SUDAN

Il sogno di una pace giusta

La morte del leader sudanese John Garang pone a repentaglio una pace tanto attesa. Sudata. Ancora lontana.

John Prendergast e Colin Thomas-Jensen

Prendergast e Thomas-Jensen lavorano per l’International Crisis Group (http://www.crisisgroup.org), un’organizzazione per la prevenzione dei conflitti con sede a Bruxelles.
La morte di John Garang in un incidente aereo al confine fra il Sudan e l’Uganda ha recentemente avuto ripercussioni nell’intera Regione. La sua morte è avvenuta in un periodo cruciale per la storia sudanese. Dopo la firma dell’accordo di pace, nello scorso mese di gennaio, il leader degli ex ribelli del Sudan People’s Liberation Movement era entrato in carica come il primo vice-presidente nel nuovo governo di unità nazionale, solo tre settimane prima della sua sciagura.
La sua morte è avvenuta in un momento in cui il Movimento stava intraprendendo una drammatica ristrutturazione e in cui l’attuazione del trattato di pace era ancora nei delicati stadi iniziali. La perdita di Garang mina la possibile pace, tanto auspicata in un Paese lacerato da questa guerra decennale. Il trattato potrà essere attuato solo se il Movimento di Garang riuscirà a mantenere salda
Quale pace per il Sudan
Si è svolto a Milano, il 18 e 19 marzo 2005, il Forum Internazionale “Quale pace per il Sudan. La parola alla società civile”, promossa dalla Campagna italiana per la pace e il rispetto dei diritti umani in Sudan.
“Il Forum ha salutato con soddisfazione la pace tra il Nord e Sud Sudan e considera questo evento una reale opportunità per un possibile percorso virtuoso teso a costruire la pace in tutto il Paese” – si legge nel documento conclusivo dell’iniziativa. “La pace, sopraggiunta dopo 22 anni di guerra, ora va implementata durante il periodo di transizione rispettando i passaggi e i tempi previsti dai singoli protocolli. Si tratta di un processo la cui piena riuscita richiede un costante accompagnamento e monitoraggio da parte della comunità internazionale e va seguito con attenzione anche dalla società civile, se non si vuole che dopo un conflitto dimenticato, arrivi una pace abbandonata a se stessa. Ora più che mai siamo tutti invitati, ai diversi livelli di responsabilità e impegno, a volere, sostenere, aiutare il processo di pace in Sudan affinché, dai protocolli, possa calarsi nella realtà e imprimere un cambiamento nel Paese”.
Pur sottolineando la persistenza di elementi critici che possano indebolire o mettere a rischio la realizzazione degli accordi di pace nel Paese africano, il Forum “a voce corale, ha richiamato l’urgenza, non più rinviabile, che si pervenga presto in tutto il Paese a
Una pace globale
Una pace partecipata
Una pace duratura
Una pace equa”.


Il documento conclusivo integrale è pubblicato nei siti internet di Mosaico di pace e della Campagna italiana per la pace e il rispetto dei diritti umani in Sudan (http://www.campagnasudan.it).
Gli atti del Convegno possono essere richiesti alla segreteria della Campagna: segreteria@campagnasudan.it , 02-7723252 (85).
la sua unità pur in assenza dell’unico leader che abbia mai riconosciuto nei suoi 21 anni di esistenza.

Una firma tanto attesa
La firma del trattato all’inizio di quest’anno è stata un trionfo per l’IGAD (Intergovernmental Authority on Development). Dopo tre anni di negoziazioni estenuanti, il generale Lazaro K. Sumbeiywo ha assunto un ruolo importante di mediatore. Altri attori esterni hanno avuto un ruolo cruciale: Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia hanno partecipato direttamente alle negoziazioni e hanno fatto una pressione costante sul Movimento di Garang e sul Partito del Congresso Nazionale al potere affinché l’accordo potesse essere raggiunto.
Oggi le prospettive di pace rimangono ancora incerte. Agli occhi di molti Islamici, Garang e il suo appello a un “nuovo Sudan” rappresentavano la più grande minaccia alla legge della sharia. La costituzione ad interim recentemente ratificata e l’entrata ancora da confermare del Sudan People’s Liberation Movement nel governo di unità nazionale, conferma i loro timori che l’applicazione della sharia verrebbe vanificata nel Nord e completamente revocata nel Sud.
Inoltre, l’organizzazione del potere e della ricchezza rappresenta una minaccia

Ho da poco compiuto un viaggio nella regione di Rumbek. A nord di questa città si trova Wunlit. Qui è stato firmato pochi anni fa, uno storico accordo di pace: quello tra Dinka e Nuer. In questi anni, molte persone sono state uccise a causa degli scontri tra queste due tribù, ancor più di quanto non abbia ucciso la guerra contro il governo. A Wunlit è stato firmato un accordo di pace davvero storico, che ha costituito l’inizio del processo di pace “people to people”.
Parlando con un gruppo di donne anziane non alfabetizzate, ho chiesto loro come vedessero questa pace. Sono rimasta colpita dalla loro risposta:”Questa pace è nostra; se noi non avessimo fatto la pace a Wunlit, gli accordi a Naivasha non sarebbero stati firmati”.
Non so se questo sia completamente vero, ma so che si deve riconoscere il ruolo che la gente comune ha avuto e sta avendo ancora oggi: è l’unica che può garantire che si avveri una pace giusta e duratura, nessun altro lo potrà fare.

