Maria di Magdala
Gli italiani difficilmente sanno che l’isola “della Maddalena” prende il nome dalla santa omonima e ancor meno conoscono la controversia che oppone alla “prostituta” la “predicatrice”. Opportunamente l’ “Alleanza internazionale Giovanna d’Arco” (associazione femminista nata a Londra nel 1911 per volere di donne cattoliche solidali con le lotte per il diritto di voto) ha promosso un convegno storico-teologico su “Maria di Magdala, apostola di Gesù” proprio nell’isola così denominata.
È incredibile quanti siano stati e siano i luoghi di devozione intitolati alla “Maddalena” che, in Italia e in Francia, hanno numerosissime testimonianze cartacee, architettoniche, scultoree e, a partire dal sec. XI, ci dicono di una fama grandissima nei secoli anteriori e segnano suggestivamente un percorso che, come vuole la tradizione, va dalla Palestina – da dove emigrò come gli altri apostoli – alla Puglia, all’Italia meridionale, alla Sardegna, alla Provenza. E a Marsiglia si può vedere la santa effigiata da predicatrice su un pulpito, come era dovere di colei che aveva ricevuto per prima l’annuncio della resurrezione e il compito di riferirlo agli altri.
Difficilmente questa donna può essere la prostituta di cui parla il vangelo di Luca, anche se a continuazione sono registrati altri nomi di donne, tra cui Maria di Magdala stessa, per la probabile intenzione dell’evangelista di riferire che i seguaci del Cristo non erano unicamente uomini. Solo la sordità maschile rese gli apostoli incapaci di darle “parità”, così come i padri della chiesa si guardarono bene dal darle valore (è la nuova Eva, ma “è pur sempre una donna” dice Ambrogio).
Eppure san Tomaso, che non era di manica larga, la definisce apostola apostolorum. Luca, dopo aver ricordato che Giovanni il Battista era accusato di essere indemoniato, racconta di donne guarite da Gesù, tra cui Maria di Magdala, dalla quale erano usciti “sette demoni”.
L’antropologia culturale può non solo spiegare il significato dei “demoni” nella tradizione, ma collegare il termine al disagio tipicamente femminile, che induce donne di particolare sensitività o in particolare stato di insofferenza del loro ruolo ad uscire da sé. E questo è segno di trasgressività e denuncia sociale, non di peccato. Tuttavia l’iconografia conferma lo stereotipo della “lasciva e penitente”, come la rappresentò in un dramma del 1700 G.B. Andreini, mantenendo l’equivoco delle raffigurazioni della bella donna eremita, spesso – soprattutto dopo la Controriforma – ammiccanti e allusive.
La chiesa mantenne la tradizione più tranquilla per le autorità maschili: meglio santificare una prostituta pentita che riconoscere un’apostola predicatrice.