Quello che conta davvero
i passi dei credenti di tutte le fedi.
Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio (Michea 6, 8).
Avevo sentito proclamare questo versetto durante la liturgia negli anni in cui ero studente. Confesso che a tal punto mi aveva impressionato che me l’ero trascritto in bella grafia e lo avevo affisso nella mia stanzetta. Mi sembrava più che sufficiente per un programma di vita, era il distillato di saggezza di ogni credente, segnale stradale di un’esistenza. Ancora di più. Mi appariva talmente universale che avrebbe potuto star bene sulle labbra di un islamico come di un buddista, di un ebreo come di un cristiano. Le coordinate tracciate in quel lampo di scrittura che fuoriesce dal fuoco della profezia di quest’ennesimo “minore”, è in qualche modo antesignano di quel macroecumenismo che oggi va facendosi strada tra i credenti più avvertiti e meglio preparati al dialogo con ogni nobile tradizione di fede.
Il sigillo di Dio
Con uno dei suoi guizzi letterari, don Tonino Bello a questo punto direbbe che il versetto è segnato da un marchio D.O.C. a Denominazione di Origine Controllata. Il vescovo profeta della Chiesa del grembiule lo diceva a proposito della pace che siamo tutti chiamati a costruire, noi a maggior ragione possiamo riferirlo alle parole di Michea perché di fatto viene stabilito un rapporto personalissimo e diretto tra il genere umano e il suo creatore. Il Signore, che ci conosce bene, non avanza troppe pretese per la nostra condotta e per la qualità della nostra fede e della nostra vita. Semplicemente ci chiede di: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con lui.
Questo basta. Perché è buono, perché richiesto da Dio. Anzi è buono perché sgorga, puro e trasparente, dal cuore di Colui che ama. Di colui che è Amore. Il sigillo di Dio è tutto in quel riferimento alla bontà. La bontà non è solo ciò che non può far male, ma è tutto ciò che opera e produce il bene. Il buonismo inganna la realtà interpretandola secondo uno schema che non esiste nei fatti, ma soltanto nella mente di chi li interpreta. La bontà si effonde con una presenza che opera il bene, che introduce, cioè, elementi di amore, perdono, riconciliazione nel percorso faticoso e accidentale della storia.
Il profeta Michea pertanto descrive una connessione diretta tra ciò che è buono e ciò che richiede il Signore dall’uomo. Non è una pretesa di Dio: molto più semplicemente è il seme che egli ha posto nel cuore della creatura, il suo sigillo, appunto. È ciò che è buono perché colui che seguirà quel triplice
consiglio migliorerà se stesso e il mondo nel senso della bontà. E se il richiamo ai bambini: “Stai buono!” il più delle volte significa “Stai fermo!”, al contrario per il Signore di Michea consiste nei tre verbi di movimento che seguono: praticare, amare e camminare.
La giustizia nell’amore
Nello schema dei documenti magisteriali così come nelle omelie domenicali, le parole hanno un percorso discensionale, ovvero partono innanzitutto dalle considerazioni teologiche e spirituali per poter essere applicate concretamente alla realtà di tutti i giorni e alla condotta dei credenti. La pratica della giustizia ad esempio più che discendere direttamente da Dio nel migliore dei casi viene presentata come un’esigenza della fede, un riscontro coerente e una testimonianza.
Michea pone la pratica della giustizia al primo posto delle richieste divine. E non c’è che dire, la giustizia qui non conosce interpretazioni diverse da quella che abbiamo anche noi nel senso corrente, perché il libro del profeta Michea non perde occasione per descrivere gli abomini dell’ingiustizia. Nei versetti immediatamente seguenti leggiamo: La voce del Signore grida alla città! Ascoltate tribù e convenuti della città: Ci sono ancora nella casa dell'empio i tesori ingiustamente acquistati e le misure scarse, detestabili? Potrò io giustificare le false bilance e il sacchetto di pesi falsi? I ricchi della città sono pieni di violenza e i suoi abitanti dicono menzogna (6, 9-12).
