Cercatemi e vivrete
Se anche voi doveste decidervi a fare l’esperienza che ho fatto io di leggere tutto d’un fiato i nove capitoli che compongono il libro del profeta Amos, vi auguro di avere la forza e il coraggio di arrivare fino in fondo. In genere questa espressione si usa per indicare il potenziale soporifero di un libro noioso oppure per scongiurare il disgusto che può cogliere il lettore lungo lo scorrere delle pagine. In questo caso – credetemi – è solo per dire che non si capirebbe Amos se non si giungesse all’ultima parola del libro. La speranza prevale nonostante tutto.
Il pecoraio di Tekòa
Per dire di una persona che parla in maniera franca, schietta e sincera e che addirittura non ha paura delle reazioni dell’interlocutore, si dice che “non le manda a dire”. Ebbene nel caso di Amos non solo siamo innanzitutto certi che è lui “il mandato a dire” per conto di Dio, ma che davvero parla senza tergiversare, senza allusioni, senza nessuna diplomazia. La sua parola pare definitivamente segnata dalle sue origini. Anche nell’attività profetica egli rimarrà sempre il pecoraio di Tekòa. Sia nel biglietto da visita che offre nelle prime due righe: “Parole di Amos, che era pecoraio di Tekòa, il quale ebbe visioni riguardo a Israele, al tempo di Ozia re della Giudea, e al tempo di Geroboàmo figlio di Ioas, re di Israele, due anni prima del terremoto” (1,1) sia, rispondendo ad Amasia, il sacerdote di Betel che gli rimprovera di prevedere sciagure per il regno del nord: “Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori; Il Signore mi prese di dietro al bestiame e mi disse: Và, profetizza al mio popolo Israele” (7,14-15). Nel lavoro manuale in genere i giri di parole fanno perdere solo tempo e così, vista l’urgenza del messaggio posto da Dio sulle labbra di
questo pecoraio e che né il popolo, né i suoi governanti, né i suoi sacerdoti avvertivano il peso e la gravità della minaccia incombente da parte di Dio, Amos non gliele manda a dire. Persino il grande Girolamo, studioso ed esperto di Scrittura, definisce Amos “imperitus sermone”. Il libro pertanto appare come una litania di distruzioni e di castighi che non risparmia nessuno, né Israele, né i popoli vicini. Senza astrazioni e con un linguaggio duro, energico e conciso, il profeta coglie i problemi, individua le cause e ne prevede il castigo. Secondo molti commentatori è anche la probabile giovane età del profeta a fargli vincere ogni prudenza, ad affermare giudizi netti, a puntare il dito senza troppi scrupoli. Ma proprio questo è il fascino di Amos.
Profeta della giustizia
Nel panorama tetro dei castighi e delle sciagure preannunziate da Amos e impartite da Dio, si fanno largo le pagine più belle e, peraltro più conosciute anche dalla liturgia, di questo libro. Si tratta dei peccati per i quali si scatena questa sorta di ira di Dio. Innanzitutto il lusso che lo costringe addirittura a prendersela con le case al mare e gli chalet dei ricchi possidenti: “Demolirò la casa d’inverno insieme con la sua casa d’estate e andranno in rovina le case d’avorio e scompariranno i grandi palazzi. Oracolo del Signore” (3,15) oppure ancora quando descrive: “Essi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a David negli strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati” (6,4-6). Ora è interessante notare che nessun precetto proibiva di dormire in letti lussuosi o di avvolgersi e circondarsi di tali comodità, Amos non sopporta la mancanza di solidarietà dei ricchi verso i poveri che pure affollano la terra di Giuda e le nazioni circostanti. Infatti accanto al lusso sfrenato, Amos indica le ingiustizie che portano alcuni ad arricchirsi sulla pelle dei poveri. Questo genere di sfruttatori vengono bollati con parole di fuoco dal profeta: “Vacche di Basàn, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri” (4,1) e, ancora: “e voi schiacciate l’indigente e gli estorcete una parte del grano” (5,11). Ma sarebbero ancora