La passione civile dei giudici

26 gennaio 2004 - Giancarlo Caselli

INTRODUZIONE

Presidente, Colleghi della Corte d’appello qui riuniti in Assemblea generale, Magistrati di tutti gli uffici del Distretto, Magistrati onorari, Giudici di Pace, Avvocati, Autorità, Signore e Signori.
Prima di presentarVi la relazione sull’amministrazione della giustizia nel Distretto, voglio esprimere (sicuro anche quest’anno di interpretare un sentimento comune) l’augurio che la nostra città e la nostra regione - pur dovendo ancora affrontare gravi problemi, spesso complicati dal quadro internazionale – continuino a reagire con positiva determinazione alle difficoltà. Così da evitare nuove, pesanti ricadute; ma soprattutto, così da investire concretamente in sviluppo e coesione sociale.
Reso il dovuto omaggio al Presidente della Repubblica, desidero salutare i rappresentanti del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia, nonché i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Magistrati e dell’Avvocatura, grato per il contributo di riflessione che sapranno fornire.
Un apprezzamento riconoscente ed un saluto particolare vanno poi indirizzati a tutto il personale amministrativo, sempre capace di esprimere un serio impegno di lavoro, pur in condizioni a volte drammatiche. E ancora, alla Polizia di Stato, all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla Polizia penitenziaria, alle Polizie municipali, ai Vigili del fuoco, alle Guardie Forestali e a tutti coloro - appartenenti ad enti pubblici o volontariamente operanti – che efficacemente collaborano con l’amministrazione della giustizia.
Nel tempo preso in esame, tra il luglio 2002 ed il giugno 2003, numerosi colleghi sono stati collocati a riposo e altri sono stati trasferiti. Per tutti (scusandomi con gli altri, che non posso menzionare ad uno ad uno) vorrei ricordare con affetto Emilio Giribaldi.
Con tristezza ricordo (insieme al collega Federico De Rosa) gli avvocati che la morte ha tolto al lavoro ed agli affetti, elencati nel testo scritto della relazione.
Più recente - oltre il periodo qui considerato, ma da ricordare ora, con eguale tristezza - la scomparsa del dott. Alberto Ugona, valido e capace coordinatore dei Giudici di pace e la scomparsa dell’avv.to Vittorio Negro, forte testimonianza di un antifascismo che è stato soprattutto rivendicazione e difesa dei diritti primari della persona.
Infine, ricordo la dolorosa scomparsa di grandi figure (il prof. Alessandro Galante Garrone;- l’avv.to Vittorio Chiusano;- il presidente Luigi Conti) che hanno svolto – ciascuno per la sua parte – ruoli di eccezionale significato e rilievo, davvero indimenticabili per la cultura piemontese e nazionale, non soltanto giuridica. La certezza che continueranno ad essere un ideale punto di riferimento, non diminuisce la nostra accorata afflizione;- che anzi cresce, constatando come siano venuti meno - purtroppo - anche l’avv.to Giovanni Agnelli ed il prof. Norberto Bobbio. E’ vero: ci sentiamo tutti un po’ più soli.
Ci onorano con la loro presenza i parenti dell’app. Guerini, morto a Ceresole d’Alba nel corso di un’operazione di servizio, ed i parenti di alcune vittime di Nassiriya (il s.ten. Cavallaro, l’app. Filippa). La riconoscenza incondizionata per il loro sacrificio, ci spinge ancor più a ricordare come la risposta ai problemi della sicurezza internazionale e della minaccia terroristica non possa essere soltanto repressiva. Quando alla disperazione si contrappone soltanto uno schieramento armato (negando aiuti effettivi alla sanità, all’istruzione, allo sviluppo), quando i diritti diventano ostaggio della sicurezza: si consolidano ingiustizie che sono nemiche della pace. Pace che per il nostro Paese (in base all’art. 11 della Costituzione) rappresenta un obiettivo da perseguire senza “distinguo”, facendo costante riferimento ad un ordine internazionale garantito da istituzioni (l’ONU) capaci di andare oltre gli interessi dei singoli e sottratto ai condizionamenti dettati dalla forza economica di questo o quello stato. Perché non ci sono stati che possano arrogarsi il potere di decidere quando e come imporre la guerra o garantire la pace: se non a prezzo della fine delle regole e del diritto.

