Il Concilio come la manna del mattino

28 luglio 2005 - Rosario Giuè

C’è un grande desiderio che si ricollochi il Concilio Vaticano II al centro della vita della Chiesa cattolica. Desiderio rafforzato dal richiamo al Concilio da parte di Benedetto XVI. Nell’omelia d’inizio del ministero petrino (24 aprile 2005) egli ha, infatti, opportunamente dichiarato: “Voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa. Ricorrerà proprio quest’anno il 40° anniversario della conclusione delle assise conciliari (8 dicembre 1965). Col passare degli anni, i documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata”. Tutti siamo invitati a pregare di cuore il Signore affinché la fame e la sete di Concilio siano esauditi.
Parlando di fame e di sete di Concilio, mi viene di provare ad accostare il desiderio di Concilio con l’episodio della manna raccontato nel libro dell’Esodo 16: quando Dio fece scendere il cibo per il suo popolo mentre era in cammino nel deserto, dopo averlo liberato dalla schiavitù d’Egitto. Mi piace, in particolare, pensare al Concilio come alla manna che scende al mattino e che prima di sera deve essere consumata. “Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne” aveva detto il Signore al popolo ebraico. “Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino” aveva raccomandato Mosé. “Ma essi non obbedirono a Mosé e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì” (vv.19-20). Il Concilio è come la manna che scende al mattino e aiuta il popolo Dio nel cammino nel deserto della storia, non imputridisce ed è freschezza e forza di rinnovamento se è recepito, gustato, appunto, “al mattino”. Il mattino del Concilio è l’essere colto nel suo spirito, nel suo essere evento dello Spirito: nel suo spirito di fiducia, di ricerca comune e di aggiornamento.
Nel discorso di apertura del Concilio Giovanni XXIII disse a tutti i vescovi riuniti: “È necessario anzitutto che la Chiesa non si discosti dal sacro patrimonio della verità, ricevuto dai padri; e al tempo stesso deve anche guardare al presente, alle nuove condizioni e forme di vita introdotte nel mondo odierno”. E continuava: “Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa, in ripetizione diffusa dell’insegnamento dei Padre (…). Per questo non occorreva un Concilio”. Scopo del Concilio era di fare compiere allo spirito cristiano del mondo intero “un balzo innanzi verso una penetrazione delle coscienze” e così la dottrina “sia presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo” (11 ottobre 1962).
Nel numero di maggio di Mosaico di pace, mons. L. Bettazzi definiva il Concilio un evento inatteso e sorprendentemente innovatore se aperto al contributo di tutti e alla responsabilità dei vescovi. Anche il card. Martini nel suo sogno (Sinodo dei Vescovi, 7 ottobre 1999) parla di un confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi. Il Concilio insomma è l’evento dell’ascolto reciproco, nella consapevolezza di poter contribuire a dare forma al cammino ecclesiale nel mondo di oggi: è così che il Concilio può mostrare ancora oggi tutta la sua freschezza, il suo essere dono.

Non solo ricchezza documentale
Se invece il Concilio fosse esaltato soltanto per la sua ricchezza documentale, da richiamare solo nella lettera, perderebbe la sua freschezza e la sua capacità di suscitare nuova vita e nuova linfa.
È senz’altro necessario tornare ai testi conciliari, ma essi vanno colti e assaporati dinamicamente, all’interno di ciò che l’evento conciliare rappresentò e rappresenta per tutta la Chiesa nel mondo. Richiamare il Concilio, volersi impegnare per la sua attuazione, significa, prima di tutto, far vivere ancora nella Chiesa il processo conciliare, quello stile, quel camminare insieme, con libertà, in ascolto dello Spirito.
È certamente urgente far largo, nel corpo ecclesiale, alla lettera dei testi conciliari, farne conoscere il contenuto, senza dimenticare però che se la “lettera” vuole essere ancora vitale, occorre che si sia capaci di cogliere il segreto che si cela nell’essere frutto di un evento, di un processo.
Il ritorno al Concilio va vissuto, perciò, con le stesse sensazioni che si provano davanti a un fiore che sboccia al mattino: nella sua freschezza, nel suo profumo e nel suo rigoglio. La sera il fiore, forse, è già secco. La sera delle preoccupazioni il fiore forse è solo diventato “lettera”: nella sua codificazione, nel suo essere circoscritto e conchiuso. È nel suo sbocciare, nel suo divenire, nel suo processo progressivo, con i suoi colori nuovi, che può dare gioia e slancio a tutti e a tutte, senza esclusioni, anche per chi sta ai margini o fuori della Chiesa cattolica. È nel suo sbocciare, nel suo farsi ancora evento comunitario, che può essere capace di suscitare passione e non nuovi timori, partecipazione e corresponsabilità e non disciplina canonica, ricerca e non torpore o silenziosa indifferenza, ponti e non muri, scelte di libertà che sanno indicare il futuro che avanza e non sconfitte spirituali e paure che spingono a voltarsi indietro. È questo il Concilio tra le mani che auspichiamo, che cerchiamo e che attendiamo.

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