Marina Peters
per le èlite di Khartoum, che hanno tratto enormi benefici da decenni di sfruttamento delle risorse del Sudan, non escluse le riserve di petrolio.
Il Partito del Congresso Nazionale, che si è talora anche servito di milizie per procura, non è ancora pronto ad abbandonare le opzioni militari nel Sud e l’uso continuo delle milizie costituisce ancora una seria minaccia alla pace tanto attesa.
Nel Sud, la mancanza di capacità del Sudan People’s Liberation Movement di formare un ente amministrativo efficace e completo che possa raggiungere gli scopi prefissi dal trattato ha sempre rappresentato un problema. La morte di Garang lascia il Movimento in una specie di limbo temporaneo, con poche strutture solide. Malgrado ciò, gli ex-ribelli devono apportare cambiamenti radicali nel modo in cui operano, dato che si preparano ad assumere la maggioranza delle posizioni del governo del Sud Sudan.

L’aiuto internazionale
Nonostante le sfide che si prospettano per entrambe le parti, il coinvolgimento internazionale nel progetto e l’impegno della leadership del Movimento per portare avanti vigorosamente l’eredità di Garang possono mantenere il processo in carreggiata. I segnali iniziali da parte del Movimento sono incoraggianti. La decisione di nominare Salva Kiir Mayardit come sostituto

Ciò che accomuna il Nord con il Sud in Sudan è la guerra e le sue conseguenze. Le paure e le speranze delle persone del Nord riguardo al futuro sono sostanzialmente differenti da quelle del Sud. Numerosi intervistati al Nord si augurano che, non appena l’SPLM si insedierà al governo, vengano avviate una serie di riforme democratiche che aiutino a sostenere l’unità del Paese, con l’aiuto della comunità internazionale. Altri ritengono che sia positivo avere la pace e che non vi sarà futuro senza democrazia e giustizia, ma che questo obiettivo non sarà conseguibile con il governo previsto.
Una cosa vi apparirà evidente se viaggerete in giro per il Sudan: nessuno è veramente in grado di predire quello che succederà nei prossimi mesi o nei prossimi anni, e di fronte alle sfide che bisognerà affrontare, nessuno è in grado di stabilire delle priorità chiare.
La gente è divisa tra un prudente ottimismo e il più profondo pessimismo: è interessante notare come il pessimismo sia diffuso anche tra gli operatori delle ONG internazionali come tra gli intellettuali del Nord. Senza che venga loro posta una domanda specifica, nessuno si sognerebbe di parlare di riconciliazione, ma soltanto della paura di essere nuovamente traditi da quelli che loro chiamano “gli Arabi”. La gente è interessata alla riabilitazione del Paese, ma con due prerequisiti: la riconciliazione nel Sud e l’assistenza della comunità internazionale che porti servizi di base per il periodo di transizione. Oltre a questo, è forte la richiesta di una forza internazionale di peacekeeping. Mi sono spesso sentita dire “senza una forza di pace internazionale saremo persi”.

M. P.
di Garang e Dr Riek Machar come suo vice ha rappresentato un messaggio immediato del fatto che il processo di pace proseguirà verso una sua vera attuazione. I primi passi del Movimento senza il suo leader sono andati nella giusta direzione e la comunità internazionale deve continuare a spingere entrambe le parti perché rispettino i propri impegni.
La sicurezza nel Sud Sudan rimane una priorità e le Nazioni Unite devono accelerare l’uso di peacekeepers nel Paese. I volontari devono aumentare la propria presenza nel Sud Sudan, specialmente a Rumbek e Juba, al fine di collaborare da vicino con il Sudan People’s Liberation Movement per costruire una capacità istituzionale del governo del medesimo Sud Sudan. Occorre un impegno rigoroso e trasparente per la gestione e la distribuzione delle ricchezze e per la smobilitazione delle milizie dei giacimenti di petrolio.
Il Sudan ha rappresentato una delle più grandi tragedie per l’indipendenza e, con l’orribile storia del Darfur che tuttora persiste, i problemi continuano. L’eredità di Garang, l’accordo di pace, rappresenta una prospettiva futura per milioni di persone sudanesi. Un maggiore coinvolgimento e una più seria vigilanza internazionali sono indispensabili per mantenere vivo il suo sogno di una pace giusta.
Business Day /12 agosto 2005

Note

Traduzione a cura di Benedetta Scardovi/Traduttori per la Pace.

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