Egli riserva parole di fuoco per descrivere i drammi causati dall’ingiustizia e non disdegna di chiamare per nome i responsabili che sono i governanti: Io dissi: “Ascoltate, capi di Giacobbe, voi governanti della casa d'Israele: Non spetta forse a voi conoscere la giustizia? Nemici del bene e amanti del male, voi strappate loro la pelle di dosso e la carne dalle ossa”. Divorano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola, come lesso in una caldaia (3, 1-3). È a fronte di questi drammatici disastri che il Signore chiede di praticare la giustizia amando la pietà e camminando umilmente con lui.
Lasciandoci abitare dalla mitezza, dalla nonviolenza, dalla comprensione profonda dei perché d’ogni cosa. Se la pratica della giustizia non è accompagnata da questi sentimenti e da questi valori, rischia di degenerare in nuova ingiustizia, rischia di “fare parti uguali tra diseguali” per dirla con don Milani o di definire giustizia ciò che di fatto è vendetta.
Infine, come è bella l’immagine del credente che cammina con Dio. Immagino una strada percorsa uno accanto all’altro, uno nella mano dell’altro. In questo modo è fugata la tentazione e il pericolo della “giustizia-fai-da-te” e dell’autosufficienza tronfia e arrogante. Se non cammini con Dio perdi il senso della tua statura e credi solo nella tua ombra delle sei della sera quando si allunga sul selciato. Pensi di essere il solo e l’unico. Tanto da essere tu la misura di tutto. Chi ti è contro è una canaglia e chi non si ribella è un alleato. Sei tu che decidi della morte e della vita, non Dio. Puoi invadere l’Afghanistan e l’Iraq, deformare la realtà a fin di bene, infliggere la democrazia come una condanna, farti paladino della giustizia. La tua.
Caro Michea,
lotta e contemplazione, preghiera e azione, vita e fede sono armonia perfetta nella tua predicazione. Il tuo cuore arde per la giustizia e freme di fronte al sopruso, allo strapotere, al povero calpestato. Dio solo sa quanto vorrei riuscire a coniugare anche in me lo sdegno ancorato al fondale sicuro di una fede forte; il grido per chi non ha voce con il sommesso canto del gregoriano; la denuncia con l’annuncio; l’indignazione per il male inflitto con la dolcezza di cui c’è bisogno per curarlo; il voltastomaco per l’ipocrisia di chi non si fa scrupolo di usare anche la religione con l’invocazione umile al Signore della vita!
“Guai a coloro che meditano l'iniquità e tramano il male sui loro giacigli; alla luce dell'alba lo compiono, perché in mano loro è il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l'uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità” (2,1-2). Come faccio a spiegarti quali strumenti hanno affinato quei potenti di cui parli? Come faccio a dirti che si sono dati istituzioni internazionali per legittimare i loro piani di rapina e che il più delle volte non hanno bisogno di ricorrere alla violenza della guerra dal momento che riescono a spogliare i poveri con gli strumenti del mercato globale?
Come descriverti che i movimenti di borsa, la formazione di holding finanziarie e di potenti lobby mondiali compiono rapine incalcolabili? I potenti dei tuoi tempi apparirebbero goffi e ingenui al loro confronto! Ma nonostante questo, sono sicuro che anche oggi sapresti leggere nella trama dei fatti e denunciare con una parola vibrante l’ingiustizia che fa sanguinare la vita dei poveri e schiaccia i deboli.
Al contrario a noi invece tocca di incrociare il tentativo di alcuni di fornire fondamento di valori anche allo scempio dell’ingiustizia Esattamente come avevi indicato anche tu: “Così dice il Signore contro i profeti che fanno traviare il mio popolo, che annunziano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra” (3,5).
Siamo di fronte a un mercato globale che compra e divora ogni cosa, si annette le intelligenze e corrompe le coscienze, vende felicità illusorie e tenta persino di bruciare incenso al loro Dio luccicante di ricchezza… ma nei nostri templi. Dillo al Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e… di Gesù Cristo, che almeno da questa ulteriore nefandezza, ci risparmi. Ma soprattutto insegna ancora ai credenti di ogni fede a camminare umilmente con Dio praticando la giustizia nella mitezza. È l’unica speranza di salvezza che i poveri riescono a scorgere.