La lezione dell’Aspromonte
Da quando ho iniziato a occuparmi di Mediterraneo, questa ricerca è cresciuta moltissimo e negli ultimi anni il tema ha assunto carattere politico. Ha prodotto poco, però, forse perché ognuno è convinto di avere la piena conoscenza del Mediterraneo e si rifiuta di intrecciare il proprio lavoro con altri o con altre reti… Monadi che non comunicano. È necessario l’incontro di tutti i gruppi, le associazioni e le università se si desidera realmente salvare gli stili di vita del Mediterraneo.
Una sana concorrenza
Centrale in questa riflessione è il tema dell’economia di mercato e del mercato capitalistico, della competizione sul prezzo che abbassa il valore d’uso dei beni. La storia del capitalismo è una storia di competizione sul prezzo che elimina i concorrenti. È una economia dominante a cui si contrappone una competizione qualitativa che non distrugge la solidarietà. Come quella fra gli artisti, fra chi produce qualcosa di miglior qualità, fra i ricercatori, fra gli scienziati, fra gli studiosi. È quel sano orgoglio di appartenenza di chi fa le cose migliori nel suo territorio. Non si può demonizzare la competizione in sé. Distruttivo è un certo tipo di competizione, di mercato capitalistico. Come è
Il mercato capitalistico è un mercato riduttivista che tende a ridurre i costi di produzione e i prezzi e a produrre in grandi quantità. Per i piccoli non c’è spazio. La grande distribuzione non va dal piccolo contadino perché sarebbe antieconomico. Ecco che gli economisti agrari che vogliono salvare le nostre economie tradizionali propongono di eliminare i piccoli produttori. Nascono i consorzi. Perché non pensare a consorzi mediterranei? Fra Puglia, Tunisia e Albania per una certa produzione, ad esempio; altri consorzi per un’altra particolare produzione. Consorzi mediterranei con marchio e distribuzione e con alla base un sistema che consenta di stabilire un prezzo minimo. Non più quindi una concorrenza al ribasso.
Salviamo il Mediterraneo
Ci vuole proprio una spinta politica forte se vogliamo salvare ecologicamente il Mediterraneo. Possiamo farlo solo salvando prima di tutto le sue montagne, cioè evitando che si spopolino, che si degradino dal punto di vista geologico, liberandosi degli incendi. Negli ultimi 30 anni il nostro Appennino meridionale ha perso quasi la metà dei suoi abitanti. In Calabria, in Basilicata, in Abruzzo, ma anche in Umbria, i paesi scompaiono. Sono civiltà che scompaiono. La creazione di Parchi e di aree protette del Sud può essere una strada da percorrere per salvare questo nostro Mediterraneo e i suoi stili di vita. Non basta però creare un parco. Bisogna dare una risposta alla popolazione del luogo. Creare un percorso comune per ritrovare i valori della civiltà locale. In Aspromonte ci siamo riusciti, con la creazione del Parco e di un’ideale carta di intenti comuni.
Il 14 luglio del 2002, 37 Sindaci, associazioni e amministratori locali hanno partecipato a una marcia, a Polzi. È un luogo dove i greci avevano tentato di riprodurre la loro Olimpia; alla confluenza tra due fiumi, avevano costruito un tempio, poi scomparso. Tuttora c’è un monastero dedicato alla Madonna. Lì abbiamo letto e sottoscritto l’appello che segue e ogni anno questo rito si ripete: “In questo luogo sacro, carico di storia e tradizioni millenarie, ribadiamo solennemente e ci impegniamo a fare rispettare i seguenti principi e valori, che riteniamo possano costituire il cuore della civiltà dell’Aspromonte nel terzo millennio. Primo punto l’ospitalità e l’accoglienza dello straniero, un valore forte ancora oggi radicato nella società aspromontana, un valore da ribadire e preservare di fronte al procedere veloce dell’inciviltà delle società industriali avanzate che praticano la chiusura, la persecuzione del povero e dello straniero. L’amicizia, secondo punto, e la convivialità, valori da rafforzare di fronte alla logica invasiva della mercificazione globale che toglie alla vita degli spazi fondamentali di gratuità e affettività. Terzo, il rispetto e la salvaguardia del patrimonio naturale dell’Aspromonte. È nell’Aspromonte che affondano le nostre radici culturali, è
in questo meraviglioso scenario che hanno vissuto per secoli le nostre popolazioni per fuggire ai saccheggi, alle invasioni che hanno colpito per secoli questa terra. Noi vogliamo conservare questo patrimonio naturale che oggi assume un valore inestimabile di fronte alle colate di cemento e alle grandi opere – naturalmente pensavamo al ponte sullo stretto – che hanno prodotto e continuano a produrre disastri ambientali. Ci impegniamo al conseguimento di questi obiettivi: primo fra tutti la soluzione pacifica dei conflitti” (l’Aspromonte è una montagna dove fino a 15 anni fa avvenivano i sequestri di persona).
