Coltivare l’Africa
Dieci anni dopo il segnale d’allarme lanciato dal Summit Mondiale dell’alimentazione del 1996, ci sono ancora 840 milioni di persone che soffrono la fame e 2 miliardi di persone con carenze nutrizionali. Ridurre della metà tale numero entro il 2015, uno dei più importanti tra gli obiettivi del millennio che le Nazioni Unite si sono proposte di raggiungere, non potrà essere colto se questa tendenza si manterrà costante. Il paradosso è che “più della metà della popolazione dei Paesi Africani al di sotto del Sahara non hanno a disposizione nemmeno un dollaro al giorno per nutrirsi e vivere sereni. I tre quarti di questi poveri provengono da un contesto rurale. È così, la fame e la povertà colpiscono innanzitutto noi che viviamo negli insediamenti agricoli a conduzione familiare e che forniamo la parte essenziale dei prodotti alimentari di base con i quali sfamiamo le comunità africane”. Ndiogou Fall, presidente del ROPPA (Reseau des organisations paysannes et de producteurs agricoles de l’Afrique de l’Ouest), la principale rete di contadini africani che rappresenta oltre 60 organizzazioni locali in 10 Paesi dell’Africa occidentale, è molto chiaro: “Un paradigma largamente condiviso a livello internazionale vuole che sia l’Europa a dover sfamare l’Africa. Ma non è questo che noi africani cerchiamo. Ciò che vogliamo è che l’Africa possa sfamare se stessa, visto che già lo fa. È la nostra agricoltura familiare che in Africa assicura più del 90% della produzione agricola, impiega più del 60% della popolazione e gestisce più del 95% delle terre agricole”. Con un messaggio ai G8 riuniti in Scozia la sua organizzazione chiede oggi di “non occultare l’analisi delle cause della liberalizzazione e la privatizzazione dei settori economici e dei servizi in Africa e le loro relazioni con la povertà nelle aree rurali. I G8 non possono che sottoscrivere il riconoscimento del diritto dei Paesi alla sovranità alimentare, a sfamarsi autonomamente, attraverso atti politici concreti e investimenti strutturali rivolti all’agricoltura familiare”. Grazie a un’alleanza con un cartello di ONG italiane e con Coldiretti, il più grande sindacato agricolo d’Europa, ROPPA cerca oggi di “sollevare la cappa di piombo che grava sui Governi dell’Africa e che ci nega ogni diritto di avere politiche di sviluppo diverse per la nostra terra”.
Una voce dal Mali
Ndiogou Fall è un contadino del Mali, un Paese che nell’epoca coloniale è stato considerato il più importante silos di materie prime agricole per la Francia.
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Questi piccoli agricoltori
Affidare l’Africa alle braccia dei suoi piccoli agricoltori, sostenendoli e valorizzando il loro lavoro, sembra davvero la scelta più logica quando cominci a leggere la realtà attraverso le parole di uno di loro. Insospettisce che una risposta così semplice, ma anche molto più economica, non venga ancora presa in seria considerazione dai decisori politici. “Malgrado le condizioni climatiche difficili, le catastrofi naturali, i tanti conflitti, l’assenza di misure di protezione e di sostegno e di altre entrate garantite – rivela Fall – tra il 1990 e il 2002 abbiamo aumentato le nostre produzioni agricole dal 20 all’80%,
DALLA PARTE DEI DEBOLI – Il diritto all’alimentazione (editore Marco Tropea, Milano, 2004) raccoglie questo rapporto, utile e immediato per comprendere la gravità di questo massacro quotidiano che non obbedisce a nessuna fatalità. Unico modo per porvi fine è richiedere l’effettiva applicazione del diritto umano all’alimentazione.
A oggi solo il Sudafrica e il Brasile hanno avviato l’attuazione di questo diritto attraverso l’applicazione di norme giuridiche.
È arrivato il tempo di altre politiche, chiarisce Fall, e di altri investimenti per l’agricoltura. “La povertà non scomparirà dai nostri villaggi fino a quando non sarà riconosciuta all’agricoltura la missione fondamentale di affrancare i nostri Paesi dalla dipendenza alimentare, di favorire il loro accesso a una sovranità alimentare, come è successo in Europa o in America. La povertà e la fame non scompariranno dai nostri Paesi, se noi stessi, i nostri prodotti e i nostri mestieri non godremo di misure appropriate di sostegno e di protezione da parte dei nostri Governi”. La maggior parte delle politiche messe in atto dai Governi a livello internazionale, secondo le agende di Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Wto, si limita però a riprodurre il modello attuato in Europa e negli Stati Uniti. “Questo, nonostante il fatto che spesso noi ascoltiamo da parte degli agricoltori americani ed europei che questo modello, l’agricoltura industriale, ponga anche a loro seri problemi – lamenta Fall: un’agrobusimess che occupa grandi superfici, assorbe ingenti capitali ed è per questo fuori dalle possibilità della grande maggioranza degli agricoltori africani”. Quello del contadino non è soltanto un mestiere, sottolinea Fall, “perché svolgiamo una funzione sociale di relazione con la comunità, di gestione e di custodia del territorio molto importante. Quando la povertà ci impedisce di giocare questo ruolo, i danni al tessuto sociale e all’ambiente sono sotto gli occhi di tutti. La risposta però non la troveremo nel mercato internazionale, dove siamo fin d’ora e con i guasti che ti ho raccontato. Se vogliamo battere la povertà dobbiamo orientare la produzione agricola verso la domanda interna, senza aprire eccessivamente i nostri mercati né invadere quelli degli altri, danneggiando altri contadini come noi. Con questo noi non chiediamo l’autarchia, né ci vogliamo barricare all’interno dei nostri confini. Vogliamo un commercio solidale, complementare, per tutti, e non una competizione dalla quale l’Africa non ha nulla da guadagnare”.