CHIESA

Laici a condizione

È opportuno trasformare il referendum sulla fecondazione assistita in un referendum sul magistero? Si può riprendere a discutere della traduzione politica di queste delicate sfide morali senza invocare il “Gott mit uns”?
Un giro di opinioni. Anche di laici.
A cura di Vittoria Prisciandaro e Luigi Sandri

“Non si tratta di una scelta di disimpegno, ma di opporsi nella maniera più forte ed efficace ai contenuti dei referendum e alla stessa applicazione dello strumento referendario in materie di tale complessità”: così il cardinale Camillo Ruini presidente della Conferenza episcopale italiana, aveva motivato l’invito ai cattolici a non recarsi al voto in occasione del prossimo referendum intorno alla procreazione assistita. Un invito all’astensione che ha fatto interrogare molti cattolici: di fronte ad appelli così netti e all’“unanimità”, come si gioca la legittima autonomia del laicato nelle scelte temporali? Domande che sono circolate, anche tra i politici cattolici di entrambi gli schieramenti, e che abbiamo girato a un vescovo e a due laici.

Casale: Tattica e paura non aiutano la pastorale
Mons. Giuseppe Casale, vescovo emerito di Foggia così ha risposto alle domande di Mosaico di pace: “Ho letto, naturalmente, la prolusione del card. Camillo Ruini, il 7 marzo, al Consiglio permanente della CEI. In essa,

Compatti per necessità
[…] È chiaro il senso dell’indicazione di non partecipare al voto: non si tratta in alcun modo di una scelta di disimpegno, ma di opporsi nella maniera più forte ed efficace ai contenuti dei referendum e alla stessa applicazione dello strumento referendario in materie di tale complessità. In concreto è necessaria la più grande compattezza nell’aderire all’indicazione del Comitato, per non favorire, sia pure involontariamente, il disegno referendario. Da parte nostra ci dedicheremo soprattutto alla formazione delle coscienze riguardo alla dignità della vita umana fin dal suo inizio, alla tutela della famiglia e al diritto dei figli di conoscere i propri genitori. Faremo ciò con quello stesso amore e sollecitudine per l’uomo che si esprime nella cura della Chiesa per i poveri e le altre persone in difficoltà…

Prolusione del card. Camillo Ruini, Presidente Conferenza Episcopale Italiana
Consiglio Permanente, Roma, 7-10 marzo 2005.
mi pare, prevale una visione tattica, rispetto ai contenuti. Mentre in passato noi vescovi abbiamo fatto fuoco e fiamme per chiedere i referendum – sulla legge sul divorzio, nel 1974, e su quella sull’aborto, nel 1981 – e per andare a votare, questa volta abbiamo paura del referendum per cui, con l’astensione, vogliamo farlo fallire. Quindi, facciamo la scelta di tenerci quello che abbiamo ottenuto con la legge in vigore: non è l’optimum, ma ci va bene. Mi pare dunque che la scelta dell’astensione nasca da una valutazione puramente tattica. Diciamo insomma: ‘Teniamoci il meno peggio, perché potrebbe andare ancora peggio’. Non si fa una valutazione di contenuti di valore; si dice: ‘Questa legge è il massimo che abbiamo potuto ottenere, cerchiamo di mantenerla’. Per questo, dinanzi alle parole di Ruini io dico, serenamente, che si tratta di una presa di posizione tattica: valutando il tutto si ritiene che il referendum comporti un rischio, perché potrebbe cancellare alcuni punti della legge in questione, i punti più delicati – circa la fecondazione omologa, la sperimentazione sugli embrioni…”.
“Comunque, vorrei ribadire una mia opinione: ritengo che, prima di andare al referendum, sarebbe stato preferibile tentare ancora una mediazione in Parlamento. È un’opinione che molti condividono, tenendo conto che i problemi così delicati toccati dalla legge non si risolvono a colpi di sì e di no: vi sono delle sfumature, delle particolarità, che andrebbero esaminate e valutate in sede parlamentare. Ciò detto, ritengo il referendum, in sé e per sé, uno strumento legittimo; non mi pare che l’astensione, sia pure con la finalità di cui dicevo prima, sia il modo migliore per affrontare i problemi. Il modo migliore è verificare che cosa pensa la gente. Una volta verificato che cosa pensa la gente, noi vescovi ci dobbiamo rendere conto che non possiamo continuare facendoci difendere da maggioranze trasversali, strumentali. Dobbiamo discutere i problemi con la gente, dobbiamo affrontarli nel luogo opportuno, che è la coscienza delle persone. Perciò dico che a me sembra che la decisione di sostenere l’astensione nasca dalla paura. Ma con la paura non si fa la pastorale. Noi dobbiamo renderci conto – e i due referendum del 1974 e dell 1981 ce lo hanno dimostrato – che tra la gente è diffusa una mentalità di un certo tipo. Allora dobbiamo interrogarci su che cosa debba cambiare nella nostra linea teologico-pastorale. I problemi sulla bioetica sono enormi: vi è un incrocio tra i dati di scienza e i dati di fede. Ad esempio, quando l’embrione diventa persona? Immediatamente alla concezione, oppure in un altro momento, in base a un suo sviluppo? Qui è il punto più delicato. Vi è poi una diversità di legislazione, tra la 194 (la legge sull’aborto) e la legge 40 ora sottoposta a referendum: due normative che non vanno del tutto d’accordo. Quindi, la sfida del referendum dovrebbe essere affrontata. Noi cattolici dobbiamo affrontarla. Il risultato? Dovremo prendere atto dei risultati del referendum, non per piangerci addosso, ma, come cattolici, per domandarci: in questa società, quale è la nostra proposta? Anche dal punto di vista morale, come ci poniamo di fronte a questo continuo cammino della scienza? Forse dovremmo ripensare anche alcune nozioni, come quella di natura come fatto fissista, mentre la natura si sviluppa in un contesto evoluzionista, di cambiamento, di dinamismo. Dobbiamo interrogarci. Allora io penso che, se non
Il Comitato Scienza & Vita
È datato 19 febbraio 2005 il manifesto programmatico del Comitato Scienza & Vita costituito “per impedire il peggioramento della legge 40 sulla fecondazione assistita”. Di esso “fanno parte personalità del mondo scientifico, culturale, professionale, politico e associativo. Il Comitato si propone di promuovere una campagna capillare di sensibilizzazione sui valori in gioco”. E nel manifesto sono sinteticamente espresse tutte le ragioni dell’invito all’astensione: “Davanti al rischio di una società che sembra non farsi scrupolo di manipolare l’uomo, il Comitato indica la scelta del ‘doppio no’: al contenuto dei quesiti referendari e all’uso distorto del referendum in materia di fecondazione”.
vincerà l’astensionismo, alcune risposte che verranno dai referendum potrebbero stimolare un cambiamento in una situazione dottrinale quale è la nostra, che è molto rigida, e che non fa che ripetere alcune norme, alcune indicazioni che andrebbero invece ripensate nella luce del cammino attuale. Questo mi sento di dire, proprio in coscienza”.
Come mai nel Consiglio permanente della Cei vi è unanimismo sulla linea del cardinal Ruini?
“Vi è questo unanimismo perché si ritiene che, attraverso Ruini, sia il Papa a parlare. Vi è un timore riverenziale che non si addice a un consesso di vescovi che dovrebbero, in coscienza, liberamente, esprimere i loro pareri. Personalmente, negli anni 1988-1990, a riguardo dell’unità politica dei cattolici, ho fatto una grande battaglia, nell’Assemblea generale della CEI. Ma Ruini ha difeso fino al 1993 questa unità, salvo poi a fare un cambiamento totale quando si è dissolta la DC”.

