Per onorare davvero tutti i caduti. Sostegno al vescovo Nogaro
Abbiamo vissuto un giorno di lutto, di silenzio, di vicinanza con tutte le famiglie di tutte le vittime civili e militari. Tutte vittime di una violenza cieca e assurda che è sempre “alienum a ratione” (estranea alla ragione, roba da folli) per dirla con l’Enciclica Pacem in terris di cui quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario. In questo senso il dolore che colpisce una famiglia del nostro condominio deve educarci piuttosto a farci sentire vicini al lutto delle famiglie che abitano in tutta la strada ed evitare che distrazione, ignoranza, connivenza, superficialità, indifferenza, possano arrecare dolore a chiunque altro.
A queste vittime va riservato il rispetto che si deve a coloro che hanno pagato con il prezzo più alto questa follia della violenza, del terrorismo e della guerra.
A nessuno è consentito di speculare sui loro nomi, sul loro sacrificio, sulla loro morte e sul dolore di chi resta… per riproporre trionfalisticamente la stessa logica di guerra che ha tolto loro la vita.
A nessuno deve essere permesso in queste ore di approfittare del dolore dell’intera nazione per ripresentare alla grande la retorica del più becero patriottismo di ritorno.
A nessuno di arrogarsi il diritto di nascondere le altre morti – altrettanto dolorose – dietro il clamore dei morti di cittadinanza italiana.
A nessuno di usare questi momenti per nascondere la verità dei fatti: i reparti del nostro esercito non sono legittimati dal diritto internazionale alla presenza sul suolo iracheno al fianco delle forze di occupazione anglo-americane.
Le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II che tante volte sono risuonate ferme e chiare nei mesi scorsi, non hanno smesso di essere valide ancora oggi: “La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi". (Discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 13 gennaio 2003).
D’altra parte Giovanni Paolo II non aveva mancato di ammonire i capi dei governi dicendo: “Di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l'equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne - dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare; c'è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare”. (Angelus del 16 marzo 2003)
Tutto il sostegno possibile allora al Vescovo di Caserta Mons. Raffaele Nogaro che, nella stessa linea, afferma: “Fenomeni come il terrorismo non si combattono con le armi. Bisogna fare attenzione a non esaltare il culto dei martiri e degli eroi della patria strumentalizzando la morte di questi nostri giovani per legittimare guerre ingiuste".
Questa sorta di religione civile che è andata snodandosi con le sue ritualità da quel tragico 12 novembre non può contare tra i suoi accoliti coloro che credono nella nonviolenza. Hanno tentato di sostituire gli arcobaleni dai balconi con il tricolore ponendoli in opposizione, di riempire le strade gareggiando con il 15 febbraio. Mi dispiace: è un esercizio squallido che non mi appartiene e dovrà fare a meno di me. Con Pax Christi da anni siamo in continuo contatto con la Chiesa caldea che non è mai fuggita. È rimasta lì, accanto alla gente durante gli anni terribili delle guerre in Iraq, nel gennaio 1991, negli anni dell’embargo e nei mesi di questa guerra che sembra non avere più fine.
Con loro continuiamo a dire che non sarà la forza delle armi a liberare dal terrore quella terra.