Nota su Chiesa cattolica e società italiana

Un contributo al dibattito attuale sulla laicità dello Stato, sul dialogo e sul rapporto tra la Chiesa e “la realtà terrena”.
13 ottobre 2005 - Nicola Colaianni, Ignazio Grattagliano, Nicola Occhiofino, Roberto Savino

Si moltiplicano, negli ultimi tempi, gli interventi di alcuni vescovi su questioni nazionali e temi di attualità politica. Nella ridda di considerazioni e sentimenti, a fatica si conserva un po’ di ragione per non soccombere agli effetti mediatici del dibattito e alla polemica sterile.
Per questo, da credenti consapevoli della difficoltà di essere Chiesa autentica in un mondo complesso e spesso contraddittorio, esprimiamo alcune considerazioni.

1. La Chiesa cattolica e la realtà terrena. La condizione di minoranza che la comunità cattolica vive in Italia esige da noi credenti molta pazienza, umiltà e ingegno nel ripensare la nostra presenza, rifuggendo da schemi e atteggiamenti di trionfalismo e proselitismo del passato.

2. La laicità dello Stato. È il Concilio stesso a ricordarci che la società umana è autonoma rispetto alla Chiesa, confermando che i credenti “inscrivono la legge divina nella vita della città terrena” (Gaudium et Spes, 43) e la attuano con gli strumenti e le modalità propri dell’agire temporale, consentiti e previsti dall’ordinamento vigente. Crediamo che la laicità dello Stato sia un valore da rispettare, pur conservando la nostra libertà di dissentire in coscienza qualora fosse compromesso ciò in cui crediamo. Nel rispetto di tale autonomia ogni intervento ecclesiale non può assumere il carattere di imposizione o condanna, ma deve, orientato al bene dei singoli e di tutti, cercare strade di dialogo e collaborazione con lo Stato, nel rispetto delle reciproche sovranità. Auspichiamo una Chiesa certo pronta “sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”, ma “tuttavia – come ricorda l’Apostolo - questo sia fatto con dolcezza e rispetto” (1 Pietro 3). Rispetto che, nella situazione odierna, va riconosciuto al pluralismo dello Stato, che non può adottare integralmente una sola delle visioni del bene, come quella cristiana, ma deve perseguire ciò che è giusto,

È una questione di metodo!
Cinquant’anni fa un vescovo fu chiamato a rispondere in tribunale per aver definito “pubblici concubini” due cristiani che erano sposati solo civilmente. Oggi nessun vescovo si sognerebbe di attaccare il matrimonio civile. Ma il nuovo bersaglio sono le unioni civili, i Pacs e quant’altro. E i cattolici che accettano di discuterne la regolamentazione. Dobbiamo aspettare un altro mezzo secolo per voltar pagina?
La nota che abbiamo preparato si pone sul piano del metodo. Richiamando innanzitutto il rispetto del principio di laicità, definito supremo dalla Corte costituzionale: necessario in una società pluralistica in cui hanno da convivere fedi culture e tradizioni diverse. Nessuna delle quali può pretendere di veder tradotta in legge la propria visione del bene comune. Ciò vale anche per la Chiesa cattolica in Italia, chiamata, tanto più per la sua condizione di minoranza, a svolgere un ruolo profetico piuttosto che a indicare soluzioni legislative e a bacchettare chi non è d’accordo. Come Mosè scendendo dal Sinai, la Chiesa deve alzare le tavole della Legge e non sedersi al tavolo su cui si fanno le leggi.
Appunto per questo, la nota non vuole sostenere soluzioni di merito. Anche perché i firmatari non hanno le stesse idee e, quelli di loro che svolgono azione politica, militano in schieramenti diversi. Segno, questo, che la “legittima molteplicità delle opzioni temporali” riconosciuta dal Concilio non è un optional ma la cifra di una Chiesa non partito tra i partiti, non fazione tra le fazioni, ma unita solo dalla fede.
Nicola Colaianni
fare sintesi e valorizzare i punti in comune tra le diverse culture, al fine di attuare i valori fondanti della Costituzione.

