La giustizia e le inaugurazioni
I Cobas un complimento così dal ministro Castelli non se l’aspettavano: essere pietra di paragone con la magistratura! I magistrati si sono compiaciuti un po’ meno, anche se alle offese si sono abituati in questi anni di governo della Casa delle Libertà: il pool di Milano è stato “come la banda della Uno Bianca” oppure anche “un cancro da estirpare”, per non dire gli apprezzamenti lombrosiani del Capo del Governo all’intera categoria: “I magistrati sono matti, mentalmente disturbati, antropologicamente estranei alla razza umana”. Questo stile ha conferito all’annuale inaugurazione dell’anno giudiziario un carattere particolare, perché i resoconti giornalistici hanno dato spazio alla “toga nera”, espressione di lutto dei giudici, e alle accuse al sistema giudiziario da parte dei rappresentanti di governo più che alle statistiche dei delitti nei diversi distretti.
I guai reali sono quelli denunciati dai giudici: se vogliamo partire dal fondo, che dire della mancanza di carta nelle cancellerie o delle aule infestate dai topi? A Milano la cerimonia è durata pochi minuti per le
condizioni di inagibilità del Palazzo di Giustizia e non c’è stato procuratore della Repubblica che non abbia denunciato le ristrettezze in cui si svolge il lavoro dei giudici.
La crisi della giustizia - che è reale - nasce da situazioni che negli anni si sono incancrenite. Lo Stato ha sempre investito meno dell’1 % in questo dicastero e, mentre il contenzioso veniva crescendo - come accade nelle società democratiche e affluenti -, il personale, al contrario, è diventato insufficiente e le strutture inadeguate. I giudici sono da sempre i primi a denunciare le difficoltà di sistema, ma, se la giustizia non è una priorità per il governo, le cose sono destinate a peggiorare. Giusta, dunque, la denuncia dei soprusi attuali e futuri che già danneggiano e ancor più danneggeranno i cittadini.
Si sente dire che la crisi risale alle conseguenze di “tangentopoli” e dei giudici che, per aver denunciato le corruzioni, non potevano che essere comunisti. Questo è un punto capitale, perché ha influito sul distacco di parte della pubblica opinione meno provveduta che, dopo aver partecipato al gioco al massacro costruito su giuste denunce per crimini oggettivi, si è trovata sensibile a rovesciare lo stesso meccanismo dai politici sui giudici. La giustizia, purtroppo, non è per gran parte degli italiani il problema numero uno: basta pensare ai tanti falsi invalidi che percepivano una pensione clientelare per capire quanto l’età dei Borboni si protenda ancora nel costume.
Per questo l’ “allarme giustizia” va preso sul serio, aldilà delle lamentele perché i processi sono troppo lunghi o perché i giudici rimettono in libertà gli scippatori fermati dai poliziotti. Infatti il rovesciamento di ruoli visibilmente ostentato nelle inaugurazioni, con i rappresentanti del governo che già intaccavano l’autorità della magistratura con accuse e commenti caustici del tutto impropri in una cerimonia che, probabilmente obsoleta come tanti riti, conserva il valore simbolico di messa in comune del bilancio su questioni civiche fondamentali, indica che il livello di pericolo per l’indipendenza dei giudici si è alzato. Non è un mistero, infatti, che il governo è orientato a violare la Costituzione – che quell’indipendenza impone - e a mettere la giustizia sotto il proprio controllo.
Quando il ministro della Giustizia sbandiera che “il primo problema è il rapporto tra il potere politico e il potere giudiziario”, confessa che è in questione l’autonomia del giudice, mentre il giudice deve certamente applicare le leggi (e oggi è costretto pure a depenalizzare il falso in bilancio), ma non può sottostare a direttive che - a puro titolo di esempio - sottraggano al giudizio un imputato che, anche quando sia primo ministro, è un cittadino come tutti.
Le riforme della Costituzione sono dietro l’angolo - a partire dalla proposta di politicizzare la Corte Costituzionale e di rinnovare il Lodo Schifani - e il governo possiede cento voti in più delle opposizioni per approvarsele.
Occorre pertanto saper leggere bene le proposte che riguardano l’assetto futuro della nostra democrazia, anche se riguardano questioni la cui stessa terminologia risulta ostica per chi non se ne intende. Pensiamo un solo esempio: le relazioni dei Procuratori hanno concordemente indicato che il fallimento e la bancarotta sono reati in crescita esponenziale. Ora è noto che la sofferenza della macchina giustizia è maggiore nel campo civile e che il personale non ce la fa; ma occorre anche dire che le leggi (e qui dovrebbero impegnarsi i politici) hanno bisogno di integrazioni e correttivi: la criminalità economica viene oggettivamente favorita da una situazione in cui la legge societaria è troppo vecchia per essere funzionale e il falso in bilancio rappresenta l’innovazione secondo Berlusconi, per il quale “tangentopoli” non era un problema (non è forse sotto processo per accuse di corruzione?) perché il mercato non vuole leggi e controlli.
Ma Parmalat docet!