In nome di Dio
Ho qualche difficoltà a parlare di “sacerdoti” oggi. Ancora di più a parlare del loro “ruolo” nel mondo in cui viviamo. Che “compito” ho io, prete, in questo mondo? Cosa ho da dire in nome di Dio agli uomini e alle donne del mio tempo perché la loro esistenza sia gloria e non ignominia del Padre?
Il prete non può pretendere di essere al di fuori di una cultura che lo condiziona, pur essendo inviato a giudicarla alla luce della Parola di Dio, e quindi a sovvertirla in nome della dignità di ogni uomo e donna. Il primo compito forse è questo: aprire gli occhi sulla realtà e darsi gli strumenti per conoscere cosa è in gioco oggi nel mondo, “uscendo dalla sua terra, dalla sua casa” per avventurarsi in strade sconosciute che lo faranno “straniero tra i figli di sua madre”. Il prete deve conoscere il suo tempo. Circolano parole come “esuberi”, “Stati canaglia”, “guerre preventive”, “superiorità occidentale”, “primato dell’economia”: parole che hanno dietro di sé lacrime e sangue di miliardi di persone, ingiustizie strutturali, morte per fame per milioni di creature umane, sfruttamento osceno di bambini e poveri, schiavitù di esseri umani, traffico sulla carne di disperati in fuga dai loro Paesi. E hanno anche la rovina dell’ecosistema, l’inquinamento della vita, prospettive di manipolazioni genetiche, distruzioni sistematica di specie vegetali e animali, decretazione addirittura se ci si ricorda dell’armamentario nucleare. Come conoscere questo volto del nostro tempo e restare sereni?
In termini religiosi, mai tanto dominio di Mammona e tanta sconfitta del Dio della vita. Mai tanta sfacciata idolatria del denaro e della forza e tanta discriminazione nel riconoscere i diritti inalienabili delle persone. Mai tanta miseria di una religione costretta ad avallare il disordine del mondo per potere avere il diritto di lasciare aperte chiese ormai svuotate della loro carica profetica. Mai tanto antivangelo sulla strada e tanto spiritualismo intimistico nelle chiese.
Che ha da dire e da fare un prete? Meglio, chi ha da essere?
Un uomo che, fidandosi del suo Signore Gesù e dell’avvento del “regno” cammina accanto a ogni uomo e lo “tormenta” fino a quando questi non diventa un “figlio” amato dal Padre, una persona in cui canta la bellezza stessa dell’Amore.
Il prete è un uomo, quindi, che annuncia la grandezza e la dignità di ogni nato/a di donna. Nella proclamata dignità dei figli di Dio c’è la ribellione a ogni schiavitù, la protesta contro chiunque voglia escludere altri dal banchetto della vita e vuole uccidere, in nome della prepotenza, la speranza dei “poveri”.
C’è il giudizio sulla oscena pretesa di un popolo di ergersi a padrone dell’universo, ubbidendo a Dio che lo avrebbe costituito nuovo “popolo eletto”.
Il presbitero oggi è chiamato a dare speranza, grande assente dalle nostre menti. Subdole insinuazioni quotidiane ci dicono che il sistema attuale, atroce quanto si vuole, è l’unico possibile. Questo annuncio di dignità e di speranza il prete lo darà in ogni gesto sacramentale, in ogni messa. Questo “lieto annunzio” sarà come il punto di riferimento, la direttrice di ogni azione pastorale. Forse è tempo che la “Parola” ricominci a essere non “oppio” che tranquillizza e rende rassegnati e ubbidienti al “branco”, ma elemento sovversivo delle nostra false tranquillità, spinta in avanti perché nella storia e nella stessa comunità cristiana si apra un varco e attraverso di esso “torni il Messia”.
Custode di Dio
Forse, però, compito principale del prete oggi è “custodire Dio”.
Il prete, con la sua stessa vita sia segno che l’Amore c’è e che, sotto le macerie ammassate nei cuori dei suoi contemporanei, l’Amore aspetta di essere disseppellito per ridare senso a questa umanità confusa. Appartiene alla nostra fede la certezza che il mondo è sorretto dalla tenerezza del Padre.
Fonte e premessa per questi compiti del prete è la “restituzione” della Chiesa al popolo di Dio. Uno Spirito Santo abita davvero in tutti i battezzati, veri soggetti di evangelizzazione, costruttori del regno. Lungo i secoli c’è stata come una sorta di “accaparramento” della famiglia di Dio da parte dei dotti e dei chierici, fino al punto da far credere che “Chiesa” propriamente è il clero e che di fronte agli ordinati “in sacris” il popolo non dovrebbe fare altro che farsi indottrinare e guidare. Forse consenzienti gli stessi laici che così si sono visti scaricare da una responsabilità piuttosto impegnativa. Con quale esito lo vediamo. Un mondo che va per conto suo, una umanità che boccheggia, una speranza che rischia di morire. Una Chiesa che stenta a parlare all’uomo di oggi.