1. FUNZIONAMENTO IN GENERALE DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

Il quadro che complessivamente emerge – anche quest’anno – dalla lettura delle relazioni pervenute dai vari uffici del Distretto è di forte malessere. I punti critici sono essenzialmente due: l’effettività del servizio giudiziario (vale a dire la sua capacità di dare risposte tempestive e adeguate, a fronte di una richiesta di tutela che cresce di continuo); il ruolo della giurisdizione nel sistema politico.

1.1 - La crisi è di entità tale che richiede ( accanto alla razionale gestione dell’esistente) un progetto innovativo di ampia portata. Invece, la sempre più grave disorganizzazione della macchina giudiziaria impedisce ogni razionale gestione, mentre un vero progetto di riforma è proprio quel che manca nel nostro Paese. E questo perché prevale una concezione della giustizia, se non sempre “proprietaria”, spesso concentrata su obiettivi - quali la riduzione del controllo giudiziario sui poteri forti e la delegittimazione della giurisdizione – che sono incompatibili con un cambiamento che sappia svilupparsi sul terreno della ragione, degli argomenti, della ricerca delle soluzioni più utili e produttive.

1.2 - Risolvere i conflitti tra i cittadini (o tra i cittadini e le istituzioni) e assicurare il rispetto delle regole poste dalla legge (accertando e reprimendo le relative violazioni): è il compito della giurisdizione. Predisporre i mezzi - organizzativi e legislativi - perché ciò avvenga in modo adeguato e tempestivo, assicurando condizioni di serenità all’esercizio della giurisdizione: è compito della politica. Se ciò non avviene, se la politica non assolve questo suo compito, a risentirne non sono i magistrati, ma la società nel suo insieme. E la qualità della convivenza civile non può che peggiorare.

1.3 - Le controversie civili aumentano in quantità e in qualità. L’esigenza di un controllo di legalità diffuso (cioè senza zone franche) è sempre più avvertita. Ciò accade ovunque nelle democrazie avanzate (gli esempi degli Stati Uniti e del Regno Unito sono sotto gli occhi di tutti), non solo in Italia. Attribuirlo – in Italia - a protagonismo dei giudici o a contingenti ragioni di supplenza è improprio e inadeguato. Le scelte di valore sono (tutte e solo) della politica, ma l’intervento di pubblici ministeri e giudici - per dare risposta alle domande di chi deduce la lesione di propri diritti e per realizzare il controllo di legalità previsto dalla legge - è imprescindibile. Perciò è un intervento fisiologico, non supplente. Conseguentemente, va assunto come elemento stabile nell’equilibrio del sistema.

1.4 - Tra giurisdizione e politica non può esserci competizione. Il sistema di relazioni deve essere imperniato sul reciproco, rigoroso rispetto dei rispettivi ambiti di intervento. Solo la credibilità di entrambe (giurisdizione e politica) dà equilibrio e serenità al sistema, mentre la delegittimazione dell’una incide, inevitabilmente, anche sull’altra. Una società sana non può prescindere dal consenso sociale nei confronti delle sue istituzioni politiche e giudiziarie (che è tutt’altra cosa, ovviamente, dal consenso sulle specifiche decisioni dell’una o dell’altra). Per questo l’abitudine - diffusa anche in vertici delle istituzioni - di delegittimare e insultare la magistratura in quanto tale (al punto di definire i magistrati come “pazzi”), oltre ad essere sintomatica di un uso distorto o deviato delle parole, rischia di causare una grave ferita al sistema di convivenza civile. Come stupirsi se, a seguito di tali comportamenti, si diffonde - in una parte della società - un senso di sfiducia pregiudiziale nell’operato dei giudici? Può darsi che qualcuno pensi di poter ricavare – da questa situazione – contingenti utilità, ma ne avrebbe una soddisfazione egoistica e di corto respiro. Perché nei tempi lunghi, tutti (proprio tutti) finirebbero per toccare con mano che, così, una società non regge.

