I mulini di don Chisciotte
Una bella notte, senza nemmeno dire addio, Sancio alla moglie e ai figliuoli, Don Chisciotte alla nipote e alla governante, uscirono dal paese senza esser visti da nessuno, e camminarono tanto che all’alba si tennero sicuri che, se anche li cercassero, non li troverebbero.
È da quattrocento anni che Don Chisciotte si aggira fuori dalle corti, senza
che nessuno possa dire di averlo del tutto trovato. Per poterlo almeno incrociare, bisognerebbe rischiare di entrare nel suo mondo, provare a comprendersi davanti al testo, senza far tacere le domande che il nostro mondo ci pone, e in testa a tutte la domanda di pace.
Ma ha senso parlare del contributo che Don Chisciotte può offrire a una riflessione sulla pace? Non è contraddittorio appellarsi al cavaliere sempre pronto a combattere in singolar tenzone per riflettere sulle alternative alla risposta bellica? Certo, l’attualità ci mostra tutta una serie di spudorate appropriazioni indebite, come quelle esibite sul teatrino della politica nostrana: dall’arruolamento di S. Francesco all’uso strumentale della Scrittura. È un modo di considerare il testo come una miniera da cui estrarre ciò che serve ad avvalorare le proprie posizioni. Una lettura a proprio uso e consumo, incapace di un ascolto autentico in quanto preoccupata di cercare conferme a quanto si è già autonomamente deciso. Ma è possibile battere un’altra strada, rischiando di avventurarsi al seguito di Don Chisciotte, perdendo un po’ la testa anche noi, insieme a lui! Del resto la follia sembra essere ingrediente necessario di ogni passione forte: dall’innamoramento alla fede. E il prenderne consapevolezza mediante l’ironia del racconto permette una lettura in profondità di quello che siamo e di quanto speriamo.
Tuo e mio
I detrattori di Don Chisciotte – il curato, il barbiere, la nipote e la governante – attribuiscono la sua pazzia alla lettura dei romanzi cavallereschi, nel cui mondo il nostro cavaliere si sarebbe ingenuamente immedesimato. Anche loro li hanno letti e proprio per questo sono in grado di giudicare i libri pericolosi da quelli di semplice intrattenimento. In qualità di lettori-censori decidono di bruciare in un domestico autodafè i primi, pieni di bugie, di sciocchezze e di stravaganze, pericolosi libri-finestra che aprono lo sguardo su altri orizzonti. Salvano, invece, i libri-specchio, quelli che narrano storie vere, nei quali non c’è nessuna imboscata per il pensiero. Solo questi sono tesori di allegria e miniere di divertimento. Qui i cavalieri mangiano, dormono, muoiono nel loro letto.
Oltre le apparenze
Ma la storia, più che luogo di avventura, mostra il volto dimesso della quotidianità. Tocca, allora, allo sguardo trasfigurante di Don Chisciotte
andare oltre le apparenze: tutto quello che vedeva, con la più grande facilità l’adattava alle sue fantasie cavalleresche e ai suoi erranti pensieri. In tal modo l’avventura diventa commedia, nella quale spetta alla dura realtà infrangere l’aura epica mostrando il volto nero della tragedia. Don Chisciotte la sperimenta su di sé, nelle battaglie perse, nelle ferite riportate; e la vede sul volto di chi vuole soccorrere: non so come lei faccia ad addirizzare i torti – dice un malcapitato spettatore di un’azione salvifica del nostro eroe – Me, di diritto che ero, m’ha fatto diventare torto… Che grossa sventura è stata per me l’imbattermi in lei, che va cercando avventure. Come dice Sancio: succede qualche volta di cercare una cosa e di trovarne un’altra.
Commedia e tragedia sperimentate da chi percorre la storia senza il privilegio di muoversi su corsie preferenziali. Su queste ultime si muovono i protagonisti delle numerose storie inframmezzate nel racconto delle avventure del Cavaliere dalla Triste Figura: anche se devono superare ostacoli e subire prove, le loro vicende sono a lieto fine. Racconti a loro modo epici, senza spazio per il ridicolo della commedia né per lo scacco della tragedia. E così succede che i presunti saggi vivano vite da favola, mentre tocca al pazzo avventuriero sperimentare le durezza e l’ironia della sorte!
Tra saggezza e follia
Misurarsi con il Don Chisciotte significa fare i conti con la storia ingiusta (arida come la Mancia!), con la forza dei propri ideali, e con le beffe ciniche di chi osserva con distacco e giudica come follia ogni impegno per la pace e la giustizia. Lo sguardo di Don Chisciotte si posa sull’ambiguità della vita senza farsene schiacciare; sfida le convenzioni e le presunte ovvietà; prova a tenere insieme, paradossalmente, passione e disincanto. Un’operazione a caro prezzo: come succede ai libri, così anche il nostro eroe viene ridicolizzato e neutralizzato in quanto pazzo. Eppure la sua follia ci può rendere saggi.
L’etica è un’ottica! Lo sguardo di Don Chisciotte resta prezioso per chi osa ancora oggi, ai tempi del “pensiero unico”, “sperare contro ogni speranza”. E, nello stesso tempo, non si limita al gesto epico del gran rifiuto e dell’attesa del sol dell’avvenire. La vita quotidiana richiede una sapienza che è fatta di astuzie, inganni, capacità di sopravvivere anche nei momenti difficili… Come dire: militanza della speranza e leggerezza della sapienza. Due ingredienti che, impastati con l’ironia, hanno la forza, ancora oggi, di far lievitare le sventurate avventure di tutti gli erranti al seguito di Don Chisciotte.