Pubblico globale
Da gestire con una logica diversa da quella del mercato.
E con istituzioni inedite. Appunti per il welfare che verrà.
In un mondo ormai profondamente interdipendente, specialmente in materia economica e finanziaria, la convivenza tra i popoli deve basarsi su alcune sicurezze da garantire a ogni essere umano, direttamente e senza costi. Proprio quello che qualcuno definisce “beni pubblici globali”. Un concetto che, importando un termine dall’inglese (Global Public Goods), espande le nozioni di commons e di beni comuni, spesso utilizzate negli ultimi anni. In tal modo, con l’aggettivo “pubblico”, o collettivo, si pone subito il problema di come gestire un’economia di tali beni, ben diversa da quella di mercato.
Così come le Nazioni Unite furono create nel dopo guerra con la speranza di prevenire nuovi e devastanti conflitti mondiali, oggi sarebbe opportuno
quei beni pubblici i cui benefici, o costi, coinvolgono più o meno tutta l’umanità in termini geografici;
i cui effetti esprimono una forte componente inter-generazionale;
e la cui fornitura richiede una forte componente cooperativa dagli Stati.
Tratto da: BENI PUBBLICI GLOBALI. Come gestire la globalizzazione nel 21° secolo. Rapporto realizzato da Kim Bizzarri e redatto da Martin Koehler.
Pensiamo, quindi, per prima cosa, a quali funzioni fondamentali vorremo che il sistema internazionale assolva, perché non delegabili in maniera sussidiata a livelli locali, nazionali o regionali. Più che quali strutture e istituzioni necessarie per attuare tali fondamentali funzioni, bisogna chiedersi cosa e quali siano i beni pubblici globali per poi interrogarsi su come la comunità internazionale possa provvedere in maniera innovativa al loro finanziamento perché tutti ne abbiano in modo equo. Ossia come procedere, finalmente, all’attuazione di gran parte di quei diritti economici, sociali e culturali che il sistema delle Nazioni Unite non è riuscito ad attuare nell’ultimo mezzo secolo. Soltanto dopo aver risposto a queste questioni cruciali, si può arrivare al problema della governance cioè a quali forme istituzionali queste nuove funzioni andrebbero assegnate.
Ripartire dal pubblico
È chiaro che è possibile muoversi in questa direzione solamente chiedendo un disimpegno progressivo, da parte degli Stati nazione e dei blocchi regionali emergenti, dalle attuali istituzioni finanziarie e commerciali internazionali (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio) che guidano l’iniquo processo di globalizzazione economica
Lamy non è ben visto dagli altermondialisti per la posizione assunta nel corso dei negoziati della (fallita) Conferenza ministeriale di Cancun (Messico). In quella circostanza, infatti, aveva difeso la liberalizzazione dei mercati pubblici e degli investimenti, anche nei Paesi poveri.
È uno slogan conosciuto in tante azioni compiute in questi anni a livello locale e nazionale. Conosciamo anche la risposta dei vari Governi nostrani e di altri Paesi che ci dicono che le casse pubbliche sono vuote oramai e che la globalizzazione richiede di lasciare al mercato quello a cui lo Stato nazionale non è più in grado di provvedere. Ma in una logica di riappropriazione dell’interesse pubblico in materia di politiche economiche, sorge spontaneo chiedersi perché in alcuni casi non si pensi ad allargare l’idea di alcuni beni pubblici al mondo intero. O meglio, se si tratta di problemi di dimensione globale – quali i cambiamenti climatici – e di redistribuzione della ricchezza tra Nord e Sud del mondo e non solo all’interno dei singoli Paesi, perché non si dovrebbe concettualizzare l’esigenza di un welfare minimo internazionale da garantire a tutti? Non si tratta solo del riconoscimento di alcuni diritti fondamentali a ciascun abitante della terra, ma del permettere la loro attuazione specialmente nella sfera sociale ed economica rompendo i rapporti di dominio e di dipendenza che oggi regolano palesemente e in maniera “feudale” le relazioni internazionali. In sostanza si tratterebbe di aggiungere una dimensione mondiale “collettiva” della sicurezza umana, smontando una logica parziale e individualistica propagandata specialmente ai tempi della guerra globale al terrorismo.
Superare la territorialità
Sembra un’idea futuristica, ma all’interno del dibattito politico la teoria dei beni pubblici globali sta già assumendo una crescente centralità, a dimostrazione dello stretto legame che unisce il destino dei beni pubblici all’evoluzione futura del processo di globalizzazione. Definire con precisione il concetto dei beni pubblici globali è fondamentale per garantire un approccio coerente alla politica internazionale e per evitare controproducenti ambiguità, come accadde per lo “sviluppo sostenibile”. A tal riguardo, per
Male: Un bene che ha un’utilità negativa (l’inquinamento atmosferico, l’instabilità finanziaria, la diffusione di una malattia ecc).
Pubblico: Si riferisce alla popolazione generale, organizzazioni della società civile, corporate citizens e Stati.
Globale: Inteso come l’annullamento di ogni sorta di barriera -confini, settori, gruppi di attori. Includendo ciò che è a livello locale, nazionale e internazionale.
Esternalità: Intesa come un’azione che influenza il benessere di terzi senza che questi paghino o ricevano delle compensazioni. Vi possono essere esternalità positive (la ristrutturazione di un palazzo recherà benefici a un quartiere) o negative (l’emissione di sostanze inquinanti). Solitamente per esternalità si intendono quei costi o quei benefici che non riflettono il prezzo del bene in sé.