1.5 - La legittimazione dei magistrati, in uno Stato di diritto, non sta nel livello di condivisione sociale della singola decisione, ma nel rigoroso rispetto delle regole. Restano ferme, al riguardo, le fondamentali parole di un noto giurista : “Deve poter esserci un giudice indipendente che interviene a riparare i torti subiti, a tutelare il singolo anche se la maggior parte o persino la totalità degli altri si schierano contro di lui, ad assolvere in mancanza di prove quando l’opinione pubblica vorrebbe la condanna o a condannare in presenza di prove quando la medesima opinione vorrebbe l’assoluzione”. Valutare l’intervento giudiziario alla stregua della sua utilità contingente - anziché della sua correttezza e del suo rigore - ha avuto ed ha effetti gravi, che non dovrebbero sfuggire a chi ha a cuore la cosa pubblica.

1.6 - La critica nei confronti dei provvedimenti giudiziari (dei pubblici ministeri e dei giudici), è, come per qualunque altro atto di pubblici poteri, il sale della democrazia. Perché solo dalla critica si possono trarre elementi per valutare e correggere eventuali errori o inadeguatezze. E la critica non tollera aggettivi: semplicemente deve essere tale (cioè specifica e legata a dati di fatto enunciati e documentati). Tutt’altra cosa sono l’accusa apodittica, l’insulto o l’arte della confusione delle parole (quella, per esempio, che chiama “assoluzione” la “prescrizione” o, addirittura, la condanna per una parte soltanto degli addebiti...). Questo tipo di atteggiamento è particolarmente grave – e delegittimante – perché si avvale dell’assenza di contraddittorio, non essendo consentito ai magistrati di ricostruire decisioni ed elementi di prova altro che nelle aule di giustizia.

1.7 - Il rispetto delle parole impone, anche, di non scambiare la giurisdizione con la lotta politica e l’indipendenza e il pluralismo con una impropria “politicizzazione”. Come non ricordare – su questo tema - il famoso passaggio di Piero Calamandrei (tratto dall’Elogio dei giudici scritto da un avvocato) relativo al giudice toscano Aurelio Sansoni?: “Qualcuno – scrive Calamandrei - nei primi tempi del fascismo lo chiamava anche il ‘pretore rosso’; e non era in realtà né rosso né bigio:….. era semplicemente un giudice giusto: e per questo lo chiamavano ‘rosso’ (perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria)”. Parole che sostanzialmente coincidono con quelle di un altro grande italiano, Alessandro Galante Garrone, che ammoniva : “troppe volte ho sentito nell’accusa ai magistrati di ‘fare politica’ un sentimento di insofferenza verso il giudice che, semplicemente, compie il suo dovere fino in fondo” . Con l’amara conseguenza che “a volte non basta, per un giudice, essere onesto e professionalmente preparato. In certe situazioni storiche, per poter ricercare e affermare la verità, con onestà intellettuale, bisogna essere combattivi e coraggiosi” .
Parole perfettamente corrispondenti alla stagione che stiamo vivendo, se è vero – com’è vero – che il pensiero oggi prevalente (prevalente perché ormai sostanzialmente unico a trovare spazio sui più potenti media) vorrebbe individuare i responsabili di quasi tutti i mali del Paese nei magistrati “politicizzati”, come tali additati ossessivamente all’opinione pubblica. La definizione – è facile rilevarlo dalle cronache – è riservata ai magistrati che non si sottraggono al confronto sui diritti e sulla giustizia, insinuando che la partecipazione del magistrato al dibattito politico-culturale lo rende sospetto a chi non ne condivide le idee. Affermazione suggestiva ma deformante, perché l’estraneità del magistrato dalla società è, anzitutto, illusoria. Anzi: sono proprio la cosiddetta “apoliticità” e l’indifferenza (come prova l’esperienza) a consentire fenomeni di subordinazione o di strumentalizzazione del ruolo. “Passione civile e imparzialità nel processo (cito lo scritto di un Collega) non sono concetti antitetici o incompatibili. L’imparzialità è disinteresse personale, estraneità agli interessi in conflitto, distacco dalle parti, non anche indifferenza alle idee e ai valori (che sarebbe assai pericolosa in chi deve giudicare). Nuocciono ad essa la partecipazione alla gestione del potere, i legami affaristici, il coinvolgimento in conflitti personali e di gruppo; non anche la partecipazione al dibattito e al confronto culturale. Il buon magistrato non persegue e non giudica idee e neppure «amici» o «avversari», ma solo persone chiamate a rispondere di fatti specifici, e lo fa indipendentemente dalle idee, dalle caratteristiche personali, dalle convinzioni, dal colore della pelle del destinatario del giudizio”.
Certo: anche l’apparenza può nuocere all’immagine di imparzialità. Può accadere, e bisogna far di tutto per evitarlo. Ma non è l’esercizio dei diritti civili da parte dei magistrati che può appannare l’immagine della giustizia, se si ragiona sui fatti. E’ invece la cultura di chi si inventa complotti giudiziari, disegni politici realizzati mediante l’azione penale, persecuzioni per motivi di parte;- sono invece gli schemi mentali di chi ricerca supposte «appartenenze politiche» di giudici e pubblici ministeri: sono questa cultura e questi schemi che assestano colpi micidiali all’immagine della giustizia.

