Quale Costituzione?
La televisione ha mostrato come nasce un governo. Lasciamo da parte le difficoltà politiche dell'operazione, limitiamoci all'aspetto formale: le elezioni hanno espresso la vittoria di una coalizione, che al suo interno aveva indicato il proprio rappresentante, in questo caso Prodi. È
toccato al Presidente della Repubblica convocarlo per dargli l'incarico; l'incaricato ha accettato, ha presentato la sua compagine che ha giurato fedeltà alla Repubblica ed è andato alle Camere ad illustrare il programma di governo per chiederne la fiducia. Il voto del Parlamento gli ha dato la facoltà di governare.
Aspetti rituali e simbolici che dicono come si procede per dare senso alla sovranità popolare: il Presidente della Repubblica, al di sopra delle parti, rappresenta il paese nella sua interezza e autentica il governo uscito vincitore dal voto popolare; il Parlamento ascolta il nuovo Presidente del Consiglio e gli dà la fiducia, restando il luogo della sovranità popolare a cui è affidato il compito di fare le leggi; il Presidente del Consiglio esercita le sue funzioni nel rispetto delle garanzie democratiche.
Se il referendum del 25/26 giugno dovesse confermare la Costituzione "riformata", niente di tutto questo. Il Presidente del Consiglio – ormai chiamato "Primo ministro"- viene ritenuto eletto dal popolo perché capo della parte che ha vinto le elezioni e assume, senza chiedere la fiducia del Parlamento, il governo. Il Presidente della Repubblica riceve connotati notarili e ha poteri meno che simbolici. Il Primo Ministro governa autocraticamente - secondo i modi del populismo che fa vincere la propria squadra ed "elimina" gli altri, tenendo sotto controllo la sua coalizione che, se in disaccordo, può indicare un sostituto (cosa difficile senza ipotizzare una frattura radicale di presunti "traditori"), mentre, se si ravvisassero difficoltà non mediabili, lui stesso scioglie le Camere e porta tutti a elezioni anticipate.
Il potere di sciogliere il Parlamento non si trova in nessuna Costituzione democratica e anche il Presidente degli Usa - che ha il potere più grande di tutti, proprio perché un paese vastissimo, composto di stati con governi e legislazione propri, deve avere un riferimento centrale forte – non potrebbe mai mandare a casa Camera e Senato.
L'ordinamento della Costituzione ancora vigente prevede quei bilanciamenti che gli anglosassoni chiamano checks and balances e che rappresentano i bilanciamenti interni e i controlli reciproci che sono garanzie democratiche per i cittadini: le funzioni diverse della Presidenza della Repubblica, del Parlamento, del Governo, della Corte costituzionale
rappresentano proprio quell'armonizzazione delle funzioni dello stato che garantisce i cittadini. Nella versione berlusconiana tutto questo va perduto, perché anche la composizione della Corte costituzionale, a cui spetta dirimere le questioni di legittimità delle leggi e dei rapporti tra gli organi dello stato, viene alterata e si può prevederne la dipendenza dal governo. Allo stesso modo è stata esplicita in questi anni la richiesta di trascinare la magistratura al guinzaglio governativo.
Aggiungiamo che il Senato diventa "federale", nel senso che l'elezione riguarda candidati regionali (ma basta che siano residenti alla data di indizione delle elezioni), ma in realtà rappresenta gli interessi politici di governo più che le Regioni; tanto è vero che "partecipano all'attività del Senato federale senza diritto di voto rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali". Allora bene se il Senato diventa rappresentativo degli interessi locali, male, malissimo se comporta l'adeguamento alle politiche governative e toglie la possibilità di contare ai veri rappresentanti locali.
Naturalmente alla diversa funzione del Senato si collega la cosiddetta devolution, che è bene chiamare così, perché non si tratta di federalismo. Federare significa collegare con un patto, unire delle differenze e non dividere. Per quello che riguarda educazione, sanità, polizia locale, le regioni avranno potestà legislativa "esclusiva"(il che significa che il diritto allo studio o l'assistenza sanitaria saranno diverse e le regioni ricche avranno scuole e ospedali più avanzati, la povere dovranno misurarsi con i propri bilanci per giunta decurtati dallo stato) e nelle altre materie "concorrente". Contro il diritto di uguaglianza previsto dai "principi"della prima parte della Costituzione, ovviamente ignorato perché quelle che contano sono le ragioni dei ricchi e Berlusconi insegna in Tv che "non è pensabile che i figli degli operai ricevano la stessa istruzione dei figli dei professionisti".
Fare le leggi, poi, diventerebbe semplice e difficile insieme: semplice per il governo che propone, seleziona (ed esclude) l'opposizione, le cui proposte e i cui emendamenti vengono accolti e calendarizzati dal governo stesso; difficile anche per gli stessi legislatori che potranno trovarsi davanti leggi di competenza della sola Camera, del solo Senato, di entrambi, del Governo insieme con la Camera ecc.: tutto lavoro per i ricorsi alla Corte Costituzionale che si troverà davanti anche il contenzioso delle Regioni e resterà intasata fino a produrre la paralisi istituzionale. Il che significa che il nuovo testo è anche malfatto.
Infatti lo ha costruito il quartetto di Lorenzago con redattore Calderoli, ex-ministro (non ridiamo troppo) per le Riforme istituzionali e non i 75 che rispondevano ai nomi di Terracini, Calamandrei, Dossetti, De Gasperi, Mortati, Togliatti, Moro, Einaudi.
Che dire ancora? Che siamo in emergenza e che bisogna andare assolutamente a votare NO a questo referendum, diverso dagli altri (è senza quorum e "confermativo": se dovesse ricevere il consenso del popolo oltre a quello del Parlamento nella sua maggioranza governativa - come del resto aveva fatto sbagliando il centro-sinistra per votare il titolo V- ci dovremmo
tenere il nuovo testo per decenni), ma vitale per la democrazia in Italia.