GLOBALIZZAZIONE

Finanza a regime

Una globalizzazione dal volto umano è possibile. Basta rovesciare la dittatura della finanza che domina le istituzioni internazionali come il Fondo Monetario.
Che pure è sorto per sognare “un mondo senza povertà”.
L’impietosa analisi del Premio Nobel Stiglitz.

Vanni Salvemini

Di voci critiche nei confronti della globalizzazione se ne sono levate molte negli ultimi anni. Mai nessuna, però, era venuta da un autorevole esponente delle stesse istituzioni internazionali. Esistono strategie alternative a quelle del Fondo Monetario Internazionale? La risposta è senz’altro affermativa. “Sono strategie, per esempio, che prevedono la riforma fondiaria, ma non la liberalizzazione dei mercati finanziari; che prevedono l’attuazione di politiche della salvaguardia della concorrenza, prima di procedere alla privatizzazione; che garantiscono che la liberalizzazione del commercio vada di pari passo con la creazione di nuovi posti di lavoro”. La parola all’economista e Premio Nobel Joseph E. Stiglitz.

Nel Suo libro La globalizzazione e suoi oppositori (Einaudi) lei assume il ruolo di portavoce dell’intento originario della Banca Mondiale: “Il nostro sogno è un mondo senza povertà”. Il ruolo delle istituzioni Joseph E. Stiglizt. internazionali oggi sembra ben lontano da questa dichiarazione di intenti…
Non esito a denunciare in modo chiaro la contiguità tra le istituzioni del “Washington consensus” e la comunità finanziaria. Il mio giudizio nei confronti delle istituzioni uscite da Bretton Woods – e in particolare del FMI – è severo perché dovevano stabilizzare i mercati e rimediare ai propri fallimenti piuttosto che trasformarsi in strumenti di quello che io definisco il “fondamentalismo di mercato”, come è invece accaduto. Il caso Enron dimostra tutta la debolezza di questo sistema economico e l’incapacità dei mercati di autoregolarsi. La deregulation, applicata dal FMI a tutto il mondo, non può funzionare.

Quali sono gli effetti del “fondamentalismo di mercato” sull’equilibrio generale del mondo?
Parto dalla critica al FMI e in particolare dalla sospensione, da parte del medesimo Fondo, del programma di assistenza all’Etiopia, un Paese con tutti i parametri economici a posto. Risulta quindi evidente come in certi organismi mondiali a errori economici molto gravi – quali ad esempio la chiusura di sedici banche in Indonesia o la sottostima dell’estensione della crisi nel Sud Est Asiatico – si aggiunge la prevalenza data agli interessi dei creditori e della comunità finanziaria occidentale. Proprio nel caso asiatico, l’insistenza nel non ricorrere alle procedure del fallimento e nello scegliere invece un salvataggio, nasconde, oltre a un errore tecnico, un forte interesse di parte. Per quanto riguarda Thailandia, Corea e Indonesia, nella scelta della strategia migliore si è optato per quella che salvaguardasse le probabilità che i creditori fossero ripagati. Non si è invece posto l’accento su cosa sarebbe stato meglio per questi stessi Paesi.

È la prima volta che una critica così profonda alle politiche del FMI viene da un uomo delle istituzioni. Ormai molti economisti condividono la sua stessa “frustrazione”, insieme a operatori economici che pure dal sistema hanno tratto enormi benefici, come George Soros. Quale futuro prospetta?
Dobbiamo lavorare per creare una “globalizzazione dal volto umano”, cioè una globalizzazione della democrazia, dei diritti umani, della società civile, della conoscenza, che rappresenti uno stimolo alla diversità culturale, come è avvenuto per i Paesi dell’Asia orientale che stanno volgendo la globalizzazione a proprio vantaggio. Il tutto sarebbe reso ancora più facile se ogni grande istituzione si ponesse un vero e proprio sistema di accountability che privilegi l’equilibrio generale piuttosto che quello dei pochi. Lo dichiara anche Mikhail Gorbaciov nell’intervista che ha rilasciato a Mosaico di pace (marzo 2005): “Noi stiamo compromettendo gli equilibri naturali del pianeta e non vi sono organismi dotati dei poteri necessari per realizzare una governance democratica e consensuale dei processi, che difenda la collettività umana tenendo conto degli interessi nazionali e di quelli globali. Sia l’Europa che alcune agenzie dell’ONU sono latenti sotto questo punto di vista”. Per superare i numerosi errori commessi dal FMI, ma anche dal WTO e per costruire una vera democrazia è necessario dare voce e ascoltare le opinioni della gente, quando

Il Premio Nobel <i>no global</i>
Joseph E. Stiglitz, nato nel 1943 a Gary, Premio Nobel per l’Economia nel 2001, è ora professore alla Columbia University di New York. È stato membro del Council of Economic Advisors dal 1993 al 1995 durante la prima amministrazione Clinton ed è stato Chief Economist e Senior Vice-President della Banca Mondiale nel periodo 1997-2000. Nell’aprile del 2000 si è dimesso dopo aver constatato “l’impatto devastante della globalizzazione sui Paesi poveri”. In quell’occasione Stiglitz ha pubblicato un articolo molto polemico con il FMI in cui accusava l’organismo finanziario internazionale di non aver saputo gestire la crisi asiatica e la transizione della Russia.
vengono prese decisioni che hanno ripercussioni sulla vita di tutti – con il voto, ad esempio, ma non solo. Ascoltare la gente può essere un modo per contrastare l’amministrazione Bush e in particolare il suo approccio alla globalizzazione, sostanzialmente non democratico.