1.8 – Parlare di “complotti” e “politicizzazione” (alterando i dati della realtà) serve anche a parlar d’altro rispetti ai problemi davvero essenziali al buon funzionamento del servizio giustizia. Che sono problemi di efficienza ed organizzazione.
Sono conosciute - e condivise da tutti i magistrati - le preoccupazioni dell’ A.N.M. al riguardo: “La situazione della giustizia sotto il profilo della organizzazione dei servizi, diretta responsabilità del Ministro della giustizia, è semplicemente drammatica. In molte sedi mancano i fondi per la stenotipia, e persino per la carta delle fotocopiatrici…”. Vero è che non si possono non inserire questi problemi nel quadro dei tagli generalizzati della spesa pubblica: ma il bilancio sulla situazione della giustizia rimane quello drammatico sopra tracciato. Nonostante le asserzioni del Ministro, secondo cui nell’ultima – come già nella scorsa finanziaria - andrebbe alla giustizia la più alta percentuale del bilancio dello stato nella storia della Repubblica. Per ora i magistrati ed il personale ausiliario non se ne sono accorti. Ma soprattutto non se ne sono accorti i cittadini. Ed in ogni caso, quanto alle spese d’ufficio persiste un’obiettiva grave insufficienza dei fondi, che determina spesso persino l’impossibilità di effettuare acquisti già programmati.
Con la carenza dei mezzi si intrecciano i problemi del personale. Ancora l’A.N.M. ricorda che sono stati a lungo bloccati e “comunque vanno avanti a grave rilento i concorsi per il personale amministrativo e per gli uditori” ;- e che “ogni ipotesi di revisione delle circoscrizioni è stata abbandonata, con lo stralcio del relativo punto dalla proposta di riforma dell'ordinamento giudiziario” . Situazione tanto più grave nel nostro Distretto: se si considera, ad esempio, che il D.M. 23 gennaio 2003 (che ripartisce un contingente di 546 posti di magistrato recati in aumento dalla legge 13.2.2001, n. 48) non ha preso in considerazione il Tribunale di Torino. Forse ritenendo – a torto – che le risorse attuali siano sufficienti ( con il che l’impegno profuso ai limiti della sopportabilità invece di essere premiato rischia di finire condannato…..).
Particolarmente critica è la situazione del personale amministrativo: nel nostro Distretto l’indice di copertura non raggiunge neppure l’80%, con gravi riflessi sulla funzionalità di tutti gli uffici. L’insufficienza del personale amministrativo, infatti, ostacola una tempestiva esecuzione di numerosi e svariati adempimenti. Alcuni Tribunali (Asti, Biella) segnalano persino che l’insufficiente numero di assistenti d'udienza è causa di limitazione del numero delle udienze settimanali e della durata delle stesse.
Sarebbe indispensabile, sostengono vari Dirigenti del Distretto, ricorrere a strumenti capaci di colmare le lacune che costantemente si verificano, adottando, come avviene in altre amministrazioni (la Pubblica istruzione, ad esempio), immediate forme di supplenza. Frattanto, basterebbe che il Ministero – ad esempio - desse seguito almeno ad alcune delle oltre 100 domande di “mobilità” da altre Amministrazioni al Tribunale di Torino che invece restano senza risposta (ma una circolare del novembre 2002 sembra vanificare ogni speranza in tal senso….), oppure scongelasse i c.d. progetti finalizzati, che consentirebbero congrui riconoscimenti economici al personale amministrativo che più si sacrifica.
Per ovviare a questa situazione, si fa un massiccio ricorso al lavoro straordinario. Ma il personale che ne è richiesto, in base al contratto collettivo nazionale di lavoro, preferisce spesso il recupero in giornate di assenza dal servizio anziché il pagamento del corrispettivo, determinando involontariamente un ulteriore disagio nell’ufficio già carente di personale.