Melloni: La bioetica, le Chiese e il corpo della donna
Alberto Melloni è docente di Storia Contemporanea a Modena e Reggio Emilia, membro della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna.
“Le questioni bioetiche sembrano avere sostituito nell’immaginario delle culture religiose il posto che un tempo era appannaggio della morale. […] La bioetica è diventata, nella disciplina cattolica, uno dei pochi modi per poter davvero distinguere fra chi aderisce al magistero e chi lo respinge. La richiesta del presidente della CEI di astenersi ai referendum sulla Legge 40 è esemplare: la manovra dell’astensione (come tale tanto legittima sul piano politico, quanto opinabile sul piano della disciplina) è stata lanciata come un referendum interno alla Chiesa, per distinguere chi accetta ogni indicazione del magistero sulla legislazione a contenuto bioetico e chi chiede di poter disputare pacificamente o di tacere. D’altro canto le questioni della bioetica costituiscono oggi una sfida comune a molti universi religiosi perché – almeno per tutto il lato che riguarda l’inizio della vita – vanno a impattare sul nodo dello statuto del corpo femminile: proprio la valorizzazione della individualità della fede religiosa ha spinto tanta cultura moderna a considerare la inviolabilità di quel corpo, fino all’estremo della decisione su ciò che in esso si compie; dall’altro, nonostante il rifiuto delle ideologie dello Stato, la disciplina ecclesiastica domanda giurisdizione su quel corpo, fino alla decisione dei limiti sui come, sui quando e sui quanto che lo riguardano. Infine le questioni bioetiche sono quelle nelle quali l’idea di ridurre il Cristianesimo a una cultura religiosa civile, adottata a prescindere dall’adesione di fede come mero deposito di ‘valori’ accessibili a tutti, diventa più interessante per la politica, almeno dal punto di vista delle destre. Dagli Stati Uniti all’Europa, infatti, è evidente che tutti i conservatori ritengono che l’ossequio e l’adozione (solitamente molto parziale) di principi religiosi nella produzione legislativa possa essere il modo giusto non per aver l’appoggio delle gerarchie (che non interessa più di tanto), ma per catalizzare il bisogno di sicurezze regressive d’una opinione pubblica terrorizzata dalla globalizzazione e dal multiculturalismo. In realtà, come fu per la morale e la morale sessuale, ciò che deciderà di molte delle questioni bioetiche sarà il costo dei diversi trattamenti e la possibilità che la loro economicità offrirà a tutti di adottarli o respingerli. La laicità di cui la Francia festeggia i cent’anni, è sempre meno adeguata. Perché la laicità era imporre una non-religione (quella della laicità, appunto), con la stessa intransigenza che uno Stato confessionale cattolico avrebbe usato per imporre la religione di Stato. E oggi nemmeno la laicità può essere religione dello Stato, pena l’assurdo di ammettere a scuola il tatuaggio, ma non il velo. Per le Chiese e per la Chiesa

