Shirin Ebadi e metodologia concreta di pace
Chi ha letto l'intervento con cui si chiuderà il 27 settembre a Venezia la conferenza Food and Water for Life, avrà pensato: ci voleva una donna.
Per la verità, quando si parla di trovare vie per un futuro che consenta alla pace di coniugarsi con lo sviluppo, non ci sono preclusioni "di genere" negli sforzi di formulare proposte concrete. Tuttavia è stata una donna, Shirin Ebadi, non a caso premio Nobel per la pace, a dire cose che dovrebbero diventare non solo provocatorie, ma costruttive di politiche innovative per governi, politici, associazioni e singoli che abbiano a cuore non solo i principi ideali del pacifismo e dello sviluppo umano, da sempre in conflitto, ma anche la possibilità di incidere nelle differenti politiche locali, nazionali e internazionali.
Le due enunciazioni dell'insigne giurista iraniana sono pienamente condivisibili e totalmente iscrivibili nelle scelte dei paesi occidentali disposti a ragionare in termini non platonici di lotta alla fame nel mondo, di sviluppo, di cooperazione:
1°) in un paese che chiede prestiti o aiuti internazionali il budget militare non deve superare il totale del budget per l'istruzione e la sanità;
2°) se un Paese povero non è in grado di ripagare il proprio debito estero, avrà il debito annullato se scioglie il proprio esercito.
Agli applausi formali che domani accoglieranno l'intervento conclusivo della Conferenza si accompagneranno dichiarazioni di perplessità di uomini, anche giovani ma di vetusta esperienza, che, da destra o da sinistra rileveranno assurdità in questo (sono sicura che tra loro diranno così) "ragionamento da donna". Anche ai paesi poveri va garantita la sovranità - diranno - e, quindi, la difesa. Ovviamente per i dubbi certamente realistici poco conta che siano i paesi dell'Occidente ad avere potenti interessi nel mercato delle armi perfino quando siano prodotte in aree del Sud del mondo su loro brevetti, o che sia ugualmente lucroso cooperare mediante devoluzioni di beni e concessioni di prestiti non disinteressati.
L'antimilitarismo è oggi in crisi nel mondo, nonostante l'evidente necessità di ragionare in termini di scelte graduali e selettive di disarmo e perfino diversi esperti militari sono molto più cauti dei politici conservatori dell'Occidente. Anche alla base dei paesi occidentali, responsabili indirettamente della conflittualità diffusa nelle società che non abbiamo più il coraggio di definire "in via di sviluppo", la mancanza di bacchette magiche induce gli stessi sostenitori della nonviolenza radicale o a rinunciare all'impegno politico (che è fatto di idee e proposte e non di solo movimentismo) o ad operare scelte che indirizzino le coscienze e riprendano la via di percorsi ampi di iniziativa.
Shirin Ebadi avanza proposte che l'establishment non avrà il coraggio di accogliere. Ma forse sono in qualche modo realistiche. Se vengono da una donna, meglio: può essere un'occasione da non perdere per molte altre donne che non aspettano altro per poter dare una mano a non distruggere il mondo.