Piacevole novità – da segnalare positivamente nel nostro Distretto - è che la strumentazione informatica ha aumentato notevolmente la funzionalità dei servizi sia penali che civili, così da contrastare in qualche maniera l'insufficienza numerica del personale amministrativo:
· Torino è stata scelta dal Ministero quale sede-pilota per il programma applicativo del Testo Unico sulle Spese di Giustizia (di imminente installazione);
· per il settore penale, il Tribunale di Torino è sede-pilota del programma TR.IN. (sigla per indicare il cd. “Tribunale Intelligente”);
· nel Tribunale di Torino è stato raggiunto l’obiettivo dell’assegnazione di una postazione lavoro per ogni magistrato sia del settore civile che del penale, nonché per ogni operatore.
Nello stesso tempo, vari uffici lamentano la rapida obsolescenza del materiale informatico nonché numerosi guasti, alla riparazione dei quali spesso non si riesce a provvedere nei tempi necessari per la “solita” insufficienza dei fondi disponibili.


1.9 - Il problema centrale della giustizia italiana, come più volte ha sottolineato il Presidente della Repubblica, è quello della lentezza dei processi. E la situazione, purtroppo, non accenna a migliorare.
Il Presidente del Tribunale di Torino, ad esempio, riferisce che i processi che affluiscono alle Sezioni penali aumentano ad ogni mese in maniera esponenziale, con una continua ed irreversibile lievitazione dell’arretrato (si pensi che in una delle Sezioni risultano già fissati, alla data del 21/7/2003, circa 750 processi a citazione diretta fino all’11/2/2004, mentre sono in lista di attesa altri 600 processi circa, che saranno dunque fissati dopo l’11/2/2004, quando la giacenza avrà presumibilmente attinto se non superato le 1.500 unità). Tale stagnazione ha poi subito un ulteriore peggioramento a seguito dell’entrata in vigore della normativa sul c.d. patteggiamento allargato, che in pratica – calcolando anche la sospensione dei termini feriali – ha comportato un ulteriore differimento della maggioranza dei processi di altri tre mesi.
Dunque, sulla lentezza dei processi non si vede nessun intervento e semmai vi è il rischio di passi all'indietro. Certamente non comporterà nessun miglioramento (neanche minimo) sul piano della razionalizzazione e dello snellimento delle procedure, e ancor meno sul piano dell’organizzazione dei servizi giudiziari, quel mito ( nel senso di vicenda “esemplarmente idealizzata in corrispondenza di una carica di eccezionale e diffusa partecipazione fantastica…che ha il duplice intento di esemplificare o riassumere un processo logico oppure di sostituirsi alla razionalità” ), quel mito – che di fatto sembra ormai destinato a tradursi in riforma ordinamentale – che è la cosiddetta “separazione delle carriere”.

2. LA GIUSTIZIA PENALE

2.1 – Considerazioni di carattere generale.

