Pensiero in movimento
Paul Ricoeur, considerato uno dei massimi filosofi viventi, è scomparso nel maggio scorso all’età di 92 anni. Nel panorama filosofico del secondo novecento campeggia da gigante, insieme a pochi altri come Emmanuel Lévinas, Hans Georg Gadamer e Jacques Derrida. Nella sua vasta e complessa produzione, che si snoda a partire dall’opera giovanile Le volontaire et l’involontaire del 1950 fino all’ultima grande opera La mémoire, l’histoire, l’oubli del 2000, è
possibile cogliere la trama della vicenda filosofica europea (la fenomenologia, l’ermeneutica, l’analisi del linguaggio, la teoria del testo e dell’azione, la questione del soggetto) che si distende e si espande come l’approfondimento di un discorso che mira a svuotare i dualismi oppositivi, a confutare gli enigmatici sentieri della foresta heideggeriana per costruire veicoli di mediazioni e vie di dialogo e di confronto sulle quali far interagire spiegazione e comprensione, scienze della natura e scienze umane, storia e memoria. La sua vocazione di filosofo è sempre stata molto sensibile alle intersezioni e alle interferenze più che alle opposizioni e alle rotture, si è sempre alimentata, per citare il titolo di uno tra i suoi libri più famosi, al confronto tra la critica e la convizione che lo ha avvicinato al cristianesimo di tradizione riformata, in dialogo fecondo con la grande tradizione greca.
Si tratta, per usare una celebre immagine di Ricoeur, di percorrere, rispetto alla “via corta” di Heidegger, la “via lunga”, che non è priva di difficoltà e di deviazioni ma che passa consapevolmente per il linguaggio e la riflessione in un serrato e continuo confronto con le nuove scienze dell’uomo; il filosofo francese non ha mai disdegnato il dialogo con Strawson, Searle, Austin, Anscombe e Wittgenstein sui temi del linguaggio e dell’agire, con Rawls sulle questioni della società e della giustizia, con il celebre neurobiologo Jean-Pierre Changeux sulla natura del pensiero, facendo di questi scambi una vera e propria modalità di pensare.
La via lunga
La “via lunga” è anche una attestazione delle possibilità costitutive della condizione umana nel riconoscimento dei propri limiti.
E questa consapevolezza dei limiti e delle possibilità connota inevitabilmente in una direzione etica e antropologica un pensiero, che pur nella varietà di approcci diversi, inerisce inevitabilmente al tema “dell’uomo agente o dell’uomo capace di…”.
Già nella Parigi degli anni sessanta, Ricoeur si misura con la duplice contestazione indirizzata nei confronti di una filosofia del soggetto, da parte dello strutturalismo e della psicanalisi, discutendo con Lévi–Strauss e dedicando a Freud nel 1965 un’opera mirabile, Dell’Interpretazione.
P. Ricoeur
Il simbolo è la regione del “senso duplice” perché ad esempio il sogno “non è parola che chiude ma che apre” e il linguaggio del sogno vuol dire sempre altro da ciò che dice perché esso svela l’uomo che desidera. Questa è “la regione del senso duplice” e l’interpretazione come il cuore pulsante dell’ermeneutica “è l’intelligenza del senso duplice”.
Con il Conflitto delle interpretazioni del 1969, un’opera considerata con Verità e metodo di Gadamer, uno dei capolavori dell’ermeneutica contemporanea, Ricoeur allarga il suo orizzonte di ricerca, approfondendo le sue indagini sul simbolo e l’interpretazione e invocando come indispensabile un’azione di arbitraggio, capace di regolare se non di contrastare “le pretese totalitarie” dei vari modelli interpretativi. La filosofia per Ricoeur diventa sempre più un compito, un esercizio, un lavoro critico, che mai può interrompere il suo dialogo con le scienze, mai può lasciar cadere quella connessione di domande e di progetti che già l’opera giovanile con il suo motivo del volere inteso come capacità di decidere (e di decidersi per...) un progetto, di compiere o di patire un’azione, lasciava presagire.
Anche nelle opere degli anni settanta, La metafora viva e la ponderosa trilogia di Tempo e racconto in cui Ricoeur indirizza la sua riflessione sui testi metaforici e narrativi indagando nozioni come il testo e la metafora e tematizzando in maniera originale le relazioni tra esistenza, temporalità e racconto, non viene meno la domanda di senso sull’essere dell’uomo del mondo, nelle sue molteplici modalità di parlare, di agire, di raccontare e di imputare a se stesso le sue azioni. Commentando alcuni passaggi dell’ermeneutica gadameriana, Ricoeur disvela la centralità di nozioni come finzione, ipotesi immaginativa, tempo di narrazione che, lungi dal rappresentare matrici idealistiche, sono produzioni di senso, in grado di risvegliare la realtà. E quindi di attraversarla e di riscoprirla.
