Mazzolari allora e... Adesso
“Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace: fare la pace è la sua vocazione”.
Primo Mazzolari è un convertito. Ordinato prete nel 1912, durante e dopo la I guerra mondiale è cappellano militare. Nel periodo del fascismo e alle soglie della II guerra mondiale, tanto più dopo l’avvento dell’era atomica e la nascita
Le citazioni riportate nei box in questo e negli articoli che seguono sono tutte di Primo Mazzolari.
Gettare ponti
Tre risultano i temi a lui cari: il rinnovamento della Chiesa cattolica, la riforma della società a partire dai poveri, la pace. Temi difficilissimi da affrontare e sviluppare nel periodo aspro e teso della “guerra fredda”. Dopo la schiacciante vittoria democristiana del 18 aprile 1948 e la scomunica dei comunisti del 1949, gli anni cinquanta vedono scontrarsi i blocchi contrapposti, la guerra di Corea, la crisi di Suez, l’invasione dell’Ungheria. Segnali positivi sono la graduale “destalinizzazione” e la nascita del movimento dei “Paesi non allineati”. Pur dissentendo da Guido Miglioli, “il bolscevico bianco” che si era inserito nel Fronte Popolare organizzando poi un “movimento cristiano per la pace”, e differenziandosi anche dalla Sinistra cristiana di Adriano Ossicini, Mazzolari sente la necessità di “gettare ponti” verso gli avversari, cioè le sinistre e i “lontani”. Nel 1954, solo per aver scritto un articolo (su Il Nuovo Corriere di Firenze) riguardante il dialogo fra cristianesimo e comunismo, riceverà un richiamo disciplinare. Non lo convince il trionfalismo del “mondo cattolico” identificato con la “civiltà occidentale” o con una “cristianità” che si ritiene minacciata. Non approva, cioè, lo spirito di crociata promosso da Gedda e da padre Lombardi, le mobilitazioni dei “baschi verdi” dell’Azione Cattolica, le espressioni più vistose del clericalismo.
Nonostante tutto, in questi anni molte sono le inquietudini sia nella Chiesa che nella DC sull’adesione al Patto Atlantico (1949), sulla giustizia sociale, sulla laicità della politica. Giuseppe Dossetti lascia la DC dando inizio a un’esperienza monacale. Mario Rossi e Arturo Paoli sono costretti alle dimissioni dall’Azione Cattolica. Carlo Carretto diventa Piccolo Fratello di padre de Foucauld. Giorgio La Pira trasforma Firenze in città internazionale
Nostra sorella Chiesa
Sul tema decisivo della pace, il 1950 è per Mazzolari l’anno della svolta radicale. In giugno scoppia la guerra di Corea. L’eventualità di un conflitto nucleare lo spinge a sottoscrivere l’Appello di Stoccolma dei “Partigiani della
Pace” per la messa al bando degli armamenti atomici. Tra agosto e settembre, egli propone una ardita riflessione sull’obiezione di coscienza e sul rifiuto di ogni guerra. Rispondendo pubblicamente su Adesso alla lettera di alcuni giovani, Mazzolari riconosce in modo autocritico, che “c’è tutta una generazione di giovani che non ha ancora potuto dimenticare l’inganno in cui l’abbiamo trattata con la nostra retorica patriottarda, democratica e clericale” e che “la giustizia e la libertà non camminano più insieme”.
La questione della guerra è ormai planetaria. La nuova realtà mondiale deve portare a un cambiamento di mentalità “di fronte all’immane inutile strage che rappresenta sempre la guerra, specialmente la possibile guerra di domani [...]. Non è questa l’ora di un cristianesimo integrale? ”. Occorre, pertanto, “creare nella cristianità una corrente di resistenza evangelica alla guerra” per realizzare “una comunità di uomini che credono alla pace e resistono alla violenza con i soli mezzi della pace” (I giovani e la guerra, La Locusta, Vicenza 1968, 39, 21-22).
Contemporaneamente, in un altro scritto apparso su Adesso (1 settembre 1950, 2), intitolato La Chiesa e l’Europa, il parroco di Bozzolo precisa ulteriormente il ruolo dei credenti con accenti di lucida profezia: “Né a Ponte Milvio, né a Poitiers, né a Vienna, né a Lepanto, né altrove, anche se c’è un carroccio di mezzo o un vessillo crociato o un legato pontificio, nessuna vittoria è vittoria della Chiesa, perché nessuna guerra, ove gli uomini uccidono altri uomini, è la sua guerra. La Chiesa è la ‘casa della pace’ e la custode dei valori eterni dell’uomo e dei suoi destini. Ella non si batte per una civiltà che, pur col nome di cristiana, può essere un ostacolo alla vocazione cristiana dell’uomo e alla vera civiltà”.
