva una volta – dagli aspetti strutturali e istituzionali, quanto dal suo derivare da Dio e dal suo essere “sacramento” di Cristo, in primo luogo in quanto comunione (cioè partecipazione e corresponsabilità, a tutti i livelli). E la Gaudium et spes, sollecitata e ispirata dall’Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris, incoraggia la Chiesa a sentirsi e a vivere non come blocco chiuso contrapposto al mondo, bensì come fermento dell’umanità nel suo cammino verso il “regno”.
Credo che questo richiamo alla coscienza e alla responsabilità di ogni cristiano sia stato il fondamento del rinnovamento conciliare, richiamandosi in fondo all’antica accentuazione data da grandi teologi medioevali alla “fides qua”, cioè all’atteggiamento personale “con cui” si crede, prima ancora che alla “fides quae”, cioè ai contenuti delle proprie verità.

La sfida della pace
Di qui ha origine anche l’ecumenismo, come attenzione alla fede dei fratelli “separati”, divergente in alcuni contenuti, ma affine per l’intensità dell’adesione personale. Di qui una nuova apertura di simpatia verso tutte le religioni, a cominciare dall’ebraica e dall’islamica, ma perfino la sintonia sui valori umani verso quelli che, lontani dalle religioni, vivono autentiche “fedi” nei grandi valori umani e in generose solidarietà.
Queste ispirazioni non sono state sufficientemente accolte e realizzate, un po’ per la naturale resistenza delle persone e delle comunità a quanto esige conversioni profonde e innovazioni impegnative, un po’ forse perché chi ha responsabilità comunitarie teme sempre che cambiamenti radicali possano sfuggire al controllo della propria autorità. Penso ad esempio come sia più facile verificare l’esatta formulazione delle verità che non il senso e la misura dell’adesione interiore, o come lo sia controllare la regolare attuazione delle norme liturgiche più che l’intensità della partecipazione personale. Anche gli organismi comunitari – dai Consigli parrocchiali ai Sinodi dei vescovi – stentano a trovare una loro aperta vitalità, mentre preferiamo moltiplicare le iniziative “nostre”, ecclesiali piuttosto che partecipare in piena parità alle attività della società.
Questo corrisponde al Mistero dell’Incarnazione, che porta Gesù a morire e a risorgere in tre giorni dopo aver predicato e compiuto miracoli per tre anni, ma dopo aver per trent’anni vissuto una vita di assoluta uguaglianza con la gente del suo territorio, tanto da meravigliare i suoi concittadini quando sentono i messaggi e vedono le opere di quest’uomo che ha condiviso, in assoluta parità, la loro vita quotidiana.
Un impegno sincero e fattivo sui quattro grandi temi del Concilio (Parola di Dio, Liturgia, Chiesa comunione, Chiesa lievito del mondo), maturato con la partecipazione di tutto il popolo di Dio, con aperture di fiducia (e di rischio!) alla sfida della pace e della nonviolenza, affrontata con coerenza e senza i freni dettati dalle politiche del prestigio e dell’egoismo, rilancerebbe la Chiesa nella sua dimensione profetica e salvifica.
Faccia il Signore che il nuovo Papa sia sollecitatore e guida della Chiesa in una ulteriore piena realizzazione del Concilio Vaticano II.

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