Vari uffici del Distretto prospettano, innanzitutto, rilievi sul piano della c.d. “tecnica legislativa”, anche richiamando pronunzie della Suprema Corte che definiscono “sciatta” ed “involuta” la formulazione di alcuni testi normativi. Il Procuratore della Repubblica di Cuneo, ad esempio, ricorda la legge 1/8/03 n. 214 recante modifiche al codice della strada, che ha trasferito al Tribunale la competenza per il reato di guida in stato di ebbrezza, dimenticando di farlo per l’analoga contravvenzione di guida in stato di alterazione psicologica per uso di sostanze stupefacenti. E osserva come i sempre maggiori problemi interpretativi ed i conseguenti contrasti giurisprudenziali creano sconcerto tra i cittadini a causa della continua ”incertezza” del diritto.

Per illustrare alcuni problemi insorti nel corso dell’attività giudiziaria dell’ultimo anno, il Procuratore della Repubblica di Torino segnala innanzitutto la vicenda c.d. “Telekom-Serbia”. Non spetta certamente al Procuratore Generale esprimere un giudizio sul merito dell'attività svolta e sui risultati eventualmente conseguiti. Ma credo sia difficilmente disconoscibile che raramente un’inchiesta giudiziaria è stata affiancata, contestualmente al suo materiale svolgersi, da un’inchiesta parlamentare sui medesimi fatti; - ed ancora, da una serie di inchieste giornalistiche svolte da organi di informazione sostanzialmente “schierati” sull’una o sull’altra sponda politica. Le riflessioni che ne scaturiscono (anche secondo il Procuratore della Repubblica di Torino) sono essenzialmente due. La prima è che appare opportuna una riforma che definisca con maggiore chiarezza gli ambiti di competenza delle inchieste istituzionali, in quanto non può sottacersi che si sono verificati dei momenti di difficoltà, anche se attualmente sembrano del tutto superati.
La seconda, e più rilevante riflessione è che proprio questa vicenda serve a dimostrare, qualora ve ne fosse bisogno, la fondamentale importanza che le indagini siano svolte da un PM inserito nell’ordine giudiziario e garantito, nella sua assoluta indipendenza, da un CSM composto in prevalenza da appartenenti all’ordine giudiziario. Le prospettive che si aprirebbero qualora l'organo giudiziario di accusa dovesse rispondere (o fosse praticamente indifeso) di fronte ad un potere politico, di qualsiasi colore e di qualsiasi maggioranza, che lo potesse indirizzare secondo i suoi contingenti interessi, sarebbero infatti a dir poco inquietanti.

Quanto alle principali modifiche normative intervenute nell’ultimo anno in materia di processo penale e agli effetti di precedenti modifiche, il Procuratore della Repubblica di Torino si sofferma sulla cd "legge Cirami" e sul cd "lodo Maccanico o Schifani". Ovviamente, fermo il dovere di applicare lealmente le leggi dello Stato e di non contestarle – in sede di applicazione – se non nelle forme previste dall’ordinamento, qui si vogliono unicamente esaminare, sul piano tecnico, le conseguenze che l’applicazione della legge può comportare sul normale e corretto funzionamento dell’ amministrazione della giustizia nel quotidiano.
Con riferimento alla legge Cirami, si può - tra le altre cose - osservare che nei processi con una pluralità di imputati, specie per reati di particolare efferatezza e pericolosità, quali sono quelli promananti da associazioni criminali di qualsiasi stampo (mafioso, terroristico, economico, politico), appare ipotizzabile una strategia difensiva (ad opera degli imputati più pericolosi) imperniata su alternate richieste di rimessione o di ricusazione a catena che potrebbe condurre al moltiplicarsi delle sospensioni del processo o a continui provvedimenti di separazione. Comunque esiziali, sia sotto il profilo della completezza e unitarietà del materiale probatorio e della sua valutazione, sia sotto quello della economia processuale.

