Fili che legano
Tra libertà e istituzione
La sfera del privato, un tempo nucleo delle società moderne, in questi ultimi anni ha sperimentato nuove forme nella struttura, non prive di riflessi sulle relazioni intergenerazionali e sui rapporti di parentela. Diminuzione dei matrimoni e aumento delle convivenze more uxorio, crescita dei divorzi e delle separazioni, aumento delle famiglie monoparentali e ricomposte, declino della fecondità e crescita delle nascite naturali sono i fattori più evidenti, da un punto di vista demografico, dell’evoluzione del nucleo familiare moderno. Se per alcuni si tratta di una rivoluzione che passa sotto silenzio, per altri tale processo è il più visibile tra gli altri di disintegrazione delle società avanzate.
Per un intervallo di tempo piuttosto lungo, si pensava che il nucleo familiare fosse contraddistinto da una dinamica priva di attriti, che non prestava alcuna attenzione ai processi di dissoluzione, peraltro da sempre presenti (cfr. teoria della modernizzazione di Talcott Parsons); soltanto con la rapida accelerazione di tali processi, in ambito sociologico si è reso necessario elaborare schemi interpretativi diversi, ricorrendo a concetti come quello di “famiglia post-moderna” in cui sono maggiormente evidenti i processi di deistituzionalizzazione e di privatizzazione. È necessario ricordare che il confronto sulla famiglia ha sempre oscillato tra posizioni che hanno difeso il modello istituzionale, assegnando a questo in via esclusiva valore e contenuto morale, e posizioni che si sono sottratte a qualunque riferimento all’istituzione.
La moderna deistituzionalizzazione, tuttavia, è un processo inconfutabile e si
Anthony Giddens, in La trasformazione dell’intimità.
Inoltre, l’osservazione sui comportamenti spinge ad avvalorare l’ipotesi secondo cui l’estrema pluralità delle tipologie familiari, che deriva dalla facoltà dell’individuo di sperimentare nuovi percorsi, evidenzia un tratto comune e coerente che consiste nella crescente domanda di autonomia da parte degli individui, anche nei rapporti di coppia. Gli attori sociali, infatti, decidono in piena libertà se sposarsi, convivere, separarsi, procreare, in base alla soddisfazione che deriva loro dal prendere una tale decisione e con tutti i rischi che essa comporta.
Non vi è dubbio che nel porre l’accento sull’autonomia individuale si accresce l’instabilità della famiglia; ma “l’aumento dell’incertezza” è un processo molto radicale nelle nostre società, oltre che inesorabile; incertezza e insicurezza rappresentano, infatti, i costi della progressiva emancipazione della libertà di scelta dell’individuo, la quale mal sopporta i compromessi e le richieste di sacrificio a vantaggio della comunità. Per molti studiosi, la famiglia potrebbe ritrovare legittimità e utilità proprio nel sostenere l’individuo nel processo di autonomia personale. In realtà, nella lenta e faticosa costruzione dell’autonomia individuale, si rende necessario “l’altro significativo” e questo dà origine a una continua oscillazione tra appartenenza e individualizzazione, fusione e autonomia, centralità della famiglia e centralità dell’individuo.
Fili che legano?
Un tratto peculiare di questo processo di costruzione della propria autonomia risiede non tanto nell’aumento di “territori” personali conquistabili dalle parti, quanto piuttosto nella forte rivendicazione di alcuni di questi e nella discrezionale possibilità di una loro negoziazione, anche a costo di una revisione del patto che, fino a quel momento, aveva regolato la vita quotidiana.
