Economia civile/ Banche e armi, i passi indietro spiazzano il governo
Sabato 14.01.2006 11:00
Sono le banche gli intermediari privilegiati dell’industria italiana per il commercio delle armi, ma l’emergere di un più spiccato senso di responsabilità sociale d’impresa (RSI) e il pressing esercitato dai correntisti attenti alla finanza etica, sta spingendo le istituzioni bancarie a rivedere le proprie scelte in questo mercato. Un dietrofront che ha spiazzato il ministero dell’Economia.
Nella relazione 2005 sull’esportazione di armi, presentata al Parlamento dalla presidenza del Consiglio, si definisce "un problema di alta rilevanza" la decisione di "buona parte degli istituti bancari" di non effettuare più o "di limitare significativamente" le operazioni legate all’import/export di armi.
Una possibile soluzione verrà presto "esaminata a livello interministeriale". In parole povere, codici etici e Rsi agiterebbero i sonni dei nostri ministri. E con le transazioni bancarie del settore ormai su scala europea, il governo non è in grado di esercitare la sua azione di controllo. In realtà, solo il 14% delle operazioni avviene attraverso banche estere, mentre l’85% tramite quelle italiane.
Per capire la questione serve fare alcune premesse.
La prima: la legge 185 del ’90 prevede che ogni anno il presidente del Consiglio riferisca al Parlamento con propria relazione sulle operazioni di importazione ed esportazione delle armi svolte nei 12 mesi precedenti, attività che richiedono un’apposita autorizzazione ministeriale.
La normativa fu approvata dopo lo scandalo Bnl Atlanta-Iraq, con la vendita illegale di armi a Saddam Hussein, e a seguito delle pressioni, durante gli anni ’80, dei movimenti di ispirazione laica e cattolica con la "Campagna contro i mercanti di morte". La relazione è molto dettagliata e indica caratteristiche della fornitura, tipo di autorizzazione richiesta, Paesi importatori e banche su cui transitano i pagamenti: tutti dati pubblici e ufficiali, disponibili sui siti di Camera e Senato.
Ne consegue che il commercio delle armi passa per le banche, un aspetto della loro attività che non compare negli spot pubblicitari e nei depliant spediti a casa.
"Tutto è legale e autorizzato, ma anche i clienti hanno diritto di sapere", spiega ad Affari Giorgio Beretta, portavoce della Campagna Banche armate, analista del commercio delle armi e collaboratore di OsCar (Osservatorio sul Commercio delle Armi di Ires Toscana) e OPAL (Osservatorio permanente armi leggere Brescia).
"Gli istituti di credito devono specificare ai correntisti come utilizzano i soldi dei clienti", aggiunge Beretta.
L’intermediazione bancaria consente, però, un maggior controllo rispetto ad altre forme di compravendita di armi: "Le banche non devono venir meno, ma a loro si chiede maggior trasparenza", precisa l’esperto, che respinge al mittente l’accusa di criminalizzazione delle banche rivolta alla campagna dal Sole 24Ore.
Ma, secondo l’analista, "in queste operazioni le banche hanno un ruolo attivo, contrariamente a quanto dichiarano ai loro clienti per giustificarsi". Gli istituti di credito "svolgono attività di intermediazione - prosegue Giorgio Beretta -, con compensi che variano dal 3,5% al 10% nel Sud del mondo. Più un Paese è povero, più salgono i compensi di intermediazione" Ogni vendita di armi ha bisogno di una doppia autorizzazione ministeriale: alla ditta, per avviare la trattativa, e alla banca, per incassare i pagamenti. "Le banche conoscono tutti i dettagli dell’operazione e possono decidere anche caso per caso come comportarsi ". Beretta non crede alla tesi di chi considera queste forniture come cessione di alta tecnologia, perché "sono sistemi Dual Use, che possono essere impiegati come armi".
In generale, però, "tra le banche oggi c’è più attenzione alla RSI . Monte dei Paschi di Siena è uscita dal commercio delle armi, Unicredito e Intesa hanno diminuito il coinvolgimento, mentre Capitalia e San Paolo hanno aumentato notevolmente le transazioni".
La lista comprende Antonveneta (9%), Bnl (5%) e Banca Popolare di Milano, partner di Banca Etica. Bpm nel 2004 si è ritagliata il 4% del volume d’affari, quota di mercato a cui dopo accese polemiche ha deciso di rinunciare in futuro.
Il limite della campagna, nata nel ’99 e ispirata ad analoghe iniziative degli anni ‘80, è che l’attenzione si concentra sull’Italia, quando ormai lo scenario è mutato. Con l’unificazione europea, cambia il ruolo degli istituti di credito e nuovi soggetti come le finanziarie fanno concorrenza alle banche. Beretta fissa il prossimo traguardo della battaglia del movimento "La legge italiana è molto restrittiva e ha ispirato il codice di condotta europeo del ‘98, ma oggi serve una direttiva Ue sull’export che preveda meccanismi di trasparenza validi in tutti i Paesi membri ".