Per quanto concerne il c.d. "lodo Maccanico”, o “lodo Schifani" che dir si voglia, escludendo dall’ analisi il “cuore” di tale provvedimento e limitandosi a considerare alcuni punti della disciplina processual-penale che affianca e accompagna la norma principale (oggetto di recentissima pronunzia della Consulta), il Procuratore della Repubblica di Torino mette soprattutto in rilievo un profilo che incide sugli assetti propri dello stato di diritto. Ed è che, nel caso in cui le intercettazioni o i tabulati appaiano necessari per il giudizio, la decisione sulla loro utilizzabilità (non solo eventualmente nei confronti del Parlamentare, ma addirittura nei confronti di “terzi”) viene rimessa non già all’Autorità giudiziaria, ma alla Camera di appartenenza del Parlamentare. La quale può negare l'autorizzazione alla utilizzazione di materiale probatorio ( acquisito - per definizione - in maniera assolutamente legittima, con l'osservanza di tutte le regole), che può essere di fondamentale importanza per un giudizio "giusto". E questo non solo nei confronti del Parlamentare, ma anche nei confronti dei "terzi". Il tutto, poi, con previsione della obbligatoria distruzione della "prova" (si ripete, lecita, rituale, regolare): che magari può anche significare, per qualcuno dei "terzi", prova non già di colpevolezza ma di innocenza. Di qui dubbi e perplessità con riferimento ad alcuni fondamentali principi costituzionali (come quelli di uguaglianza;- inviolabilità del diritto di difesa: del “terzo”, ovviamente, ma anche delle eventuali persone offese;- di soggezione del giudice alla legge). E, sullo sfondo, l’interrogativo se funzioni giurisdizionali o sostanzialmente giurisdizionali possano essere rimesse - all'interno del processo che si svolge davanti ai giudici - al potere politico. Insomma, se dalla nuova disciplina possa derivare non solo la limitazione dei poteri di accertamento dei fatti nei confronti del Parlamentare, ma anche una limitazione nei confronti dei “terzi” (e non importa se contro o a favore). Con pesante sofferenza per quell’accertamento della verità che costituisce pur sempre lo scopo indefettibile e primario del processo penale, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale.

Il Procuratore della Repubblica di Torino segnala negativamente le polemiche che sempre si registrano in occasione di episodi eclatanti: ora invocando, ora deprecando l'uso delle misure cautelari (soprattutto della custodia cautelare in carcere). A fronte di un fortissimo tasso di omertà e di un consistente coefficiente di “solidarietà” (spesso coatta) con chi, a torto o a ragione, si trova indagato o imputato dall’Autorità giudiziaria penale;- a fronte di prassi sicuramente non virtuose nella vita economica, finanziaria, amministrativa (come anche le esperienze di quest'ultimo anno e degli ultimissimi giorni insegnano);- in presenza di un sistema che, in omaggio a piuttosto astratti principi di formazione della prova soltanto in dibattimento, ha finito per svilire le "prove" dichiarative predibattimentali, potenziando al contrario infinite possibilità di renderle impraticabili al dibattimento: in questa situazione concreta, gli strumenti investigativi - in certi tipi di inchieste - finiscono per reggersi sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali da un lato e sull'utilizzazione, dall'altro, di tutte le cautele necessarie per salvare la prova prima che sia irrimediabilmente inquinata. Cautele che il magistrato, pertanto, doverosamente pone in essere quando ne ricorrano i presupposti in fatto e in diritto. Che se poi si preferisse, per alcuni fenomeni, rinunciare alle cautele e ad un’efficace repressione, è questione che compete alle scelte non del magistrato, ma del legislatore.

Sempre in tema di “cautele”, va ricordato che il vigente codice di procedura penale ha introdotto l’istituto della riparazione per l’ingiusta detenzione. I relativi procedimenti (tabellarmente assegnati ad una Sezione della Corte d'appello) richiedono notevole impegno, essendo doveroso verificare se il ricorrente abbia dato o concorso a dare causa con dolo o colpa grave alla detenzione stessa, il che esige un attento riesame degli atti del giudizio di cognizione. Detti procedimenti (verosimilmente anche perché con l’art.15 della L.n.479/99 è stato decuplicato il “tetto massimo” della riparazione) sono in costante aumento: 111 nel periodo 1/7/02-30/6/03, con un incremento del 5,7% rispetto al precedente periodo 1/7/01-30/6/02, nel quale a sua volta s'era registrato un aumento del 38% rispetto al precedente.