La gente si è commossa di fronte alla lettura di questa carta della civiltà.
Un Sud che si fa rispettare
Questo Sud è quello che si fa rispettare, che non viene a chiedere l’elemosina. Un Sud con suoi valori, in cui crede e che vive. L’ospitalità verso lo straniero, che è un dovere sacro nelle nostre montagne, diventa un fatto organizzato, si trasforma nella storia di un paese, Riace, che è rinato accogliendo i profughi. È rinato perché i profughi portano la vita, perché nelle nostre aree interne che si spopolano, forse avremmo bisogno di tanti immigrati, di tanti profughi da accogliere. Da un’indagine compiuta, abbiamo scoperto che le famiglie aspromontane, circa 20 mila, in media spendono 200 euro al mese per mangiare. Secondo l’ISTAT, il 75 per cento dei poveri in Italia vive nel Mezzogiorno e tra questi si trovano tutte le famiglie dell’Aspromonte. Queste famiglie, che con 200 euro al mese fanno la spesa, stanno proprio bene in salute, ma non perché rubino o altro, ma perché autoproducono quello che serve loro. Il 95 per cento ha la casa di sua proprietà. Il 45,9 per cento possiede un terreno, un altro 20 ha una casa in affitto, il 46 per cento di questi terreni sono superiori ai 2 ettari. Cioè, tanti hanno una piccola proprietà che talora è considerata segno di arretratezza ma che può essere ricchezza infinita. Un pensionato dell’Aspromonte esce, ha il suo orto, va a caccia, incontra gli amici, gioca a carte, ha una vita sociale che gli viene tolta nella grande città quando non è più produttivo.
In un’indagine del Censis, la Calabria è risultata una delle regioni più povere d’Italia. Tra gli indici utilizzati c’è il tempo libero. Alla domanda “Che cosa fa lei nel tempo libero?”, per il 62 per cento delle famiglie calabresi la risposta è stata “passeggio”. Passeggiano, quindi sono poveri disgraziati, secondo i parametri economici. Bisogna aiutarli a spendere. Perché nel tempo libero se io passeggio sul mare sono un poveretto. Dobbiamo dare al denaro il suo giusto valore. Si fanno cose eccezionali anche con pochissimi soldi. Al Sud abbiamo giovani straordinari, associazioni con cui abbiamo concluso contratti di responsabilità e siamo riusciti a realizzare la raccolta rifiuti, la lotta agli incendi. Cose semplici realizzate responsabilizzando e dando forza alla società civile organizzata.
Se vogliamo salvare il Mediterraneo, il mare, dobbiamo partire dalle montagne. Per salvare le montagne dobbiamo essere aperti agli immigrati, all’accoglienza, dobbiamo inventarci circuiti economici in cui la qualità venga premiata e dove si creino reti fra i soggetti mediterranei. Servirebbe immaginare una forza politica euromediterranea. Servirebbe creare una vera cooperazione mediterranea per salvare la pesca tradizionale, per bloccare la distruzione di un patrimonio che, una volta distrutto, non si recupera più. Per fermare il suicidio del Mediterraneo è necessario un salto di qualità. Per questo è importante incontrarsi.