Liberarsi dalla morsa della n’drangeta
Numerosi attentati e minacce si susseguono in Calabria da alcune settimane e bisogna domandarsi il perché di questa recrudescenza criminale. Vengono inviati proiettili di pistola a sindaci appena eletti, viene versata benzina sul portone del Comune di Lamezia Terme, vengono fatte minacce al presidente neo eletto della regione Calabria, all’assessore alla sanità, alla CGIL e ad alcuni suoi dirigenti, al presidente dell’Unione degli industriali, proprietario dell’azienda Callipo.
Appare chiaro il messaggio minaccioso della criminalità organizzata di fronte a cambiamenti delle amministrazioni pubbliche e di fronte all’insediamento del nuovo sindaco di Lamezia Terme. La ‘ndrangheta sente il bisogno di riaffermare il proprio controllo su tutto il territorio regionale e lo fa senza alcuna distinzione. La minaccia è rivolta alle istituzioni, al sindacato e agli imprenditori, quasi a voler significare che in Calabria non è possibile alcun tentativo di cambiamento… la società nel suo insieme, le relazioni fra le forze politiche, sociali ed economiche, l’intera economia e lo sviluppo devono essere nelle mani e nel pieno controllo della criminalità che vuole sostituirsi alle istituzioni dello Stato e vuole far propri tutti i canali dell’economia e della pubblica amministrazione. Si tenta di mettere una grave ipoteca a uno sviluppo ordinato e corretto della società calabrese di imporre, attraverso le intimidazioni e le minacce, la cultura mafiosa. Dal controllo delle cosche a carattere familiare di ciascuna borgata e paese si vuole passare al controllo di tutti i fenomeni che si muovono sul territorio calabrese.
Il caso di Lamezia Terme è emblematico. Il Comune è stato per due anni senza sindaco e senza amministrazione, perché sciolta per mafia per due volte. Appena eletto il nuovo sindaco, immediatamente arrivano le minacce, nel tentativo di asservire la nuova amministrazione. In questa attività di intimidazione non si è risparmiato nessuno, di nessun segno politico, e si è giunti fino alla vice presidente della commissione bicamerale antimafia.
C’è una grave crisi economica, con il Mezzogiorno sostanzialmente abbandonato dalle politiche del governo e con le imprese allo sbando. Niente più incentivi né sostegno agli investimenti nel sud del Paese. Dal canto suo il SISDE nel suo rapporto semestrale sulla sicurezza del 2004, ha sostenuto che “la n’drangheta per la sua spiccata vocazione extraregionale e transnazionale, la solidità dei legami familiari, la perdurante scarsa permeabilità al fenomeno del pentitismo e la pervicacia a cogliere ogni opportunità di illecito guadagno, resta la componente criminale tra le più pericolose, in tutte le sue diverse espressioni”.
Proprio in questa gravissima condizione economica e occupazionale del Paese, la criminalità punta a un controllo totale della pubblica amministrazione e della sua attività economica, che diventa una delle poche fonti di circolazione di risorse e investimenti nel sud e in particolare in Calabria.
Il punto di attenzione della minaccia sono gli appalti pubblici e il loro controllo. Si vuole imporre una nuova stagione di corruzione. Bisogna a tutti i costi interrompere questa escalation della criminalità, perché dalle minacce si passerà alla oppressione e controllo della vita democratica della regione. Già si vedono i segni della diffusione di questa cultura: sempre più spesso le forze dell’ordine e la magistratura scoprono, in varie località calabresi, che piccole questioni amministrative – il diniego, ad esempio, della amministrazione comunale, a modifiche edilizie – provoca l’immediata reazione. Come altrove si ricorre al TAR, lì spesso ci si rivolge a chi può mettere in atto minacce, incutere timore e piegare amministratori o imprese ai voleri dei singoli e della criminalità.
Alla lunga questo stato di cose erode la vita democratica e i diritti fondamentali delle persone.
Si tenta di impedire, in tal modo, che esista un sindacato libero che interpreti e rappresenti i diritti delle persone e del mondo del lavoro per l’affermazione della legalità.
Come è accaduto in questi giorni anche a Comiso in Sicilia: la mafia ha incendiato l’auto della segretaria della Camera del Lavoro, che sta lottando per la legalità degli appalti dell’aeroporto. Bisogna reagire e diffondere una cultura diversa di legalità e di rispetto delle leggi dello Stato e del vivere comune.
Non c’è dubbio che l’alleanza di molte forze, delle amministrazioni e delle forze politiche che le compongono, delle aziende e del sindacato, insieme alle forze dell’ordine e alla magistratura, possono fare molto in termini di azione di contrasto. Ma è necessario che le strutture dello Stato siano presenti e vigili sul territorio. Va ripresa una pratica di stesura e sottoscrizione dei protocolli di legalità su appalti e diritti dei lavoratori e trasparenza del mercato del lavoro, coinvolgendo con un’attività di vigilanza comune le istituzioni e le forze sociali e produttive.
In Calabria, la struttura a carattere familiare e territoriale delle cosche criminali, sembra rendere impenetrabile il sistema criminale a una azione di scardinamento da parte dello Stato.
Non vi sono infatti collaboratori di giustizia di n’drangheta, mentre vi sono collaboratori, i cosiddetti “pentiti”, di mafia e camorra. Bisogna reagire, rompere la cultura omertosa della paura, allargare l’azione di lotta contro la criminalità chiedendo azioni e politiche di governo per lo sviluppo del sud, oltre che investimenti e impegno per azioni visibili di prevenzione e di contrasto della criminalità.