“Tutte le relazioni si basano su un contratto rivedibile cui si rinvia quando le situazioni diventano ingiuste od opprimenti”, che, secondo lo studioso A.Giddens, è uno “strumento costitutivo di base” centrato sull’attività di negoziazione, disponibile ai partner quando discutono anche sulla natura del loro rapporto. E qui l’incertezza è senza confini, ma è il prezzo della privatizzazione: processo che ha investito la famiglia soprattutto a partire dall’introduzione della legge sul divorzio. Dalla negoziazione alla negazione, infatti, il passo è breve, giacché quando la finalità cosciente non è più la stabilità del gruppo ma la soddisfazione da parte di ciascun componente dei “bisogni di ordine superiore”, deve essere sempre data la possibilità di uscita dalla relazione. Proprio nella dissociazione tra interesse del gruppo e interesse del singolo è possibile ritrovare l’elemento che dà un senso alle trasformazioni della vita privata, poiché, comprensibilmente, nel tentativo di raggiungere una felicità puramente individuale sia i ruoli che le istituzioni vengono percepiti come scomodi impedimenti o “fili che legano”. Questo perché i bisogni di ordine superiore sono legati alla realizzazione personale e all’emancipazione e sono promossi da un’etica tutta individualista.
Residue funzioni e rinnovate relazioni
L’evoluzione delle società moderne ha consentito alla famiglia, da una parte, di cedere progressivamente ad altri sistemi sociali funzioni che in passato erano di sua esclusiva pertinenza. La famiglia post-moderna pare, infatti, aver perso quel suo ruolo di orientamento o di riferimento per il singolo, essenziale alla strutturazione della sua esistenza. Dall’altra parte, la famiglia ha interamente rivisitato quelle funzioni ancora in suo possesso, come ad esempio, quella socializzativa il cui processo non va più inteso come “acquisizione di valori, norme e abilità” che vengono tramandati mediante i canali della cultura, bensì come progetto che attribuisce senso alle diverse situazioni che via via si presentano all’individuo. La rappresentazione della vita quotidiana come rapida successione di “piccole emergenze” ha permesso all’individuo di isolare il tempo presente sia dal passato, liberandolo da ingombranti promesse di fedeltà e coerenza, sia dal futuro, sottraendolo al compito di assumere impegni per il lungo periodo e deresponsabilizzandolo rispetto alle conseguenze. Non vi è dubbio che l’instabilità dei rapporti umani è una chiara testimonianza del tentativo dell’uomo di impedire ogni fissità, mediante la frammentazione e la separazione del tempo.
Sul piano relazionale, paradigmatico è lo studio realizzato da A. Giddens e,
P. Ronfani, I diritti del minore, Guerini Scientifica, Milano 1985.
C. Lash, L’io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un’epoca di turbamenti, Feltrinelli, Milano 1987.
P.P. Donati, La famiglia come relazione sociale, Angeli, Milano 1989.
A. Giddens, La trasformazione dell’intimità, Il Mulino, Bologna 1995.
J.E. Dizard, H. Gadlin, La famiglia minima. Forme della vita familiare moderna, Angeli,
Milano 1996.
U. Beck, E. Beck-Gernsheim (1996) Il normale caos dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino 1996.
A. De Tocqueville, Dizionario delle idee, Ed. Riuniti, Roma 1997.
V. Pocar, P. Ronfani, La famiglia e il diritto, Laterza, Roma-Bari 1998.
E. Resta, L’infanzia ferita, Laterza, Roma-Bari 1998.
Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999.
E. Scabini, V. Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e tradizioni, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.
U. Beck, I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, Il Mulino, Bologna 2000.
J. Elster, Sensazioni forti, Il Mulino, Bologna 2001.
L’autonomia dei bambini
Il processo di democratizzazione delle relazioni familiari, infatti, subisce negli ultimi decenni un’importante accelerazione, in particolare con i movimenti di emancipazione sessuale, e rompe con la tradizione patriarcale perché la famiglia di oggi mediante gli strumenti della negoziazione e dell’argomentazione appare più incline al dialogo, più liberale e più egualitaria. Più problematica resta, invece, l’applicazione del modello di relazione pura ai rapporti tra le generazioni, essendo particolarmente controverso il presupposto di una reale autonomia del bambino, che spesso altro non è che il senso dell’autonomia attribuito dagli adulti. Il vizio è ricorrente e deriva da una rappresentazione dell’infanzia come stato provvisorio e finalizzato al raggiungimento dell’età adulta. Tale vizio, nonostante il “diritto dei bambini ad essere trattati a tutti gli effetti come pari dagli adulti” impedisce, in realtà, di considerare il bambino un soggetto attivo, che contrariamente al pensiero puerocentrico, diviene solo “appendice di una realtà che lo sovrasta e lo precede”.
