Mondiale o globale?
La sovranità è qui intesa come la possibilità delle persone, delle famiglie, delle comunità, degli Stati nazionali e dell’umanità tutta di scegliere le proprie forme di esistenza e di emancipazione in coerenza con i propri costumi, culture, tradizioni e aspirazioni. Le invarianti umane alla base di ogni comunità sono la vita e il vivere insieme. Ma le forme in cui ciò si realizza sono varianti culturali decise dalle singole comunità. Questo è quanto da tempo Raimon Pannikar ripete e questi due principi sono stati posti alla base dell’Università del Bene Comune fondata da Riccardo Petrella e del programma di educazione e ricerca della Facoltà della Mondialità da me coordinata. Un programma alternativo e inconciliabile con quello della Globalizzazione. È dagli anni Ottanta che lo slogan dei potenti è TINA (There Is Not Alternative), Non ci sono alternative. Uno slogan che ha trovato terreno fertile anche tra i new global e i progressisti in Italia. In assenza di alternative, si può solo cercare di starci dentro: con la Globalizzazione democratica, la Globalizzazione dal basso, la Globalizzazione dei diritti, la Democrazia globale, il Governo globale, ecc. Insomma, tutti al lavoro per legittimare la Globalità del modo di vivere del mondo ricco, cioè un sistema economico di apartheid, invece di opporsi ad esso. Per governare la Globalizzazione, alla sovranità delle comunità viene opposta quella dei Diritti Umani universali, dei Tribunali Speciali internazionali, delle Carte dei Diritti: tutte, ovviamente, scritte dalle èlite dell’Occidente che di queste cose se ne intendono.
Il Governo Globale
L’idea del Governo Globale (“Cosmopolis” nel linguaggio degli esperti che è un riciclo del famigerato concetto di “villaggio globale”), della Globalizzazione dei diritti, appartiene alle èlite dell’Europa, a quelle che volentieri condividerebbero con l’“amico statunitense” le responsabilità del governo del mondo. “Nel nome dell’universalismo dei diritti si realizza, in realtà, il dominio dell’Occidente sull’intero pianeta” scrive Pietro Barcellona.
I teorici del Governo Globale raccontano che i problemi del mondo sono la povertà, i governi nazionali, e le culture indigene. La Globalizzazione con il suo governo, le sue ricchezze e le sue tecnologie possono risolvere tutto questo. Ma è vero esattamente il contrario. La Globalizzazione con il suo “governo” del mondo (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e
Il Gruppo Banca Mondiale comprende cinque istituzioni: la Banca Internazionale di Ricostruzione e di Sviluppo (IBRD); l'Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (IDA); la Società Finanziaria Internazionale (IFC); l'Agenzia Multilaterale per la Garanzia degli Investimenti (MIGA); il Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie in materia di investimenti (ICSID). Sono 184 gli Stati membri.
La BM iniziò sostenendo la ricostruzione dei Paesi devastati dalla guerra per poi occuparsi principalmente di politiche di sviluppo e lotta alla povertà, finanziando progetti quali dighe, miniere, centrali elettriche, piani di aggiustamento strutturale e l'espansione degli investimenti privati (nel solo 1999, ha investito 29 miliardi di dollari).
L'Italia è membro della BM dal 27 marzo 1947. Partecipa con fondi pubblici e propri rappresentanti nel Consiglio direttivo. Scarsa trasparenza, insufficiente consultazione della società civile, mancato rispetto delle sue norme socio-ambientali e applicazione di un modello di sviluppo esclusivamente basato sul mercato: queste le principali critiche delle campagne di protesta di organizzazioni non governative e movimenti sociali. Presidente della Banca Mondiale è oggi il “falco” Paul Dundes Wolfowitz, prima sottosegretario alla Difesa degli Stati Uniti d’America.
La comunità estende i suoi confini
Un modo diverso di pensare la vita e il vivere insieme è quello della Mondialità, che opera mediante la Mondializzazione. Una realtà che abbraccia gli oltre 6 miliardi di persone fuori dell’apartheid e le migliaia che cercano di abbatterlo dall’interno. Nella Mondializzazione non contano i poteri forti, la finanza e le tecnologie, ma le comunità. Il nucleo primario della comunità è la famiglia e le amicizie più strette, uniti dall’amore e dalla condivisione di un percorso di vita e di un progetto comune di emancipazione. Intorno ad esso ci sono gli amici e i vicini, i cui rapporti sono regolati dall’amicizia. Questi nuclei si caratterizzano per la profonda diversità dei propri membri – di carattere, di età, di sesso, di aspirazioni – che costituisce la ricchezza del gruppo, ed è sempre accettata e protetta. La vita e il vivere insieme sono valori impliciti e comuni. La comunità allargata nasce nel quartiere, nel lavoro, nella scuola, nella chiesa, nel campo sportivo, ecc. laddove il bisogno di regolare insieme funzioni comuni dà luogo ai vari livelli associativi e istituzionali. Quello che unisce e regola questo terzo cerchio del vivere insieme è la solidarietà. Da esso hanno avuto inizio nella storia i movimenti di solidarietà fino, nel secolo scorso, al movimento operaio e ai movimenti religiosi in Europa. Tutto ciò avviene sempre su di un territorio - il villaggio, il quartiere, la città – e dal suo ampliamento nasce lo Stato nazionale.
