Conti naturali

I conti della natura sono in rosso. Cominciamo a rendercene conto.
Finalmente. Il contributo fondamentale del rapporto delle Nazioni Unite.
Ugo Biggeri

Le questioni ambientali, soprattutto quelle legate al mantenimento di risorse e degli ecosistemi globali, stanno assumendo eccezionale rilievo. Su questi temi si sono raggiunti accordi e protocolli internazionali (dalla convenzione sulla biodiversità, al protocollo di Kyoto fino al recentissimo rapporto Millennium Ecosystem Assesment) che necessitano di essere promossi e attuati non solo perchè sottoscritti dalla maggioranza dei Paesi, ma perché fondamentali per dare un futuro alla terra.
Perché ciò avvenga è necessario, però, un forte cambiamento di rotta soprattutto in campo economico e nell’attuale sistema di regolazione dell’accesso e del consumo di risorse.
Ultimo arrivato tra i lavori fondamentali per comprendere la relazione tra ambiente e diritti è il rapporto “Millenium Ecosystem Assessment
(http://www.unep.org/EOU/PDFDOCS/MilleniumEcosystem.pdf),
con cui l’UNEP (United Nations Environment Program) ha fornito una delle prime valutazioni sistematiche del valore economico degli ecosistemi. La valutazione si basa sulla descrizione di tutti gli ecosistemi e dei relativi servizi offerti; essa evidenzia come il degrado ambientale causando la perdita di servizi naturali quali la purificazione dell’aria e dell’acqua, la protezione da disastri naturali e la fornitura di medicine, impedirà il conseguimento Keep the promise degli obiettivi di sviluppo per il millenio previsti dall’ONU per il 2015 (soprattutto combattere la povertà e favorire la crescita).
Il rapporto è stato realizzato tra il 2001 e il 2005 e ha coinvolto oltre 1360 esperti provenienti da 95 Paesi per stabilire le basi scientifiche delle azioni necessarie a rafforzare la conservazione e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi. Il Millennium Ecosystem Assessment concentra l’attenzione sulla complessità delle interazioni tra i sistemi naturali e i sistemi sociali e in particolare sullo straordinario valore dei servizi che gli ecosistemi forniscono alle società umane.
Il degrado dei servizi (la deforestazione, la desertificazione e gli effetti del gas serra) degli ecosistemi rappresenta una vera e propria perdita del capitale naturale di cui l’uomo può disporre. Tra i dati della pubblicazione ONU si riporta che tra il 1990 e il 1999 più di 100mila persone sono state uccise da inondazioni in parte aggravate dalle canalizzazioni di fiumi e di corsi d’acqua costieri e che anche da un punto di vista economico un ecosistema, modificato dall’uomo per creare attività produttive, può valere da 3 a 5 volte in meno rispetto al corrispettivo intatto.

Libero accesso ai beni comuni
Il rapporto rappresenta, quindi, una conferma del fatto che il sistema economico attuale tende a riconoscere un valore economico al capitale e ai servizi naturali solo quando questi diventano così compromessi da non essere più recuperabili.
Per cambiare decisamente le cose e definire un’economia che tenga conto del limite sarebbe opportuno usare i beni comuni come metro di valutazione delle azioni economiche.
Il Premio Nobel Paul Samuelson ha introdotto a metà del Novecento la definizione di beni comuni come caratterizzati da non-rivalità e non-esclusività. La non-rivalità implica che l’utilizzo del bene da parte di una persona non ne diminuisca le possibilità d’utilizzo da parte di un’altra: le risorse naturali sono un chiaro esempio di bene comune che riguarda anche le generazioni future. La non-esclusività comporta che nessuna persona o comunità possa essere esclusa dall’utilizzo dei beni comuni: l’accessibilità a un bene comune deve essere garantita. Per definizione dei beni comuni dovrebbero avere rispetto sia il settore pubblico che l’economia privata, che oggi non possono che riconoscere la loro forte dipendenza dai beni comuni determinati dagli ecosistemi, dalle risorse naturali, dalle reti sociali e relazionali delle comunità; si ha quindi della necessità di sistemi di regolazione che ne favoriscano il mantenimento e la loro rigenerazione. Come esempio per tutti valga la problematica dei cambiamenti climatici in cui è evidente il legame tra azioni economiche e deterioramento di un bene comune particolare come la stabilità climatica.
La domanda che un’economia dei beni comuni si pone non è il “quanto”, ma il “come”: non quanto è possibile massimizzare il profitto economico, ma come avere un’economia efficiente garantendo un futuro alla terra. Occorre chiedersi come l’azione economica interagisca con i beni comuni: esaurendoli, tutelandoli o accrescendoli.
Per arrivare a costruire veramente un’economia dei beni comuni la strada è lunga e sicuramente alcuni cambiamenti nel governo mondiale sarebbero necessari. Ne riporto di seguito i più significativi tratti dal lavoro collettivo, coordinato da W.Sachs, JoBurg Memo (EMI, 2002) ancora di grande attualità.

