Cafoni all’inferno
Condizioni di vita inaccettabili per un Paese civile, mancanza di qualsiasi forma di assistenza o tutela, esposizione a maltrattamenti e soprusi, condizioni di salute a dir poco precarie.
È il quadro che emerge da un Rapporto redatto dall’associazione umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere (MSF) sui lavoratori stranieri impiegati stagionalmente nell’agricoltura nel sud d’Italia intitolato “I frutti dell’ipocrisia. Storie di chi l’agricoltura la fa. Di nascosto”.
Un esercito di uomini (e in qualche caso anche donne) giovani, scappati da guerre e miseria e arrivati in Italia alla ricerca di una vita più dignitosa. Questi lavoratori sono sempre più indispensabili per l’agricoltura del Sud, eppure restano “invisibili”, ignorati e privati dei diritti più essenziali, in
Campania - G.B. 25 anni, richiedente asilo liberiano, colpito da spari.
Durante tutta la stagione 2004 (da aprile a dicembre) un’équipe di MSF – un coordinatore, 2 sanitari, un operatore umanitario, 2 mediatori culturali – si è spostata con una clinica mobile attraverso le Regioni del Sud (Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia, Calabria) toccando le località in cui, di volta in volta in relazione alle colture, si concentrano gli stranieri in cerca di lavoro.
Poveri e sfruttati
Nel corso del progetto MSF ha visitato e intervistato 770 persone (su un totale stimato di 12mila lavoratori stagionali immigrati impiegati in agricoltura nel sud Italia). I risultati dell’inchiesta sono allarmanti: la grande maggioranza dei lavoratori incontrati vive in condizioni igieniche e di alloggio inaccettabili, inferiori persino agli standard minimi fissati dall’Alto commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) per l’allestimento di campi profughi in zone di crisi. Per l’allestimento di questi ultimi campi l’UNHCR impone, tra l’altro, la disponibilità di 30mq calpestabili per persona, 3,5mq per persona nei moduli abitativi, la presenza di una latrina ogni 20 persone e di punti per l’approvvigionamento di acqua potabile a non più di 150 metri dall’alloggio. Il paragone con gli standard Unhcr non vuole naturalmente indicare la richiesta da parte di MSF di allestire campi profughi in Italia a favore di richiedenti asilo o irregolari, ma solo fornire un
Calabria - Richiedente asilo ugandese, 33 anni, in Italia dal 2003.
Il 40% delle persone visitate vive in edifici abbandonati; il 36% vive in spazi sovraffollati; più del 50% non dispone di acqua corrente nel posto in cui vive; il 30% non ha elettricità; il 43,2% non dispone di toilette; la maggior parte dei lavoratori immigrati riesce a mangiare solo una volta al giorno (per lo più la sera), anche nelle giornate in cui lavorano nei campi per 8-10 ore; il 48% dei lavoratori intervistati ha dichiarato di percepire 25 euro o meno per giornata di lavoro; molti riescono a trovare lavoro solo per 3 giorni a settimana e le loro entrate sono quindi molto ridotte; il 30% dei lavoratori deve pagare di tasca propria al caporale il trasporto fino al luogo di lavoro (in media 5 euro al giorno). È dunque naturale che il 53,7% dichiari di non riuscire a inviare alcuna somma di denaro nel Paese d’origine. Il 30% degli intervistati ha dichiarato di aver subito qualche forma di violenza, abuso, o maltrattamento negli ultimi 6 mesi in Italia. Nell’82,5% dei casi l’aggressore era un italiano.
Quasi a tutti gli immigrati che hanno richiesto una visita sono state effettivamente diagnosticate una o più patologie. Il 50,9% delle malattie diagnosticate sono di origine infettiva, chiaro indicatore delle loro condizioni di vita, della mancanza di strategie di prevenzione e della promiscuità a cui sono costretti, oltre che della mancanza di accesso a cure (come gli antibiotici) che potrebbero arginare queste malattie. Le malattie maggiormente diagnosticate sono soprattutto patologie dermatologiche (23,6%); parassiti intestinali e malattie del cavo orale (15,5% ciascuna); malattie respiratorie (14,3%, inclusi 12 casi di tubercolosi).
Le malattie più gravi si riscontrano negli stranieri che vivono in Italia da più tempo (18-24 mesi). Il così detto “intervallo di benessere” (tempo che passa dall’arrivo in Italia all’insorgere della prima malattia) si sta sempre più accorciando. Il 10% degli stranieri necessitano di assistenza sanitaria
La mia famiglia si trova in un campo profughi del Ciad ma non riesco a mettermi in contatto con loro, non so se siano vivi o morti.
Richiedente asilo del Darfur, 30 anni, in una fabbrica abbandonata a Metaponto (MT).
Il miraggio della sanità
L’accesso all’assistenza sanitaria pubblica sembra però un miraggio per questi lavoratori. La legge italiana prevede che tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti (compresi richiedenti asilo e rifugiati) beneficino di un’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) alle stesse condizioni degli italiani; gli stranieri irregolarmente presenti sul territorio, in caso di necessità di cure mediche, possono accedere alle strutture pubbliche con la garanzia dell’anonimato (e quindi senza correre il rischio di essere espulsi) grazie al rilascio di un codice numerico detto STP (straniero temporaneamente presente). Questi diritti restano solo sulla carta per la maggior parte degli stranieri impiegati in agricoltura: nonostante la legge, il 75% dei rifugiati, l’85,3% dei richiedenti asilo e l’88,6% degli stranieri irregolarmente presenti visitati da MSF non beneficiava di alcun tipo di assistenza sanitaria.
Il 23,4% dei lavoratori intervistati da MSF sono richiedenti asilo, che ai sensi della legge italiana non possono lavorare. In quanto meritevoli di particolare protezione, dovrebbero ricevere sussidio e accoglienza da parte dello Stato. Questo privilegio tocca ad appena il 6-7% dei richiedenti asilo in Italia. Il 6,3% sono rifugiati; il 18,9% ha un permesso di soggiorno per motivi diversi dal “lavoro stagionale” (studio, lavoro di altro genere, famiglia ecc.); il 51,4% non ha alcun permesso di soggiorno valido. Nessuno degli stranieri visitati da MSF godeva del contratto di lavoro previsto dalla legge per gli stagionali impiegati in agricoltura.
Ammalarsi di lavoro
Migliaia di lavoratori stranieri stanno affollando di nuovo le campagne del Mezzogiorno. Secondo MSF non si può continuare a ignorare la situazione. Le
Le istituzioni e la società civile italiane non possono permettere che decine di migliaia di persone continuino ad ammalarsi mentre lavorano i nostri campi. Non possiamo più accettare che malattie infettive, facilmente prevenibili con condizioni di igiene adeguate, colpiscano buona parte degli stranieri che raccolgono le primizie del Sud. Non possiamo far finta di non vedere questa moltitudine di esseri umani che arriva in Italia fuggendo da guerre e povertà e si trova ammalata dopo meno di 6 mesi trascorsi nel nostro Paese. Non possiamo tollerare che a questi lavoratori sia negato il più elementare diritto all’accesso alle cure.