Oltre alla crisi del FMI, dobbiamo affrontare il problema della povertà e del terrorismo. E siamo costretti a farlo senza il contributo di istituzioni forti…
Certamente, un altro problema da superare è il terrorismo. In nome di questa lotta stiamo compromettendo i nostri diritti civili, stiamo minando le fondamenta della nostra stessa democrazia. La soluzione non è da ricercarsi tanto in una guerra permanente quanto in un’analisi approfondita delle radici del problema. È necessario cercare subito una via d’uscita dalla povertà, dalla disperazione e da tutto ciò che nutre il terrorismo. Ho fiducia nel potere della democrazia, della discussione, della trasparenza. Credo che una soluzione possa essere trovata, nella misura in cui il FMI e la globalizzazione saranno sottoposti a una verifica democratica, e in relazione al cresciuto interesse pubblico, alla maggiore contestazione e pressione per un reale cambiamento, da parte di una popolazione che ha aperto gli occhi verso ciò che la globalizzazione realmente rappresenta. Gente che ora intende far sentire la propria voce.

Lei chiede “una globalizzazione dal volto umano”. Cosa intende?
Anche la globalizzazione può avere in sé molti aspetti positivi. Pensi alla globalizzazione della democrazia, dei diritti umani, della società civile, della conoscenza. E pensi ancora a quanto sta avvenendo in Paesi come quelli dell’Asia orientale, che stanno orientando la globalizzazione a proprio vantaggio. Sono aperti all’export ma non alla liberalizzazione dei mercati dei capitali. Conservano una propria impronta all’economia. Sono riusciti a crescere e a ridurre la povertà, rafforzando – anzi creando – democrazie.
Altrove la globalizzazione rappresenta uno stimolo alla diversità culturale. Ma purtroppo in tantissimi Paesi non è andata così. E non solo per colpa del FMI. Certo, io parlo soprattutto del FMI e delle vicende in cui sono stato direttamente coinvolto. Ma penso anche al WTO: credo che il suo funzionamento sia questione inderogabile da porre il più presto possibile all’ordine del giorno delle nostre discussioni. La globalizzazione richiede un’azione collettiva globale. Un’azione totalmente incompatibile con l’attuale unilateralismo americano.

Esprima un parere sull’ Europa e sul suo ruolo nella geografia degli equilibri che ha appena disegnato.
Per collocazione geografica e soprattutto per tradizione storica, i Paesi europei possiedono sensibilità e consapevolezza sui temi sociali e dello sviluppo di gran lunga superiori rispetto agli Stati Uniti. Il passato coloniale e la vicinanza all’Africa hanno dato all’Europa una natura molto più internazionalista degli Stati Uniti, famosi al contrario per il loro isolazionismo e unilateralismo. Per queste ragioni l’Unione Europea potrebbe agire in modo molto incisivo all’interno delle istituzioni internazionali nella direzione di un riequilibrio delle regole commerciali più bilanciato rispetto alle esigenze dei Paesi in Via di Sviluppo. Nel caso del Fondo Monetario, ad esempio, se si creasse un’alleanza strategica tra i Paesi Europei e i Paesi in Via di Sviluppo, si otterrebbe un’efficace forza di opposizione agli Stati Uniti, che per peso relativo sono ancora l’unico Stato a godere del privilegio di un diritto di veto. L’Europa può giocare un ruolo chiave soprattutto nel ridimensionare il potere del FMI rispetto alla Banca Mondiale. Ad esempio potrebbe puntare a togliere la condizione dell’approvazione del Fondo ai prestiti della Banca Mondiale, annullando in tal modo uno dei principali strumenti a sua disposizione per imporre le proprie decisioni. In questo modo le due istituzioni potrebbero proporre ai Paesi soluzioni alternative ai problemi posti dallo sviluppo e dalle transizioni, migliorando la risposta alle crisi economiche.

In conclusione, tornando al suo libro, potrebbe definire possibile e ottimista la prospettiva delineata?
È un libro fondamentalmente ottimista. Io credo nel potere della democrazia, della discussione, della trasparenza. Il problema alla base di tutto oggi è che il FMI e la globalizzazione non sono stati sottoposti a nessun tipo di verifica democratica. Tutto è stato trattato come un problema tecnico, per esperti. Adesso è cresciuto l’interesse pubblico e anche la contestazione e la pressione per un cambiamento reale.

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