Il principe, la giornalista e gli alpini
Si è detto e scritto molto sulle vicende poco
nobili di Casa Savoia.
Non voglio ritornare sulle volgarità, offese e
insulti di vario genere.
Mi limito - non per questo però il mio sdegno
per le offese alle altre persone è minore – a quanto il Principe avrebbe
detto nei confronti di Giuliana Sgrena, della sua liberazione e dell’uccisione
di Nicola Calipari.
Le parole irripetibili pronunciate – secondo le
intercettazioni pubblicate – dal Principe Vittorio Emanuele e dal suo
interlocutore Narducci sono di una volgarità e gravità inaudita. Come amico di
Giuliana e dei suoi genitori (abitiamo nella stessa zona, in provincia di
Verbania) non posso tacere la mia indignazione. Voglio esprimere la mia
vicinanza e solidarietà a Giuliana, nei confronti della quale i nostri
suddetti, al telefono, dopo averla ricoperta di insulti affermano che “bisognerebbe
portarla in una caserma di alpini e poi darla agli alpini che se la sollazzino!
e poi la buttan giù dalla montagna, morta, a pezzetti!”
Non
faccio ulteriori commenti.
Credo però che chi ha pronunciato frasi del genere
debba rendersi conto della gravità e avere il coraggio di chiedere scusa. Non
solo come uomo, ma ancor più come credente, visto che più volte è stato
nominato il nome di Dio e richiamata la profonda fede del Principe.
Proprio
perché nessuno sia tentato di pensare che Dio viene usato in modo strumentale;
proprio per non coinvolgere Dio nelle bassezze umane, ma per riscoprirlo capace
di toccare il cuore delle persone, di trasformare il cuore di pietra in cuore di
carne, credo sia doverosa, da parte del Principe, una pubblica richiesta di
scuse.
E
non sarebbe male se ci fosse anche un intervento da parte di qualche
rappresentante dell’Esercito Italiano a restituire dignità agli alpini, non
avallando un giudizio così pesante e infamante.
Anche
chi come il sottoscritto è contrario alla guerra e a tutti gli eserciti, non può
accettare che – pur rispettando la memoria delle migliaia di vittime delle
varie guerre, costrette ad andare al fronte per ordini che non potevano
discutere – un corpo militare del nostro esercito sia equiparato a una banda
di stupratori e assassini. Non lo sono certamente stati gli alpini morti in
Russia o in molti altri fronti. Non lo sono gli alpini che conosco oggi.
Ho
ritenuto doveroso intervenire, perché il silenzio di fronte a così gravi
affermazioni rischia di avallare una visione della vita e della persona che di
umano non ha più nulla.
27 giugno 2006
don
Renato Sacco
di
Pax Christi
parroco
di Cesara – VB