Identici e altri
La finzione, ad esempio, non è solo rivelativa, è anche inventiva perché opera collegamenti, fa immaginare rapporti che la realtà non può sempre verificare. Il racconto diventa così il modo fondamentale con cui l’essere umano si riferisce alla realtà e l’analisi del linguaggio narrativo riporta al centro dell’attenzione il soggetto, che attraverso la narrazione si racconta e concretamente si costruisce, nel confronto essenziale con l’altro e con gli altri.
Chi sono? Chi siamo? È una domanda che passa necessariamente per la nostra capacità di raccontare e di raccontarci.
Nelle sue ultime opere, la questione del soggetto e il suo ruolo nella storia diventa centrale dal Sé come un altro del 1990 fino all’ultima opera La memoria, la storia e l’oblio del 2003. La problematica dell’identità e dell’alterità trova il suo luogo decisivo nell’opera del 1990, la summa del pensiero ricoeuriano. L’intento è l’attuazione di un “cogito integrale” alternativo alle pretese totalizzanti del Cogito cartesiano che permane pur nella cruda interpretazione del Cogito spezzato di Nietzsche, prigioniero di un illusionismo retorico grammaticale, privo di qualche sbocco credibile. Il cogito comune all’ermenuetica e alla fenomenologia – scrive l’autore– è piuttosto un cogito che non si possiede, che non si intuisce, ma che si percepisce come implicato nella relazione di appartenenza e di spossessamento.
In altri termini Ricoeur, muovendo da posizioni fenomenologico-ermeneutiche, propone lo sviluppo di un’ermeneutica del sé che suggerisce un’alterità che non
P. Ricoeur, Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, Paideia ed., 2004.
P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, Il Mulino, 2004.
M. Pulito, Identità come processo ermeneutico. Paul Ricoeur e l’analisi transazionale, Armando ed., 2003.
P. Ricoeur, La memoria, la storia, l’oblio, Cortina Raffaello, 2003.
P. Ricoeur, Il simbolo dà a pensare, Morcelliana, 2002.
P. Ricoeur, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione
Jaca BooK, 1997.
P. Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, 1993.
P. Ricoeur, La critica e la convinzione, Jaca Book, 1997.
P. Ricoeur, La traduzione, Una sfida etica, Morcelliana, 2001.
P. Ricoeur, La persona, Morcelliana, 1997.
D. Jervolino, Ricoeur, L’amore difficile, Edizioni Studium, Roma, 1995.
C. Augieri, Sono, dunque narro. Racconto e semantica dell’identità in Paul Ricoeur, Palumbo, 1993.
Ancora il tema dell’identità individuale e collettiva ritorna in La memoria, la storia e l’oblio (Raffaello Cortina Editore, 2003) e si intreccia con le cruciali nozioni della memoria e della storia.
Quello che la memoria insegna alla storia è la riconoscibilità, cioè il senso che può dare ai fatti che sono accaduti che, in quanto tali, sono incancellabili: Fedele alla lezione agostiniana, l’ultimo Ricoeur recupera una nozione di memoria che scuote le tre dimensioni del tempo e impegna gli esseri umani non solo a vegliare il loro passato più significativo e a vagliare le aperture del futuro – purché permanga sempre l’orizzonte del perdono sia pure di un perdono difficile che non cancella gli orrori e le ferite – ma guarisce, concilia e soprattutto rende liberi dal perdurare dei gesti compiuti nel passato.
Più che spettare a Dio, il perdono deve essere sempre praticato dagli uomini perché semanticamente ha a che fare con la pratica dello scambio e del donare.
Nelle sue ultime interviste Ricoeur ha sempre insistito sul fatto che è importante “imparare a ri-conoscersi, a identificarci come persona anche in vista della comprensione che gli altri potranno avere di noi. In un mondo massificante e globalizzante, sono persona soltanto quando la mia richiesta di essere riconosciuto da un altro ha ricevuto una risposta positiva; dunque non è mai da soli che si è persona, si diventa persona in un rapporto di mutualità”.
Qui si inserisce l’importanza del paradigma della traduzione su cui si è soffermato a lungo Domenico Jervolino, autore di numerosi saggi sull’opera del filosofo francese tra cui una preziosa introduzione che consigliamo ai lettori di questa rivista. (Morcelliana, 2003).
“Il nodo essenziale della nostra vita e della nostra ricerca d’identità – scrive Jervolino – passa per un lavoro enorme e mai definitivo di traduzione e di traduzioni, di ogni sorta di traduzione, che coincide con la storia delle nostre vite, con la rete infinita delle nostre azioni e passioni, con il lavoro del lutto e della memoria che tale opera esige, con le sue sfide sempre rinnovate e con la felicità che essa ha il potere di accordarci nelle pause del nostro cammino”.
I temi della convivenza umana e dell’etica applicata caratterizzano l’intero pensiero di Paul Ricoeur che è, pertanto, un pensiero sempre al lavoro.