Questione di democrazia
La
Conferenza Episcopale Italiana “è l’unione permanente
dei vescovi delle Chiese che sono in Italia, i
quali per promuovere la vita della Chiesa, sostenere la sua missione
evangelizzatrice e sviluppare il suo servizio per il bene del paese esercitano
funzioni pastorali e, a norma del diritto, assumono deliberazioni legislative”
(articolo n.1 dello Statuto della CEI). Si tratta di un organo che è al vertice
della Chiesa italiana e della massima importanza e delicatezza. La stessa
Conferenza Episcopale è strutturata in organismi diversi.
Vi
è l’assemblea generale che è composta dai vescovi ordinari, ausiliari
e con incarichi nazionali (complessivamente circa duecentocinquanta membri). Non
ne fanno parte gli emeriti. Essa si riunisce una volta l’anno (sessione
ordinaria, a maggio ) e da un po’ di tempo in una sessione straordinaria (in
autunno). Ad essa compete l’approvazione di: istruzioni, documenti e note
episcopali, programmi pastorali, bilancio annuale.
Poi
vi è il Consiglio permanente che comprende il presidente, i
vice-presidenti, il segretario generale della CEI, i presidenti delle conferenze episcopali regionali e i presidenti delle commissioni
episcopali (una trentina di membri
in tutto). Si riunisce tre volte l’anno. Tra i compiti vi sono quelli di
emettere dichiarazioni o pubblicare documenti significativi e decidere su
tutti gli organismi per il funzionamento della CEI.
Poi
vi è la Presidenza della CEI. Si tratta di un organo con poteri di
delibera su atti di straordinaria amministrazione, come l’alienazione di beni,
la decisione di nuove voci di spesa. Ma decide
anche sulla convocazione dell’Assemblea generale, sceglie e stabilisce gli
argomenti all’ordine del giorno della stessa Assemblea. Di essa fanno parte i
vice-presidenti nominati dall’Assemblea generale. E, ovviamente, ne fanno
parte il presidente e il segretario generale.
Il
presidente è una figura importante perché rappresenta ufficialmente la
CEI, preside il Consiglio di presidenza e l’Assemblea generale, prende
le deliberazioni straordinarie urgenti. Si tratta di un organo di primo piano
nell’organizzazione della Chiesa italiana. Eppure il presidente, momento di
sintesi della Conferenza Episcopale Italiana, non è espresso, cioè non è
eletto direttamente dall’Assemblea generale, ma è di nomina pontificia (come
il segretario generale).
Nelle
altre Chiese europee il presidente della Conferenza Episcopale è eletto
dall’Assemblea generale. Il cardinale Karl Lehmann in Germania, eletto per ben
tre volte dai vescovi tedeschi.
Da
noi non è così. L’Assemblea generale è sollevatala questo onere di eleggere
il proprio presidente. Viene spiegato che è di nomina pontificia perché il
papa Pro tempore è anche
primate d’Italia. E che, pertanto, non potendo svolgere direttamente la
funzione di presidente, si faccia sostituire da un’altra persona.
Effettivamente
il Papa, stando ai tanti compiti che ricadono sul ministero petrino per
come è concepito e strutturato oggi, non ha il modo per dedicarsi più di tanto
alla Chiesa italiana. Ma perché non farsi “sostituire” da un vescovo eletto
dall’Assemblea generale della stessa CEI, cioè dall’organo che il
presidente dovrebbe presiedere? Perché non fare carico all’Assemblea generale
dell’onere della scelta? Così l’ Assemblea
generale si assumerebbe, nel bene e nel male, gli oneri e gli onori di
una scelta. Perché non provare a fare diversamente?
L’allora
vescovo J. Ratzinger avrà partecipato in Germania all’elezione del presidente
della conferenza episcopale tedesca. Proprio anche sulla base di questa
esperienza diretta, perché non fare anche così in Italia? Lo chiediamo con
affetto e rispetto.
Forse Benedetto XVI ha già pensato a questa opportunità se è
vero quanto ha riferito la stampa italiana secondo la quale egli avrebbe
chiesto, tempo fa, al Nunzio apostolico in Italia, Romeo, di avviare una
consultazione riservata tra i vescovi italiani sulle loro preferenze nella
scelta del presidente della CEI. Non sappiamo l’esito di questa consultazione.
Ma perché non fare un passo ulteriore e affidare all’Assemblea generale
ordinaria la responsabilità della scelta in modo aperto? La chiesa italiana non
deve essere un “caso” a parte rispetto alle altre chiese nazionali.
Il
cardinale Camillo Riuni, che ha
retto la presidenza della CEI per tre mandati, ha rassegnato le dimissioni
all’inizio del 2006. Deve essere nominato un nuovo presidente. Perché, lo
ripetiamo ancora, non decidere di farlo eleggere dall’Assemblea generale
ordinaria dei vescovi italiani?
Non
si vedono motivi negativi né di ordine teologico, né di ordine pastorale, né
di ordine giuridico. Semmai questa scelta avrebbe dei risvolti favorevoli
e positivi. La vita della Chiesa italiana, popolo di Dio in cammino nel
mondo sulla via segnata del Concilio, ne avrebbe un giovamento. Sarebbe un
segnale a tutte le comunità locali: un invito ad assumersi le proprie
responsabilità, ad impegnarsi direttamente nella corresponsabilità della vita
ecclesiale nel nostro tempo e nel nostro Paese. Sarebbe un invito alla
partecipazione ecclesiale per tanti cristiani e tante cristiane.
Anche
la società italiana guarderebbe a questo passo in avanti con occhi più attenti
e con più rispetto. Si darebbe l’immagine di una Chiesa più fresca, al passo
con i tempi, che vuole inculturarsi davvero nella situazione italiana, perciò
anche dentro la logica democratica.
Sarebbe
un’esperienza di democrazia nella Chiesa italiana. Non riguarderebbe certo una
questione circa la verità da credere. Sulla verità non si decide a colpi di
maggioranza: tutti i membri e gli
organismi della Chiesa, come popolo di Dio, sono sotto la parola di Dio. Si
tratterebbe, invece, di provare una
via di partecipazione democratica che attiene unicamente al modo
in cui la comunità ecclesiale organizza e
struttura il proprio servizio sotto la Parola di Dio, nello Spirito di Gesù,
qui e oggi, in Italia.
Sarebbe un segno di una Chiesa in movimento, che si interroga su se stessa a prova a rinnovarsi. Sarebbe il segno di una Chiesa che ascolta se stessa e, così, essere più capace di ascoltare gli altri e le altre nel Paese. Perché non provare a fare diversamente? Sarebbe un gesto di affetto, di amore e di fiducia verso la Chiesa italiana.