Insana costituzione
Che cosa si può dire ancora sulla riforma costituzionale approvata dalle due Camere, dopo questo, davvero estremo, esempio di arroganza e di eversione da parte della maggioranza? Si può innanzi tutto tornare a segnalare le quattro grandi questioni sulle quali la riforma opera un’alterazione radicale della Costituzione e di ogni possibile equilibrio democratico.
Lo strapotere del primo ministro
Il punto di massima gravità è dato dalla concentrazione di potere nella
Art. 88Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Art. 89Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.
Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Art. 92Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.
Ecco cosa cambia
A tutto questo fa riscontro il depotenziamento di ogni garanzia delle minoranze e di ogni contrappeso. Il presidente della Repubblica, nominalmente riconfermato come garante del sistema, non lo è più, perché privato dei suoi poteri essenziali di concorrere con l’arbitrato alla nomina del governo e allo scioglimento del Parlamento. La sua elezione avverrà praticamente a discrezione della maggioranza parlamentare, così come la nomina dei presidenti dei due rami del parlamento, la nomina alla presidenza delle commissioni (con qualche eccezione) e la decisione di costituzione delle commissioni di inchiesta; come pure non vi è possibilità di ricorso della minoranza alla Corte costituzionale né contro leggi incostituzionali né contro l’abusiva convalida da parte delle Camere di parlamentari eletti in violazione
Non devono, per sé, essere ricollegati a nessuna parte politica, anche se qualcuno dei loro componenti può essere ovviamente di questo o quel partito dell’opposizione.
Non è necessario che ne facciano parte solo esperti di diritto, anche se può essere utile che ci siano o possano essere consultati dei tecnici che garantiscano, per così dire, l’ortodossia giuridica della linea seguita.
Devono dialogare con tutti i cittadini e con tutti i partiti: divulgare il più possibile le proprie conclusioni sulle riforme che vengono proposte; studiare e cercare di capire le reazioni della gente; illustrare il fondamento e i termini tecnici delle critiche e la portata delle proposte alternative.
La grande differenza tra i Comitati e i media, semplicissimamente, la direi così: non creare una suggestione, ma insegnare a ragionare. Questa mi sembra la necessità di una formazione di una vera cultura costituzionale e direi di una vera coscienza costituzionale.
Giuseppe Dossetti (Monteveglio, 16 settembre 1994).
Le regioni – se vedono diminuiti i loro poteri in alcune materie (sicurezza del lavoro, energia, reti nazionali di trasporto, professioni, comunicazione) nelle quali con la riforma del titolo V della Costituzione si era andati troppo oltre – li avranno aumentati, fino a divenire esclusivi, in tema di assistenza e organizzazione sanitaria e scolastica: con l’effetto di dissolvere l’unitarietà di due essenziali sistemi di servizio nazionale che mantengono rispettivamente (e si sa con quali difficoltà già oggi) l’eguaglianza del diritto fondamentale alla salute e la formazione della coscienza civile nazionale delle giovani generazioni.
Il Senato è trasformato, nominalmente, in un organo federale: ma si tratta di un imbroglio, perché niente nella struttura e composizione di questa Camera, eletta con un’ elezione nazionale, assicura la rappresentanza effettiva delle regioni nelle decisioni parlamentari; mentre al nuovo Senato si danno, con poca coerenza e importanti temperamenti a favore del governo, poteri esorbitanti sulle leggi che fissano i principi fondamentali in tema di potestà concorrente regionale.
Una riforma gravissima
La riforma è dunque gravissima, e a parte le incoerenze interne e i sicuri
Aldo Moro (Bari, 21 dicembre 1975, in occasione del trentennale della Resistenza).
Dunque si può dire, senza esagerare, che la riforma abroga nel nostro Paese duecento anni di sviluppi democratici in nome del dogma della maggioranza che può tutto, per cui la critica che essa instauri una forma di dittatura, o di tirannia, o di dispotismo è assolutamente veritiera.
Che fare di fronte a ciò? Poiché tutto lascia pensare che la maggioranza berlusconiana non demorderà dalla riapprovazione della riforma in seno alle Camere sia pur solo alla fine della legislatura, non resta altra difesa, secondo l’art. 138 della Costituzione, che l’appello del corpo elettorale, della minoranza parlamentare e delle regioni dissenzienti al referendum oppositivo (non, come mal si dice, confermativo). Esso avrà verosimilmente luogo dopo le elezioni politiche del 2006, ma va fin d’ora preparato, e lo stanno cominciando a fare i vari comitati per la difesa della Costituzione (a partire da quelli che si richiamano a Dossetti) già costituiti in molte parti d’Italia e di recente coordinatisi nazionalmente. Non è presto per questo lavoro: una parte estesa del corpo elettorale non ha ancora capito il pericolo – che non riguarda l’attuale minoranza ma potenzialmente incombe quale che sia la maggioranza che governi – anche perché è stata in passato fuorviata dalla propaganda per cui il massimo problema italiano sarebbe la scarsa robustezza dei poteri propri del governo, sebbene i comportamenti della presente maggioranza dimostrino bene che così non è.
E comunque l’importanza della posta in gioco è tale che non bisogna lasciar nulla al caso e che occorre premunirsi per una buona preparazione del dibattito pubblico che potrebbe garantire il risultato.