tanti i versetti da citare! Pensate poi all’attualità di Amos quando passa a mettere in evidenza e a denunciare con forza l’ipocrisia di chi continua a rendere culto al Signore senza mostrare nella vita di essere credente. Fanno pellegrinaggi a Betel e Gàlgala, offrono sacrifici tutte le mattine, consegnano le decime e adempiono voti di ringraziamento ma: “Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” (5,21-24). È questo che rende culto a Dio, questa inondazione del diritto e della giustizia provocata dalla fede di uomini e donne coerentemente disposte a imitare la misericordia del loro Dio. Infine Amos attacca la falsa sicurezza religiosa, ovvero la presunzione del popolo di Israele di pensare di salvarsi per la sola appartenenza al popolo prescelto. “Non siete voi per me come gli Etiopi, Israeliti? Parola del Signore. Non io ho fatto uscire Israele dal Paese d’Egitto, i Filistei da Caftòr e gli Aramei da Kir?” (9,7). Al centro della dura contestazione di Amos vi è però il richiamo al popolo con le parole di Dio che esorta tutti: “Cercatemi e vivrete” (5,4-6). È in questa offerta di vita nuova che si stabilisce il patto tra Dio e l’umanità che accetta di cercarlo lungo le strade della giustizia e del diritto.
Caro Amos,
senti ancora l’odore delle greggi sulla tua pelle? I tuoi piedi hanno fatto fatica a convertirsi dalle transumanze pastorali all’annuncio di verità scomode per ben altri greggi? Hai trovato sconvolgente la differenza tra la docilità delle tue pecore di Tekòa e i caproni testardi, infedeli e traditori di Israele?
Non so se sei pronto a confidarmi quante volte hai avuto nostalgia dei pascoli di quella terra appena a sud di Gerusalemme. Anche a te come a decine di personaggi biblici quella chiamata ha sconvolto la vita. La sconvolgerebbe anche a noi se fossimo ancora capaci di ascoltare chiamate di Dio e profezie nella storia.
Chissà quante volte però anche tu sei stato tentato di tornare a Tekòa. Oppure no. Le tue intemperanze giovanili, che ti fanno tanto simile ai no-global dei nostri giorni, ti hanno portato a preferire quel girovagare profetico al destino segnato della pastorizia. Ed è stato sogno, impegno, lotta, contestazione, progetto… bruciarsi come incenso di vita dinanzi al Signore che ripaga anche con lacrime di gioia e parole di tenerezza.
Sono convinto, Amos, che quando sogni che scorra “come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” (5,24), da tempo hanno fluito anche le tue lacrime per le incomprensioni impreviste di quelli più vicini, le derisioni della gente, le opposizioni del trono e l’invidia dei sacerdoti. Eretico scomodo quando, a muso duro e senza sconti, rimproveri: “Voi cambiate il diritto in veleno e il frutto della giustizia in assenzio” (6,12).
Non c’è eversione più pericolosa per i poteri di ogni epoca che quella di gridare la verità ad alta voce. Se c’è un ruolo profetico che tutti siamo chiamati a svolgere anche oggi forse è proprio quello di gridare quanto più è possibile dai tetti delle case ciò che si dice di nascosto o che non trova “ospitalità” nei telegiornali e nei servizi televisivi. Chissà, forse abbiamo bisogno di delineare un ruolo profetico dell’informazione? Sicuramente è divenuto ancor più urgente oggi innestare frammenti e provocazioni di profezia nella politica e nelle istituzioni.
Oh Amos, voce dei poveri, coscienza delle genti, sassolino scomodo nei sandali dei ricchi, aiutaci a lasciare da parte le convenienze e i calcoli opportunistici. Sia ferma la voce del popolo profetico che, denunciando l’ingiustizia e pretendendo che il diritto ritorni nelle aule dei tribunali e nella vita d’ogni giorno, annunzino il cuore stesso della tua profezia: “Cercate il bene e non il male, se volete vivere, e così il Signore, Dio degli eserciti, sia con voi, come voi dite. Odiate il male e amate il bene e ristabilite nei tribunali il diritto; forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe” (5,14-15).