Perché Ruini ha ragione
Il discrimine è dato dal crinale dell’umanesimo
Non sono uno scienziato, né un filosofo, né un esperto del settore. E tuttavia anche a un cittadino comune sulla proposta - oramai legge - della fecondazione assistita si impone una riflessione libera dalle scorie del dibattito politico. […]Il terzo paletto di confine è tra coloro che ritengono di declinare il valore della laicità dello Stato all’insegna dell’indifferentismo e del relativismo etico, e coloro che ritengono che la nostra democrazia e Costituzione si reggono su un quadro di valori condiviso e per nulla neutrale: la persona anzitutto e quella debole in particolare, il valore della comunità e dei legami “solidi”, la solidarietà tra le generazioni e la giustizia sociale. È davvero questa la linea di confine che separa laici e cattolici? Solo i “furbacchioni” che pensano alla politica – quella per niente bella – come unico principio orientatore delle proprie azioni la ripropongono: ma hanno in mente altro, non certo il bene comune.
Edo Patriarca, Portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore.
Fonte: Avvenire, 16 dicembre 2003.


Un discorso pastorale
Io credo che il discorso del cardinale è stato un discorso di natura pastorale e dottrinale. Naturalmente, quando si affermano dei principi di fede che sono poi anche valori universali dal punto di vista etico e dei diritti umani, come il diritto alla vita, bisogna anche trarne le conseguenze. In Italia siamo alle prese con il problema dei referendum che intendono rovinare una legge che certo non è perfetta, ma i cui principi di difesa di tutti i soggetti coinvolti nella procreazione artificiale sono condivisibili. È evidente che proprio muovendo da un piano pastorale e dottrinale, il cardinale non solo possa, ma abbia il dovere di dare delle indicazioni.
Antonio Maria Baggio docente di Etica Politica alla Pontificia Università Gregoriana.
Fonte: Radio vaticana, 8 marzo 2005.
cattolica rimane aperto il problema di trovare un posto nella società e non solo nella mediatizzazione della politica: perché, qualunque sia l’esito delle pressioni e delle negoziazioni che essa apre, rimane poi il problema di comunicare il perdono a chi esce dalle più diverse scelte in materia bioetica, e non cerca un avvocato, ma una Chiesa”.

Bachelet: I laici nella Chiesa
Giovanni Bachelet, docente di Fisica all’Università La Sapienza, ci ha riproposto alcuni stralci della riflessione lanciata su Segno nel Mondo, la rivista dell’Azione Cattolica, in occasione dell’anniversario della morte del padre, Vittorio, ucciso dalle Brigate Rosse, l’11 febbraio di 25 anni fa.
“Rispetto a chi ha il ministero dell’Eucarestia e del perdono dei peccati, i laici non sono utenti e nemmeno una controparte, ma un pezzo della stessa famiglia, un ponte verso il mondo, un prezioso deposito di competenza e responsabilità: Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità… Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. (Gaudium et Spes, 43). Dunque in campi opinabili eppure di vitale importanza, come ad esempio la politica, i ‘semplici battezzati’, individualmente o in gruppo, potevano e dovevano assumere le proprie responsabilità, senza aspettare l’imbeccata dei preti e senza rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa (ivi)”.
“Nel venticinquesimo anniversario della morte di mio padre, alla vigilia di un difficile referendum sulla fecondazione assistita, vale la pena di ricordare le sue scelte in un altro referendum, quello del divorzio. Era convinto, da cittadino e da giurista prima che da cristiano, che la legge Fortuna-Baslini fosse una pessima legge; al referendum, nel 1974, votò si all’abrogazione e lo scrisse anche su Avvenire. Ma in quello stesso articolo, mentre la DC di Fanfani suonava le trombe della civiltà cristiana, Carlo Carretto scriveva una poesia-preghiera ‘Signore, fa che gli Italiani votino no’, e Pietro Scoppola inventava l’astuzia, poi rientrata, dell’astensione (corsi e ricorsi della storia), papà scrisse con garbo che occorreva solo domandarsi qual era il vero bene del popolo italiano, mentre il ‘Gott mit uns’ elettorale non era accettabile da nessun pulpito e faceva male a tutti. Una posizione chiara, che, infatti, nessuno riprese e capì fino in fondo. Salvo forse l’anonimo che, qualche anno prima, gli scriveva lettere tremende, con minacce di morte, per aver rifiutato, da presidente, di coinvolgere l’Azione Cattolica nella raccolta delle firme. Chissà se, più di trent’anni dopo, le cose andranno meglio”.

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