Sia benedetto l’Amore
Perché riconoscere giuridicamente una relazione affettiva stabile tra persone dello stesso sesso, implicante assistenza e solidarietà reciproca, e attribuire a queste convivenze benefici assistenziali, fiscali e previdenziali (pensioni di reversibilità, facilitazioni nell'assegnazione degli alloggi, diritti di successione, ecc.) – questo sono i Patti civili di solidarietà (PACS) – danneggerebbe la famiglia?
Concordo con quanto espresso, qualche settimana addietro, da mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, secondo cui “non è certo introducendo i PACS che si lacera inaccettabilmente la famiglia”, la quale è molto più colpita “se stronco le possibilità di spesa dei Comuni, tartassandoli economicamente”, e “metto in crisi servizi fondamentali come gli asili nido”. E concordo altresì con mons. Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia: “È fuori luogo parlare di attacco alla famiglia, come se lo scardinamento della famiglia oggi dipendesse dalla sua situazione giuridica e non fosse invece un problema educativo, etico, di coscienza”.
La questione è ben impostata dal card. Francesco Pompedda, già prefetto della Signatura apostolica: “Le unioni di fatto sono un fatto e dai fatti nascono diritti e doveri reciproci. Perciò è giusto e doveroso che lo Stato li regoli: ignorarli non mi sembra opportuno né concepibile secondo diritto. Ma la regolamentazione non deve creare equivoci, fare assomigliare le unioni di fatto ai matrimoni o essere un primo passo per un’equiparazione”. Chiarisce ancora mons. Bettazzi: “I PACS riconoscono una situazione di fatto che per molti - la maggior parte di queste coppie sono giovani in attesa di sposarsi - è una sorta di preparazione al matrimonio che oggi non ha più senso condannare. E consentono alcuni strumenti di tutela a persone che soffrono per non potere vivere appieno la propria vita. Non si tratta di legalizzare i matrimoni gay, anzi, è un modo per disciplinare altrimenti una materia così vasta d’implicazioni”.
In uno Stato laico, come sottolinea il teologo moralista Giannino Piana, alla legislazione civile “non si può certo chiedere di fornire un codice di comportamento etico valido a livello di scelte personali. Alla legge va assegnato, più modestamente, il compito di arginare quei fenomeni negativi che risultano disturbanti per la vita della collettività e lesivi dei diritti delle singole persone o attentano all’identità della specie umana. È come dire che la legge è chiamata a svolgere una funzione essenzialmente negativa, quella di evitare azioni che provocano danni consistenti (e palesemente riconosciuti) agli individui e alla società; mentre non spetta a essa determinare i precetti che devono guidare la condotta umana dal punto di vista morale. Negare alla legge una funzione strettamente etica, cioè di formazione della coscienza o di sostegno a una morale particolare, non significa misconoscere il ruolo dell’etica nella definizione dei dispositivi legislativi di una società. La negatività di alcuni comportamenti (che vengono per questo giuridicamente perseguiti) non può essere frutto di una semplice operazione procedurale; implica il ricorso a un quadro di valori in base al quale fare la valutazione. Ma l’etica alla quale ci si deve riferire nel giudizio – è questa l’ottica da privilegiare in un contesto pluralista e democratico come l’attuale – non può che essere un’etica ‘laica’, espressione di un minimo comune denominatore valoriale raggiunto attraverso il confronto tra le diverse visioni di ordine morale presenti nella società”.
In sostanza, in una società laica e pluralista, non è compito dello Stato dire attraverso le leggi ciò che è bene e ciò che male dal punto di vista morale (Stato etico), ma disciplinare i fenomeni aventi rilevanza sociale in modo da garantire la convivenza pacifica e costruttiva dei suoi componenti, sulla base di una “tavola di valori condivisi” costruita nel dialogo tra etiche diverse. Questa visione, che soggiace alla Costituzione “Gaudium et Spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, mi pare oggi messa in discussione da tentazione neotemporaliste, tanto da far dire a mons. Casale: “Dobbiamo superare l’idea che la legge garantisca la morale. Ecco la mia paura è che la Chiesa affidi alla legge la difesa della morale: sarebbe un tornare indietro e rinnegare il Concilio”. Ma forse questa intuizione conciliare non è stata approfondita e sviluppata a sufficienza, se lo stesso card. Martini, nel famoso discorso al Sinodo per l’Europa del 1999, aveva posto nell’agenda di un futuro Concilio “il rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale”.