Resistenza alla guerra
Nel 1951 Mazzolari coltiva l’intenzione di organizzare un movimento di resistenza a ogni guerra suscitando sospetti e preoccupazioni nella curia vaticana e negli ambienti democristiani. “Persuasi che solo su questi principi [del Vangelo] si può fondare la pacifica convivenza dei popoli, noi accettiamo la stoltezza cristiana a costo di parere fuori della storia, che altrimenti continuerà a essere una catena di violenze o, se volete, un susseguirsi di fratricidi, cioè l’antistoria, e proponiamo: di renderne pubblica testimonianza, rifiutandoci a ogni svuotamento di essi, sia teorico che pratico;
A causa delle posizioni assunte proprio sulla questione della pace e della guerra, nel marzo 1951 Adesso è costretto a sospendere le pubblicazioni. L’arcivescovo di Milano, il cardinale Ildefonso Schuster, proibisce a tutti i sacerdoti di collaborarvi. Al divieto di scrivere si aggiunge per Mazzolari la proibizione di predicare fuori dalla propria diocesi. Nel frattempo raccoglie le sue riflessioni che appariranno pochi anni dopo su Tu non uccidere in forma anonima. Ma i tempi stanno cambiando. Mazzolari osserva che anche l’Osservatore romano nell’aprile del 1951 ritiene che la pace si possa preparare solo con mezzi di pace e che la teologia stessa comincia a rinnovarsi, “va decisamente verso il superamento della distinzione tra guerra giusta e ingiusta”. Egli annota con cura e fiducia i nomi di chi lo sta affermando: Pio XII, i vescovi francesi, i teologi Noldin, Lehmkulh, Vermersch, Leclercq, Ude, Stratman, Keller, Ancel, Newman, Cordovani, Ottaviani,
Una nuova teologia della nonviolenza
È proprio padre Giulio Bevilacqua l’autore più citato con intima partecipazione. È lui a proporre “una teologia aggiornata delle realtà terrestri” che risponda alle tragiche novità dell’epoca moderna “senza inquadrature che la realtà ha ormai spezzate, senza stanche ripetizioni che non dicono più nulla, senza generalità incapaci di presa alcuna sul concreto, senza autosufficienze che confondono le certezze di Dio con le costruzioni dell’uomo, senza semplicismi psicologici che scatenano nelle anime furori e rancori” (78). La teoria della guerra giusta costituisce “un indigente e semplicista schematismo” che “non abbraccia più la realtà attuale, non fruga più il male sotto tutta la mutabilità dei suoi camuffamenti, scusa troppo facilmente estesissimi strati di coscienze che, se fossero state vigilanti e coalizzate, avrebbero potuto metter l’alto i
seminatori di stragi [...]. Vi sono dimissioni, contorsioni, attenuazioni, giustificazioni, conformismi all’autorità, che costituiscono una vera e diretta collaborazione con i macchinatori di guerre” (79).
La moderna teologia morale deve rinnovarsi e “insorgere per scoprire e colpire tutta questa scala interminabile di cooperazioni più o meno dirette e di complicità”. La tradizionale schematica dottrina della guerra giusta non coglie più “la realtà nuova e il nuovo gioco di responsabilità, in una tecnica radicalmente mutata”. “La parola guerra, sotto la penna di Agostino e di Tommaso, significa la stessa cosa, importa la stessa logica che la parola guerra sulle labbra e nel pensiero di Enrico Fermi, di Einstein, di Oppenheimer, di Compson? Le rivoluzioni subite dalla tecnica della guerra non ne hanno mutata la sua stessa natura e quindi la sua significazione morale, quando ormai la guerra non è più o non può più essere ricorso alla forza per ristabilire la giustizia o il diritto violato, ma un puro e semplice suicidio collettivo? […]. Non è giunto ormai il momento, per la teologia, di individuare, di smascherare, di colpire tutte quelle forme mentali, quelle tacite acquiescenze, quelle attività criminose che preparano da lontano ma sicuramente le guerre? Non è giunta l’ora di denunciare energicamente tutte quelle storture blasfeme che tentano di trascinare Dio nei labirinti dell’agguato umano? E perché tanta economia di insegnamenti sopra il delitto di Caino moltiplicato all’infinito, quando tutto lo spirito e la lettera del cristianesimo è pace, carità, primato dello spirito sulla materia, e soprattutto quando il Vangelo ha lanciato per primo il più realistico, attuale, evidente dei moniti: ‘Chi di spada ferisce, di spada perisce’?” (80-81).
La “pace seminale” può aprirsi un varco attraverso molte resistenze personali, storiche, sociali, religiose, culturali” (17). È un lungo cammino. Nella disumana ideologia dei blocchi contrapposti “vengono murati idee e principi, sentimenti e rivendicazioni umanissime: giustizia, libertà, religione, persona umana, povera gente, lavoratori, pace, patria, progresso... Il moderno fariseismo e l’accidia di quei cristiani che preferiscono farsi tutelare piuttosto che rendere personalmente testimonianza, ve li ha murati. Ora il nostro impegno cristiano è duplice: sbloccarsi e sbloccare” (118-119).