Organizzare la pace
Giunge il momento in cui la pace non è solo oggetto di predicazione.
Anche per Mazzolari, come per il cardinal Feltin, primo presidente internazionale di Pax Christi pochi anni dopo la sua fondazione, “la pace è il problema centrale del nostro tempo” attorno al quale ruotano gli altri problemi. A lei sono rivolte, soprattutto, “l’attesa e la sofferenza della povera gente” (8-9). Non basta custodirla nell’intimo o predicarla. Va organizzata operando direttamente in prima persona. La sorgente è sempre il Vangelo.
Segno di contraddizione
Il cristiano è sempre in contraddizione col Vangelo. Anzi, “il cristiano, che non si scopre in contraddizione col Vangelo di pace, o non si è mai guardato in
Colui che essendo segno di contraddizione svela i pensieri degli uomini, o ama ingannare se stesso”. Egli si pone domande radicali e tiene desta la sua inquietudine: “Non è forse una contraddizione, che dopo venti secolI di Vangelo gli anni di guerra siano più frequenti degli anni di pace? Che sia tuttora valida la regola pagana: ‘si vis pacem para bellum’? Che l’omicida comune sia al bando come assassino, mentre chi, guerreggiando, stermina genti e città sia in onore come un eroe? […] Che venga bollato come disertore e punito come traditore chi, ripugnandogli in coscienza il mestiere delle armi, che è il mestiere dell’uccidere, si rifiuta al dovere? […] che si dica di volere la pace, e poi non ci si accordi sul modo, appena sopraggiunge il dubbio che ne scapiti la potenza, l’orgoglio, l’onore, gli interessi della nazione?” (14-15).
Questi pacifisti!
Mazzolari conosce bene i pregiudizi contro gli operatori di pace: “‘Questi pacifisti, lasciando aperto l’uscio di casa, sono la cuccagna dei prepotenti’. L’allarme è scusato; sennonché, neppure l’uomo forte riesce a chiuderlo bene l’uscio di casa. Sull’orizzonte di un mondo regolato dalla forza, c’è sempre uno più forte, così che gli usci, anche quelli ben guardati, saltano. E salta la casa: saltano gli inquilini. La gara del più forte ha divorato e divora continuamente uomini e città, nazioni e continenti […]. Le fortune del malvagio sono l’aspetto più conturbante del male, la vera tentazione […]. La diabolicità fa il male per fare il bene, e pare quasi una virtù, mentre svuota la nostra fiducia in Dio e nella sua onnipotenza. Infatti, quando si conta sull’onnipotenza terrestre, che non fa parte della divina onnipotenza, vuol dire che è venuta meno la nostra fiducia in Dio, tanto che gli imprestiamo i nostri pensieri, le nostre strade e perfino in nostri ritrovati
La guerra è il vero ateismo. Il dramma dei credenti è la fedeltà al Dio della pace. Tra le loro fonti di riferimento ci sono senz’altro Genesi 4, Isaia 55, Sapienza 11, Matteo 5, Luca 6, soprattutto la Prima lettera di Giovanni. I cristiani, ricorda Origene, sono “figli della pace” (70). Per nuove crociate, quindi, la Chiesa non deve essere disposta a prestare “neanche una parola del Vangelo” (100). Lo intuiscono sia Pio XII, che cerca di superare a suo modo la scissione del mondo in due campi, sia i presidenti del Consiglio Ecumenico delle Chiese nel 1956, coscienti che bisogna rendere impossibile la guerra (100-104). In ambito bellico, Dio può essere manipolato e bestemmiato. Si può giocare con Lui in modo sacrilego e farisaico (105-106). “Qualche cristiano dimostra di non aver ancora rinnegato quest’orribile insegna dell’eresia temporalistica che ride volentieri dei profeti disarmati. Le pagine meno chiare della storia della cristianità furono scritte allorché prevalse questo materialismo orpellato di spiritualità sempre in lotta contro lo Spirito” (63). Si può, anzi, dire che la guerra è sempre una forma di ateismo.