Non convince, poi, il continuo e “fondativo” richiamo alla “natura”, a ciò che è (o sarebbe) “naturale”, alla “legge naturale”. Si tratta, infatti, di concetti problematici, che spesso sono serviti solo a legittimare un ordine sociale costituito (per esempio, attribuendo al maschio il ruolo di “capo della famiglia”), senza contare che si tratterebbe di capire qual è la “natura” e che significherebbe comportarsi “secondo natura” per “persone omosessuali”, cioè esclusivamente o prevalentemente attratte da individui dello stesso sesso (la scoperta che ne esistano risale al XIX secolo ed entra nei documenti ufficiali della Chiesa dal 1975, mentre prima era ignota e la riflessione etica si riferiva sempre ad atti omosessuali compiuti da soggetti eterosessuali). Ma soprattutto si coglie qui un’eco preconciliare, perché della natura ripropone una visione fissista neoscolastica, da cui deriverebbero precetti immutabili. La Gaudium et Spes riconosce invece come attraverso “l’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza e i tesori nascosti nelle varie forme della cultura umana” si “svela più pienamente la natura stessa dell’uomo” (n. 44). Così sottolinea la reciproca illuminazione tra quelle che San Tommaso chiamava “legge soprannaturale”, donata all’umanità dalla rivelazione, e “legge naturale”, la quale indica ciò che l’uomo è in grado di scoprire con la propria ragione a proposito del mondo, perciò è fallibile e mutevole perché l’uomo può sempre sbagliare e il mondo in cui vivono gli uomini cambia. D’altro canto anch’io, come Marco Ivaldo, ex presidente della Federazioni universitaria cattolica italiana (FUCI), “non penso sia sostenibile l’idea che processi naturali rilevabili fattualmente rappresentino ipso facto posizioni di valore o comunichino imperativi morali. Essi possono offrire al più indicazioni pragmatiche, che tuttavia assumono rilievo morale soltanto se sono abbracciati da una prospettiva di valore, e quest’ultima non nasce affatto dalla natura in noi e fuori di noi (che è solo un livello della creazione), ma dalla ragione illuminata dalla fede. Il cristianesimo non è religione della natura, ma religione del logos, che nel Dio crocifisso si è manifestato come amore”.
In ultima analisi, a me pare che il nodo decisivo stia nella risposta alla domanda: “Il fatto che due persone dello stesso sesso si amino è positivo, è un valore?”. Nel 1995 il cardinale Basil Hume, arcivescovo di Westminster, scriveva: “L’amore tra due persone, siano dello stesso sesso o di sesso diverso, va apprezzato e rispettato. Quando due persone amano sperimentano in modo limitato in questo mondo ciò che sarà la loro gioia infinita quando saranno uno con Dio nel mondo futuro. Amare un altro significa in realtà raggiungere Dio che è presente con la sua amabilità in colui che amiamo. Essere amato significa ricevere un segno, o una parte, dell’amore incondizionato di Dio. Amare un altro, sia dello stesso sesso sia di sesso diverso, significa entrare nell’area della più ricca esperienza umana”.
Ma se la comunità cristiana può “dire che è bene quando due persone, anche dello stesso sesso, si amano”, allora mi chiedo se non sia tempo, anche per la Chiesa cattolica, di pensare, come già hanno fatto altre Chiese cristiane, a un qualche segno di fraternità nei confronti delle coppie omosessuali che vogliono dichiarare il loro amore davanti a Dio e assumere pubblicamente un impegno a consolidare la loro unione. Si benedicono le stalle, le automobili e, da parte di qualche cardinale, perfino le portaerei. Possibile che non possa essere benedetto l’amore tra due persone, solo perché dello stesso sesso?