Internalizzazione delle esternalità: Si tratta di strumenti economici mirati a compensare le esternalità negative create da un’azione, come meccanismi di tassazione e la creazione di un mercato specifico.
Consumo del bene: Attività economiche e non, tramite le quali un individuo beneficia dalla fornitura del bene, ad esempio, il godimento dei diritti civili tramite la fornitura del sistema giuridico come bene pubblico; oppure il consumo dell’aria pulita fornita dal bene pubblico della stabilità ambientale. Il consumo del bene può dividersi tra consumo sostenibile e non sostenibile, ossia, il consumo del bene deve essere proporzionale alla sua fornitura (consumo sostenibile) in modo da garantire le caratteristiche non-rivali e non-escludibili del bene, mentre un consumo eccessivo (consumo insostenibile) può causarne la sotto fornitura e rendere tale bene, e i benefici ad esso connessi, rivale ed escludibile (si pensi ad esempio all’attuale consumo eccessivo della stabilità ambientale).
Regime Internazionale: Insieme di misure (trattati, convenzioni, accordi) adottate da più Paesi per la gestione di una qualunque questione, come ad esempio il Protocollo di Kyoto per l’ambiente.
Tratto da: BENI PUBBLICI GLOBALI. Come gestire la globalizzazione nel 21° secolo. Rapporto realizzato da Kim Bizzarri e redatto da Martin Koehler.
D’altra parte probabilmente il concetto dei beni pubblici globali troverà una forte resistenza nella comunità degli Stati, proprio perché tale concetto richiama forme di governance trasversali – che coinvolgono vari soggetti a vari livelli, ma tutti con pari responsabilità – e quindi una chiara etica politica. In questo senso, spetta soprattutto alla società civile avanzare la discussione sui beni pubblici globali e sulle possibili forme politiche. Questo perché il concetto di bene pubblico globale contrasta con l’idea di territorialità come strumento di politica pubblica. Se la fornitura dei beni pubblici globali è un elemento cruciale per lo sviluppo, essa deve essere comunque trattata separatamente e in modo complementare rispetto alle attività di Aiuto allo Sviluppo così come conosciute oggi.
Per quel che concerne le modalità di finanziamento di tali beni verrebbe immediato suggerire di drenare la mole significativa di risorse che, una volta stanziate in ambito Nazioni Unite, sempre più sono gestite da organismi con visione economicistica (quali la Banca Mondiale). Nel lungo periodo, l’unico modo per rendere indipendente dalle inique relazioni di potere il reperimento delle risorse necessarie a una redistribuzione della ricchezza è quello di procedere a meccanismi di tassazione globale. Su questo tema dal 2004 iniziano a circolare proposte quali quelle dei Governi di Francia, Spagna, Brasile e Cile, a partire dall’ormai famosa “Tobin Tax” sulle transazioni monetarie speculative. Tutte proposte che aprono un terreno politico reale di discussione.
Il valore dell’approccio dei beni pubblici globali si misura sia sulla possibilità di preservare l’eredità positiva codificata nei sistemi esistenti sia sulla sua capacità di non diventare un facile oggetto a favore degli interessi degli attori oggi dominanti. In questo senso, la linea che separa molti beni pubblici globali dai diritti umani è estremamente sottile. Molti di essi rappresentano, di fatto, dei diritti fondamentali per l’umanità, come ad esempio l’accesso a risorse idriche o il diritto alla salute e all’educazione. Il concetto dei beni pubblici globali deve rappresentare esclusivamente un meccanismo analitico che permetta la risoluzione di problematiche globali alle quali molti diritti umani sono connessi.
In questo contesto ha senso porsi il problema di quale riforma del sistema delle Nazioni Unite è necessaria oggi, se possibile. Rivedere la struttura e le funzioni delle Nazioni Unite in direzione di un rafforzamento del principio di sussidiarietà eviterebbe un approccio troppo calato dall’alto dei beni pubblici globali a scapito di differenze culturali e sociali da preservare tra i vari popoli del pianeta. Si pensi ad esempio al problema concreto di come
Fonte: http://www.euganeo.it
La necessaria riforma delle Nazioni Unite
In conclusione, di fronte al tema dei beni pubblici globali, resta una domanda essenziale: chi li propone? A chi servono? Mentre a lungo termine queste problematiche andrebbero risolte all’interno di un dibattito sulla gestione e il finanziamento dei beni pubblici globali, se mai potrà avvenire in maniera autenticamente democratica, a breve termine il concetto dei beni pubblici globali deve inevitabilmente tener conto di un sistema di relazioni internazionali mosse da interessi particolari anziché globali e privati anziché pubblici. Anche in questo caso un impegno per una riforma del sistema delle Nazioni Unite offre l’opportunità di provare a ridefinire alcuni assetti di funzionamento di governance con il fine di creare quanto meno casse di compensazione più democratiche del processo di globalizzazione economica, per prevenire i conflitti di domani e permettere un bilanciamento degli interessi dei vari poteri e delle varie aree regionali emergenti. In questa prospettiva la rifondazione di un Consiglio Economico e Sociale offrirebbe uno spazio politico più sostanziale nel quale la società civile nelle sue varie articolazioni potrebbe spingere nuove regole e politiche internazionali mirate alla riappropriazione dell’interesse pubblico nell’economia, inclusa la definizione e la promozione di alcuni beni pubblici globali. Perché solamente la società civile è oggi in grado di riportare al centro la dimensione dell’interesse collettivo nelle politiche pubbliche, introducendo la nuova variabile della partecipazione che necessariamente mette in discussione esperienze passate e relazioni di potere attuali a tutti i livelli.