L’annuncio del Vangelo
“Chi ama è nato da Dio e conosce Dio”, proclama la Prima lettera di Giovanni. La pace comincia con “il riconoscimento che c’è un prossimo cui dobbiamo voler bene e che se non gli vogliamo bene l’abbiamo già ucciso dentro di noi” (107). In ogni caso, sempre la pace “si fa coi nemici non coi commensali” (102).
Oggi la guerra è “sempre criminale”, “antiumana e anticristiana”. “Sempre
La grande antica novità
La pace è la cosa più antica e più nuova. Per i credenti è “beatitudine” e “follia” (52-53, 116-117). “È un bene pieno […]. È una parola che non sopporta aggiunte: è una parola cristiana. Da quando i cristiani si sono messi a ragionare sulla pace, a porre delle condizioni ragionevoli alla pace, a mettere davanti le loro giustizie, non ci siamo più capiti, neanche in cristianità, ed è stata la guerra. Tutto il mondo ha ragione o crede d’averla. La ragione va con tutti, e finirà di stare col lupo, non con la pecora, la sola che avrebbe veramente ragione se non invidiasse il lupo e non cercasse di superarlo” (19-20).
La resistenza dello spirito
La pace è “opera della giustizia” (122, 97). La vera pace è dei poveri: “Un cristiano è veramente per la pace, se è disposto ad accettare la pace dell’’ultimo’” (61).
Non si rinuncia alla difesa ma “a un certo modo di difesa, che in fondo non difende niente”. “La follia della croce è meno folle di quanto si pensa, se ci introduce in uno spazio più umano” (60). Non si rinuncia alla resistenza al male ma “si sceglie un altro modo di resistere, che può parere estremamente folle, qualora si dimentichi o non si tenga abbastanza conto dell’orrendo costo della guerra, la quale non garantisce neppure la difesa di ciò che vogliamo con essa difendere” (51).
Occorre praticare “la resistenza dello spirito” (50-51). È venuta l’ora della nonviolenza che significa “rifiuto attivo del male”, “atto di fiducia nell’uomo e di fede in Dio”, “testimonianza resa alla verità fino alla conversione del nemico” (87-88).
La nonviolenza “ha bisogno di profonde radici e di duri propositi, in cui l’azione profetica, che desta e mobilita le coscienze, anticipi le istanze che l’azione politica gradualmente e tempestivamente deve tramutare in impegno. L’azione profetica, che esplode da un’intima e incontenibile commozione e porta a una decisa rottura con qualche cosa che non si riesce più a fare nostra nel senso umano e cristiano, non si organizza; si organizza, invece, l’azione politica, che si sforza di concretare in nuove strutture le anticipazioni del profeta. Però, dove la coscienza non si leva in piedi audacemente, pronta e decisa ad affrontare il rischio della pace, ogni tecnica politica è destinata all’insuccesso” (112, 116). “È venuta l’ora di ridiventare un’altra volta ‘ribelli per amore’, ma contro la guerra questa volta” (86).
Una civiltà del diritto. Nell’ultimo editoriale di Adesso, datato 15 aprile 1959 e uscito tre giorni dopo la morte, intitolato La pace e le bombe, Mazzolari apre una finestra di sconcertante attualità. Facendo riferimento alla corsa agli armamenti, al Medio Oriente, agli interessi petroliferi delle grandi potenze, al rischio di nuovi razzismi “in nome del sangue, delle tradizioni, della religione”, egli rivolge il suo sguardo alla popolazione civile: “Quella povera gente maledice il petrolio, che ha creato febbre che consuma più del vento del deserto. Non le viene nessun utile, all’infuori di questo spettacolo di concorrenza atroce, che oggi li divide e li mette ferocemente gli uni contro gli altri e domani ne farà il primo campo sperimentale di devastazione atomica, che quasi certamente non finirà lì”.
Nessuno ormai si ritiene aggressore, osserva con amara ironia. Così “la guerra arriva lo stesso senza aggressori, e ancor più implacabile perché tutti si difendono e la difesa pare che dia il diritto di essere feroci […]. Non discutiamo le ragioni della difesa, né di questo né di quelli (Il diritto è mio – Dio è con noi – Gott mit uns – gesta Dei per Francos). Diciamo soltanto che la fatalità della guerra la fabbrichiamo così, credendoci onesti, paladini della giustizia, morendo per la giustizia. Tutti crociati.