Sistemi di governo per l’ecologia
Diritti delle comunità
I sistemi democratici di governo sono la via migliore per proteggere l’ambiente.
I diritti delle comunità locali sulle loro risorse dovrebbero essere introdotti nelle legislazioni nazionali e internazionali: per risolvere i conflitti tra comunità, organismi statali, società commerciali è opportuna la creazione di una convenzione per i diritti delle comunità sulle risorse che garantisca un accesso giusto e un’equa ripartizione dei profitti.
Diritti ambientali per ogni cittadino
La partecipazione delle comunità locali alla gestione del territorio è garanzia di attenzione ai beni comuni.
Rafforzare i principi di Rio 1992 sulla gestione ambientale: agenda 21, prevenzione del danno, principio di chi inquina paga.
Glogalizzare la convenzione di Arhus sull’accesso all’informazione in quanto la trasparenza è il requisito base per qualunque azione di controllo e partecipazione.
Rivalutare la natura
Se le risorse non sono infinite il loro costo è fortemente sottovalutato e un

2006 Anno Internazionale dei Deserti e della Desertificazione
La desertificazione rappresenta uno dei processi più allarmanti di degrado ambientale che minaccia la salute e le condizioni di vita di oltre un miliardo di persone. Ogni anno, la desertificazione e la siccità causano una perdita di produzione alimentare del valore di 24 miliardi di dollari. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso di proclamare il 2006 Anno Internazionale dei Deserti e della Desertificazione. Il tema che caratterizza la prossima Giornata Mondiale è “Le donne e la desertificazione”. Nelle aree agricole caratterizzate da carenza di acqua, tra le quali gran parte dell’Africa, sono le donne che per tradizione dedicano le loro energie e il loro tempo alla terra. Nei Paesi in Via di Sviluppo le donne formano quasi il 70 per cento della mano d’opera agricola che produce tra il 60 e l’80 per cento della produzione alimentare totale. Esse producono, gestiscono e commercializzano i prodotti alle famiglie e alle società e lavorano direttamente con le risorse naturali. Sono le donne che, vivendo direttamente il problema del degrado ambientale, hanno acquisito una profonda conoscenza di queste tematiche. Nonostante il loro impegno e la loro esperienza, le donne che abitano le aree affette da siccità vivono in condizioni di estrema povertà e non hanno il potere di cambiare la loro situazione. La Convenzione delle Nazioni Unite sulla Desertificazione e sulla Siccità sottolinea il ruolo chiave che le donne hanno nell’esecuzione della Convenzione. Le donne sono spesso escluse dalla gestione dei progetti di conservazione e sviluppo della terra e da tutti i processi decisionali relativi, poiché la proprietà e il potere in materia rimangono nella maggior parte dei casi in mano alla componente maschile della popolazione.
Fonte: Peacelink
accesso indiscriminato ne favorisce lo spreco.
Eliminare i sussidi all’estrazione di risorse, al trasporto, all’agricoltura chimica che tra l’altro scoraggiano le innovazioni.
Avviare una contabilità ambientale che consenta di assicurare il giusto prezzo ai beni in funzione non solo del lavoro, ma del consumo di risorse e dell’inquinamento prodotto.
Introdurre tasse sull’uso di beni comuni da devolvere alla loro salvaguardia. Diminuendo la tassazione del lavoro e tassando l’uso di risorse si potrebbe favorire occupazione e efficienza nell’uso della natura.
Mercati e beni comuni
Occorre ristabilire le priorità tra libero mercato e il governo della giustizia e dell’ambiente.
Il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) deve riconoscere i diritti di sussistenza e di sicurezza alimentare dei popoli. Più in generale il WTO deve diminuire gli ambiti di intervento che ormai spaziano su tutta l’economia ed essere inserito nel sistema ONU. Deve quindi sottostare alle convenzioni internazionali ambientali e non solo.
Occorre introdurre dei meccanismi internazionali di controllo sulle compagnie multinazionali (come una convenzione sulle responsabilità delle transnazionali) che vadano al di là dei codici di condotta volontari.
Ristrutturare l’architettura finanziaria
La finanziarizzazione dell’economia allontana l’agire economico dalla realtà sociale e naturale in cui è inserito, mentre le turbolenze finanziare hanno gravi effetti in campo sociale e ambientale.
Strumenti tipo la Tobin Tax sulle speculazioni valutarie o l’abbandono del monopolio del dollaro come riserva globale monetaria sarebbero da incoraggiare decisamente.
Ridurre drasticamente il fardello del debito finanziario del Sud del mondo, ricordando anche che il debito ecologico che il Nord ha contratto con il Sud nei secoli è di gran lunga superiore.
Creare nuove istituzioni
L’ambiente e la tutela ambientale oggi sono una delle basi irrinunciabili per una pacifica ed equa convivenza tra i popoli. L’attuale sistema di governo internazionale non riconosce affatto questo fondamentale ruolo.
Andrebbe prevista all’interno del sistema ONU la creazione di una Organizzazione Mondiale dell’Ambiente che sia in grado di interloquire positivamente e a pari livello con le altre organizzazioni mondiali: all’inizio può essere potenziata l’UNEP (programma ambientale delle Nazioni Unite) fecendola diventare un’organizzazione che integri i segretariati delle convenzioni.
Creare un’agenzia internazionale per le energie rinnovabili con funzioni decetralizzate.
Rimodellare la risoluzione delle controversie ambientali internazionali (anche tra commercio e legislazioni sull’ambiente) sul modello della separazione dei poteri e della Corte Permanente di Arbitrariato dell’Aia.

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