L’ampliamento dei confini della comunità – dal quartiere/villaggio allo Stato
Con l'insorgere del problema del debito estero dei Paesi in via di sviluppo, il FMI interviene sempre più nelle politiche economiche e di sviluppo dei Paesi. Ha imposto piani di austerità con conseguente taglio della spesa pubblica, licenziamenti e privatizzazioni. Fallimentare la gestione della crisi finanziaria asiatico-russa del 1997 per la quale l'Italia ha versato al FMI oltre 7mila miliardi di lire. Il suo intervento, piuttosto che prevenire le speculazioni finanziarie, le ha legittimate, aumentando i costi sociali e ambientali per le popolazioni di quei Paesi.
Fonte: www.globalizzazione2000.it
Dentro questi confini geografici e culturali è possibile trovare anche comunità multiculturali, proprio per la loro capacità di inglobare la diversità. Ma quando uno o più dei componenti del modello policentrico vengono a mancare, il circolo virtuoso della solidarietà si rompe.
Questo è avvenuto spesso con la costituzione degli Stati nazionali. Quando la loro nascita è avvenuta sul ceppo della comunità, i rapporti interni si sono cementati ed è restato un rapporto armonico tra natura-culture-istituzioni-colture. In caso contrario è ben presto divenuto una camicia di forza della quale ci si è liberati. I Paesi scandinavi sono un classico esempio di entrambe le esperienze. Il Regno di Danimarca si è scomposto da uno Stato nazionale (la Danimarca) a cinque (Svezia, Norvegia, Islanda, Groenlandia e Danimarca). Il consolidarsi delle comunità-stato ha favorito l’emancipazione dei suoi membri e ha aperto nuovi spazi di cooperazione tra comunità sovrane (il vivere insieme). Invece la società si è frantumata laddove lo Stato nazionale è stato imposto.
Questo è il caso dell’Italia con l’imposizione dei confini geografici, dei mercati e delle istituzioni alle comunità regionali preesistenti, senza alcuna attenzione al bisogno di autonomie e regionalismi. L’errore dell’Europa è stato quello di aver perso la grande occasione del 1989 di ricostruire un sistema europeo policentrico, di varie culture e identità, e di appiattirsi invece sul modello occidentale ed eurocentrico della globalizzazione. La rivolta dei popoli europei, da tempo in ascesa, ma inascoltata, è finalmente esplosa.
Quando i popoli sono sovrani
La causa del precoce declino dell’Unione Europea è di aver voluto sostituire una astratta “cittadinanza europea” alla costruzione di una Europa dei popoli,
La sovranità non è possibile oltre i confini materiali che ne rendono possibile l’esercizio. La sovranità non si gestisce per lettera o via internet, ma è parte di un rapporto sociale nel quale lo spazio fisico, il contatto, l’armonia delle funzioni svolte nella vita privata e in quella pubblica, sono parti fondanti. La vita materiale, il quotidiano, sono la base di una comunità e di uno Stato che voglia rappresentarla. La sovranità appartiene dunque alla comunità, allargata sino allo Stato nazionale se questo ha forme (federali) che riescano a fondere in modo sinergico varie comunità. Il vivere insieme assume importanza crescente in un mondo dove le distanze restano ma le interdipendenze crescono. Per questo vengono istituite forme di cooperazione meso-regionale, liberamente scelte tra Stati sovrani, fondate su aree e territori specifici, su un fondamento comune di valori e culture. Laddove si tenta di trasformare la cooperazione in omologazione, di sostituirsi alla sovranità degli Stati nazionali invece di rafforzarla con la sussidiarietà, i progetti falliscono. La frammentazione del secolo scorso dei grandi sistemi e quella in corso dell’Unione Europea (trasformatasi appunto da Comunità Europea in Unione Europea) ne sono la prova. Esiste un livello di governo possibile superiore allo Stato nazionale e alle istituzioni di cooperazione meso-regionale? Evidentemente no. Esperimenti di istituzioni internazionali non sono mancati. Le Nazioni Unite ne sono un esempio, non
P. Wolfowitz,
13 settembre 2001, dinanzi alla Commissione Difesa del Senato americano.
E la società civile?
Dove si trova la società civile in tutto questo? Anche qui le sirene del “governo mondiale” non mancano. La forza della società civile è il suo radicamento, il suo essere parte delle comunità, un lievito importante. Per rompere questo legame, indebolendo entrambe, la Globalizzazione ha inventato la Governance Mondiale. Si propone alla società civile di divenire parte del sistema mondiale delle grandi lobby settoriali, dandole pezzi di potere da gestire, purché si separi dalle comunità e dagli Stati nazionali. Al tentativo di espropriare la sovranità degli Stati e dei popoli si affiancherebbero, così, parti della “società civile mondiale”. Una proposta che a volte trova orecchie disposte ad ascoltare.