Beati operatori di pace
Norman Kember e i suoi colleghi pacifisti liberati in Iraq di recente erano laggiù per trasmettere il messaggio cristiano di rifiuto della violenza; un messaggio che tragicamente viene sopraffatto e travisato con facilità.
All’ultima veglia settimanale per Norman Kember e i suoi colleghi ho sentito un giovane dire alla sua compagna che era “per quegli uomini di pace convinti che a volte bisogna soffrire per gli altri”. Qualcosa di chiaro e profondo l’aveva raggiunto – un messaggio sul dono di sé per gli altri.
Molti mezzi di comunicazione nei tre mesi scorsi hanno mostrato un atteggiamento simile: gli intervistatori cercavano di capire cosa stessero facendo in Iraq i Gruppi degli Operatori di pace Cristiani (Christian Peacemaker Teams, CPT) e renderlo noto a un pubblico più vasto. Ora sembra che si stia deliberatamente fraintendendo e travisando questo messaggio. Gli Operatori di pace Cristiani sono stati accusati di essere ingenui, avventati e ingrati verso i militari che li hanno liberati. In realtà, CPT hanno rilasciato una dichiarazione pubblica di gratitudine il giorno stesso della liberazione. Anche Norman Kember al suo ritorno a Londra ha ringraziato i suoi liberatori, contemporaneamente riaffermando la sua convinzione che una pace duratura non possa essere ottenuta con la forza delle armi.
Si potrebbe pensare che la liberazione di membri di gruppi come CPT da parte di militari crei tensione. La posizione di tali gruppi è per principio di nonviolenza e di preoccupazione che nessuno, civile o militare, corra rischi a causa loro. La liberazione di Kember e altri sembra aver coinvolto una varietà di referenti civili e diplomatici, servizi segreti e personale militare su cui CPT non ha alcun controllo. Nessuno è stato ferito nella liberazione e gli sforzi di tutte le persone coinvolte sono stati chiaramente riconosciuti.
Cos’è che porta persone normali come Norman in situazioni tutt’altro che normali? Essendo un pacifista cristiano è diventato un obiettore di coscienza. Ha lavorato nella sanità e insegnato medicina fino alla pensione. Ha partecipato alle proteste contro il coinvolgimento dell’Inghilterra nel mercato delle armi, la prima guerra del Golfo, la guerra in Afghanistan e l'attuale guerra in Iraq – tutte azioni che considerava pacifismo “spicciolo” o facile che gli era costato poco. Ha deciso di andare a Bagdad con una delegazione di CPT, per incontrare gli iracheni, ascoltarli e far conoscere la loro storia una volta tornato a casa.
CPT è stato presente in Iraq dall’ottobre 2002; ha costituito e addestrato gruppi specializzati di appoggio agli sforzi locali per la pace. In Iraq, un primo obbiettivo è stato attirare l’attenzione sul problema degli abusi sui detenuti e documentarli, aiutare le famiglie irachene a ottenere informazioni sui propri cari e rintracciarli. Nel gennaio 2004 CPT ha pubblicato una relazione su 72 casi di detenzione che aveva esaminato e documentato. In Iraq il gruppo operava all’interno della Zona Rossa non protetta, conscio che il rischio è necessario per conseguire l’obiettivo della Dichiarazione di Principi di CPT: “Amando sia gli amici che i nemici e intervenendo nonviolentemente per aiutare coloro che sono sistematicamente oppressi, contribuiamo in qualche piccolo modo a trasformare questa situazione instabile.”
Questo modello per la costruzione della pace e della giustizia non è nuovo per i cristiani. Nei secoli undicesimo e dodicesimo, comunità religiose furono fondate per riscattare cristiani o schiavi tenuti prigionieri. Gli ordini Trinitario e Mercedario, presenti in Algeria e Marocco, si offersero come ostaggi finché furono trovati i fondi per riscattare i prigionieri. Ci sono stati molti martiri per la pace e la giustizia in America Centrale negli anni ottanta, fra cui il fratello secolare Jean Donovan e le suore Ita Ford, Maura Clarke e Dorothy Hazell. Rifiutando di abbandonare i loro amici continuarono il loro lavoro fino al 1980, quando vennero assassinati. Negli anni novanta membri di una comunità trappista in Algeria, sotto costante minaccia da parte di gruppi di fondamentalisti, rifiutarono di abbandonare i loro amici cristiani e musulmani, mantenendo una presenza descritta come umile e caritatevole e rifiutando la protezione delle armi. Nel 1996 furono assassinati. Anni prima uno di loro, Christian de Chergé, preparandosi a questa possibilità aveva scritto una lettera di perdono a “colui che mi ucciderà”.
La prima caratteristica distintiva di questo tipo di pacificazione è la solidarietà: quando la situazione si fa critica si rimane con la gente, non la si abbandona. Coloro che scelgono di rimanere – per breve tempo o per l’impegno di una vita – possono condividere le loro storie ed esperienze con le comunità nel paese di provenienza, estendendo così il cerchio di solidarietà. La seconda caratteristica della pacificazione nonviolenta è la trasformazione della paura: non le si permette di disumanizzare i rapporti o di diventare una scusa per ulteriore violenza. Tom Fox, il quarto membro del gruppo ucciso dai rapitori, alluse a questa tendenza qualche giorno prima del suo rapimento. Scrisse: “Le forze americane, nel loro sforzo di dar la caccia ai ‘terroristi’ e ucciderli, come risultato di questa parola disumanizzante stanno uccidendo non solo ‘terroristi’ ma anche iracheni innocenti: uomini, donne e bambini in varie città e villaggi... Appena privo un mio simile della sua umanità inizio un processo che può finire con la tortura, il ferimento e la morte.
Anche la pazienza e la tenacia sono caratteristiche della pacificazione nonviolenta. Queste sono qualità molto sottovalutate in un’epoca che cerca soluzioni rapide ad ogni problema. Ci vuole tempo per scoprire le cause ultime della violenza e dell’ingiustizia, e per cercare di affrontarle con il dialogo e la negoziazione. Si cerca di cambiare i cuori e le menti così che le soluzioni trovate siano durature e risolvano l’ingiustizia preesistente. Chi raccoglie storie di abusi o torture lo sa. Lo sa chi passa ore in sessioni di mediazione, cercando la verità di ogni parte in causa in modo che la gente possa andare avanti insieme.
Cercare di ottenere la verità di una situazione è ancora un’altra caratteristica, che il pacificatore americano Martin Luther King descriveva come “dire la verità al potere”. Per Norman Kember, e suppongo per gli altri pacificatori cristiani, una verità fermamente riconosciuta è che la violenza e la guerra non funzionano. E ancora una volta, coloro che scelgono questa particolare via verso la pace sono criticati. Purtroppo sembra che abbiamo dimenticato la nostra vocazione cristiana a predicare ciò che San Paolo chiama il linguaggio illogico della Croce, ricordando che il mondo vedrà ciò che i cristiani predicano come follia e pazzia.