3. I cattolici impegnati in politica. Sappiamo bene che “una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi” (Paolo VI, Octogesima adveniens, 52). La diversità di impegno e di proposte politiche va valutata caso per caso e situazione per situazione, senza preclusioni o intenti di bollare a priori le varie esperienze personali. L’invito a impegnarsi in politica, da parte del magistero, non contiene in sé un’indicazione di schieramento e/o di partito. Per questo il magistero si limita a ricordare solo le “esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili” (Congr. Dottrina Fede, Nota su cattolici nella vita politica, 4) nell’azione politica, che sia i cattolici impegnati nel centrosinistra, sia quelli impegnati nel centrodestra sono tenuti a seguire fedelmente. Allo stesso modo tutti devono poter trovare nelle comunità un’accoglienza sincera e la possibilità di poter fare discernimento sulle loro scelte politiche al fine di rendere più autentica la loro testimonianza.

4. Il giudizio sui politici cattolici. Coloro che sono coerentemente impegnati in politica lamentano spesso solitudine e abbandono da parte della comunità; si aggiunge talvolta anche una forma di condanna pubblica del loro operato da parte di alcuni pastori. L’evangelica correzione fraterna (Matteo 18) suggerisce una prassi chiara per aiutare chi è impegnato in politica a discernere sul suo operato: il segreto del rapporto personale, l’ausilio di un testimone, il rapporto con la comunità ecclesiale. Il riferimento è al discernimento personale, a due e comunitario. L’aver portato spesso il dibattito solo all’attenzione dei media rafforza l’impressione che l’intervento, da parte di alcuni pastori, avesse altre finalità, oltre a quella morale e pastorale.

5. La presenza profetica. Notevole è stato l’impegno episcopale per i temi in difesa della vita e della famiglia. Ci si chiede perché diversi vescovi, come è avvenuto nel passato, non offrano nell’oggi – tranne che in pochissimi casi – un discernimento su emergenze, ugualmente gravi dal punto di vista etico, come: l’invio di truppe italiane in Iraq in aperto contrasto con il magistero sofferto e chiaro di Giovanni Paolo II; la noncuranza dei politici per gli inviti papali per l’amnistia giubilare per i detenuti e, in parte, per la cancellazione del debito estero dei Paesi poveri; la disoccupazione e le varie povertà ed emarginazioni; la mercificazione della salute; la lotta alle mafie; la questione morale nella politica; il conflitto di interessi nella gestione della cosa pubblica; l’approvazione di leggi “ad personam”, che consentono di difendersi dal processo piuttosto che nel processo; il diritto all’accoglienza delle immigrate e degli immigrati e i luoghi di detenzione amministrativa, come i CPT; le azioni disinvoltamente favoritive in materia di acquisti di banche; il clima di intolleranza spesso favorito dagli interventi di “atei devoti”, che credono di poter dettar legge anche in casa ecclesiale.

6. Profezia e privilegi. Lo stile e i contenuti del rapporto tra pastori e classe politica dà, molto spesso, l’impressione di una “profezia frenata dalla diplomazia, cioè dalla speranza di vantaggiose contropartite per il bene della comunità ecclesiale e in difesa di alcuni valori etici (si tratti dei sussidi alle scuole cattoliche o dei finanziamenti agli oratori o dei buoni-famiglia)” (B. Sorge in Aggiornamenti Sociali, 2004/3). Ricordiamo le parole del Vaticano II: “Certo le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite e la Chiesa stessa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni” (Gaudium et Spes, 76).

7. Il dialogo. Ci chiediamo dove sia finito lo stile conciliare del dialogo. La comunità e i singoli credenti, nel lavoro e nell’impegno sociale e politico, entrano in contatto con uomini e donne di altre culture e religioni. La continua ricerca e testimonianza di quella “verità sinfonica” (H. U. von Balthasar) non è rivendicazione o affermazione a qualsiasi costo, delle loro idee ma mira all’ascolto dell’umanità, alla compassione, alla stima, alla simpatia e bontà, al rispetto della dignità e libertà altrui e rifugge ogni condanna aprioristica, polemica, offensiva ed abituale ed ogni vanità d’inutile conversazione (Paolo VI, Ecclesiam suam, III). Di questo stile improntato al dialogo avvertiamo il bisogno, dissolvendo, come diceva don Lorenzo Milani, ogni muro di carta e di incenso.

4 ottobre 2005

Note

La Nota è stata redatta da Nicola Colaianni (già magistrato, docente di Diritto Ecclesiastico presso l’Università di Bari), Ignazio Grattagliano (criminologo), Nicola Occhiofino (assessore alle politiche dell'accoglienza della Provincia di bari), Roberto Savino (avvocato).
Maggiori informazioni e l’elenco integrale dei firmatari della Nota possono essere lette nel sito: http://www.cercasiunfine.it

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