Il Vangelo si fa politica
La lettura dell’ultimo libro di Rocco D’Ambrosio Il grembiule e lo scettro, edito da la meridiana, è una boccata d’ossigeno nell’attuale panorama della Chiesa italiana. Il libro è una raccolta di riflessioni a carattere volutamente asistematico che ne rende più scorrevole la lettura: D’Ambrosio parte dal basso degli avvenimenti, ma li legge alla luce del Vangelo sine glossa. È il metodo insegnato dai profeti, che interpretavano la realtà alla luce della Parola di Dio.
Il pensiero di D’Ambrosio è un pensiero libero che fa riecheggiare le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Galati, 5,1).
Il fine che egli si propone è quello di provocare un dibattito in uno scenario ecclesiale spesso caratterizzato da un asfissiante conformismo, che contraddice la ricchezza e la varietà dei carismi: la bellezza di un concerto sta nell’ascolto attento dell’armonia dei molteplici strumenti musicali, non già nel passivo prestare l’orecchio a un uniforme assolo. Sollecita una riflessione sul sempre attuale e fecondo tema del rapporto fra il cristianesimo e la politica, ricordando anche alcuni protagonisti del passato.
Su questo tema scrisse delle pagine illuminanti Italo Mancini, un gigante dell’intelligentia fidei purtroppo negletto nell’attuale plumbea temperie storica, un grande teologo, che ha fra l’altro il merito di aver fatto conoscere in Italia la straordinaria vita e il ricchissimo pensiero di Dietrich Bonhoeffer, il pastore protestante morto nel campo di concentramento di Flossemburg per aver partecipato alla congiura per eliminare Hitler.
Nel suo ultimo intervento pubblico svolto al Convegno di Urbino, del 1992, organizzato dalle Acli, Mancini impostò il tema del rapporto fra il cristianesimo e la politica come problema di itinerario culturale che si snoda su quattro livelli.
Un servizio in punta di piedi
In primo luogo, una cultura della presenza “umile, fattiva, di servizio”.
Essa non è un controsenso per chi crede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che è intervenuto nella storia; nel Verbo che “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giov 1,14).
L’esperienza storica dei cristiani in politica, soprattutto l’esperienza italiana, deve indurre a un particolare rigore nell’evitare qualsiasi abuso del nome cristiano, qualsivoglia “cortocircuito” (per riprendere una felice espressione di Karl Barth), che si verifica quando, dice efficacemente Mancini,
Entrambi gli autori si interrogano sulla pedagogia dell'oppresso di Paulo Freire e su quanto il metodo Freire aiuti a riscattare la cultura e i saperi dell'oppresso.
Dà ossigeno il pensiero di Freire per don Ciotti, invita a ricercare e riaggiornare quella forza che dà sostanza alle nostre motivazioni che non dovrebbero mai essere date per scontate.
Ciascuno è soggetto politico anche quando non partecipa, trasformandosi in oggetto politico che altri usano.
Fondamentale riscoprire il diritto alla rabbia, all'indignazione come segno d'amore, ci si arrabbia per le cose che stanno a cuore, per ciò che si ama. Ed è attraverso la partecipazione politica che prende vita la democrazia, che va assottigliandosi man mano che crescono le nostre paure, un continuo e costante ripensamento del proprio agire può aiutare a essere protagonisti partecipando delle piccole cose che abbiamo attorno.
Due riflessioni che aprono piste di ricerca e che aiutano a ripensarsi.
Agata Diakoviez
Quindi una presenza che si sostanzia nella piena laicità.
Il cristiano non strumentalizza la fede come ipoteca per conquistare ruoli politici, perché della fede è geloso e in politica è adulto e sa portare argomenti. Una presenza ancorata, vuoi alle Beatitudini evangeliche (Matteo, 5,1-12), che ribaltano le gerarchie mondane e annullano ogni perversa logica terrena di violenza e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Vuoi al ripudio delle grandi tentazioni del deserto (Luca 4,1-13): il potere, il denaro, la gloria .
In secondo luogo una cultura della mediazione e del dialogo. Dialogo per diventare compartecipi, consofferenti, cioè portatori insieme mano nella mano di un destino che diversamente non è possibile reggere e non è possibile, come nella tragedia greca, portare al suo epilogo felice.
In terzo luogo, una cultura del paradosso, del “far professione dei due contrari” (Pascal), della fedeltà alla terra e al cielo, del come viviamo nella città nel modo paradossale ripreso nel testamento di Francesco d’ Assisi.
In quarto luogo, un’etica della responsabilità: “responsabilità da respondere; allora c’è uno che parla prima, io rispondo; vuol dire che l’altro, il prossimo, il tu vengono prima di ogni infatuazione solipsistica ed egoistica” …
Il libro di D’Ambrosio usa un linguaggio trasparente e franco, senza ipocriti diplomatismi, animato soltanto da un grande amore verso il Signore e verso la libertà della Chiesa da ogni potere mondano.