Pur se i soggetti che compongono il nucleo familiare sono inseriti in uno schema di rapporti interattivi e di grande reciprocità, il bambino, nella maggior parte dei casi, partecipa passivamente alle decisioni che lo riguardano, essendogli riconosciuto uno spazio minimo di autonomia.
In genere, tutte le riflessioni sulla condizione dell’infanzia esprimono un’ambiguità di fondo che richiama la considerazione del minore contestualmente come soggetto di diritti e come oggetto di tutela. Gli adulti, attraverso figure come quella di potestà genitoriale, attuano forme di sotto-tutela e sottraggono ai minori quote significative di autonomia e libertà. È necessario riconoscere che la situazione è molto complessa, giacché nell’ambito delle relazioni familiari la questione della attività/passività del minore non si rappresenta in modo chiaro e definito. Sia il bambino che il genitore si servono, in vari modi, delle risorse di potere a loro disposizione, al fine di ottenere ricompense e gratificazioni. La problematizzazione della condizione dell’infanzia, in realtà, ha investito ogni aspetto di quel mondo e si è diffusa in tutti i Paesi occidentali, in modo particolare con la pubblicazione degli indici demografici sulla natalità, la cui tendenza negativa è stata interpretata da molti come dissoluzione delle ragioni alla procreazione. Indubbiamente, il calo della natalità ha segnato una tappa vincolante nel processo di trasformazione della famiglia, contribuendo alla scissione tra matrimonio, sessualità e riproduzione, elementi ora tutti alla ricerca di spazi e significati autonomi.
Come si è già detto, la famiglia ha perduto progressivamente alcune funzioni, in particolare con il passaggio della produzione al sistema industriale e ha mutato pure il senso di quelle residue, tra cui quella riproduttiva. Il bambino allora non rappresenta più un capitale ma un costo che la coppia, nell’intimità, decide se sopportare, oppure un “bene di consumo affettivo”, enfatizzando la funzione espressiva. In sostanza, si potrebbe dire, in termini di “funzione di utilità”, che il bambino acquista un senso in base alle gratificazioni affettive che lo stesso riesce ad accordare alla coppia genitoriale.
Se le relazioni sentimentali sono finalizzate essenzialmente al raggiungimento della felicità individuale, connaturale alla realizzazione di un desiderio, il rischio è che i diritti del bambino vengano oscurati da un “diritto al bambino”, inteso come figlio scelto che risponde al desiderio di autorealizzazione degli adulti.
Nei Paesi occidentali, la procreazione si iscrive largamente in questa logica e non è un caso che la quasi totalità delle nascite siano desiderate. Tuttavia, desiderio e privatizzazione delle decisioni pare non accordino particolari privilegi alla condizione infantile, a giudicare dalle ingiustizie e iniquità cui sono sottoposti i bambini.
In conclusione, nel processo di privatizzazione delle relazioni familiari, la rilevanza del minore rimane una questione controversa; da una parte si pone l’accento sull’autonomia del soggetto che deve essere garantita e tutelata dal gruppo, dall’altra si enfatizzano i legami affettivi e la dipendenza del soggetto dal gruppo stesso. Tale tensione non trova una compiuta risoluzione neppure nelle ultime Raccomandazioni e Convenzioni internazionali sui diritti del minore che pure hanno rinforzato, sia in campo giuridico che politico e sociale, il consenso attorno al bene e all’interesse del bambino. I tempi moderni hanno contribuito ad aumentare la complessità già esistente, immettendo nei sistemi sociali la spinta all’individualismo che relativizza il posto del bambino nell’ordine simbolico della società, a dispetto di ogni investimento giuridico.