Ancora in tema di “cautele”, il Presidente del Tribunale di Torino segnala un sempre maggiore ricorso, da parte del GIP, all’applicazione della più lieve fra le misure cautelari personali coercitive, quella dell’obbligo di presentazione all’Autorità di P.G., in sostituzione - ovvero a seguito di rigetto di richiesta del PM - di misura coercitiva più grave. Si deve nel contempo rilevare una diffusa inadempienza da parte dei soggetti destinatari della misura (quasi sempre extracomunitari), cui raramente segue un provvedimento di aggravamento o di sostituzione, anche per difetto di segnalazione dell’ inadempimento. Sicchè, a giudizio del Presidente del Tribunale, si rischia in sostanza un forte svilimento di tale cautela, di per sé già di modesta efficacia.

Da ultimo, non si può non accennare alle polemiche che hanno accompagnato la mancata richiesta o la mancata concessione di provvedimenti restrittivi della libertà personale per presunti terroristi islamici; o alle polemiche sulla pena, ritenuta troppo “mite”, chiesta ed inflitta nel caso dell’omicidio di una sfortunata ragazza ad opera del suo ex fidanzato; oppure ancora a seguito del tragico suicidio di un indagato per reati contro la pubblica amministrazione nel settore della sanità. Fatti fra loro estremamente diversi, sul merito dei quali nulla – ovviamente – è qui consentito dire. Ma che possono essere accomunati dalle polemiche che li hanno caratterizzati, in quanto sintomatiche (ciascuna a suo modo) di una certa “incomprensione” nei confronti delle regole di esercizio della funzione giudiziaria. E’ un dato di fatto su cui occorre riflettere. Anche per ristabilire un circuito di reale colloquio tra società civile ed istituzioni. Con il contributo dei media e dell’avvocatura più attenta e sensibile. Certo non quella (per fortuna ancora minoritaria nel nostro Distretto) che ormai da tempo contribuisce in maniera non indifferente alle campagne di delegittimazione della magistratura.

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Con riferimento al funzionamento della giustizia penale (da considerarsi complessivamente soddisfacente, nei limiti strutturali che caratterizzano e spesso inceppano il settore), significativo è il prospetto inviato dal Presidente del Tribunale di Torino, integralmente riprodotto nel testo scritto della relazione.
Alla data del 30 giugno 2003 i processi pendenti presso le sezioni dibattimentali (centrali e distaccate) erano complessivamente 3.085. Alla data del 1° gennaio 2001 (trenta mesi prima), la pendenza era solo di 2.019 processi.
In cifra assoluta l’aumento dell’arretrato è stato in due anni e mezzo di 1.066 processi, con un tasso di incremento del 34,5% (su 30 mesi), che è pari al 13,8% all’anno.
L’ “impennata” si è verificata all’improvviso solo nel primo semestre 2003, quando l’arretrato è passato in pochi mesi da 2.438 a 3.085, con un tasso di incremento del 20,9%.
Vi è stato un progressivo e costante incremento delle sopravvenienze (5.305 nel 2001; 6.182 nel 2002; ben 4.382 in soli sei mesi del 2003, con una previsione di fine anno di circa 8 mila processi), indice di un aumentato ritmo di lavoro della Procura della Repubblica e della Sezione GIP/GUP.

Secondo il Presidente del Tribunale va sottolineato che la pendenza di 3.085 processi a fine giugno 2003 è ancora inferiore alla “massa di smaltimento complessivo” dell’intero anno 2002 (smaltimento che è stato di 5.773 processi) e anche dell’intero anno 2001 (che è stato di 5.308 processi). Il che può significare che l’arretrato odierno (si ripete: 3.085 processi) è di gran lunga inferiore al lavoro di un anno.
Infine, va segnalato che l’Ufficio di Presidenza del Tribunale di Torino ha calcolato la durata media dei processi penali (sulla base delle sole pendenze delle Sezioni dibattimentali 1^, 3^, 4^ e 5^) in 138 giorni.

Di grande e significativo rilievo sono anche i dati forniti dal Presidente della Sezione GIP – GUP, secondo il quale l’attività della Sezione dimostra la stabilizzazione di un tratto caratteristico della giustizia penale in ambito locale, costituito dalla anticipata definizione, in numerosi casi, del processo penale nell’udienza preliminare (quando non anche avanti al Gip), mediante il larghissimo ricorso ai riti alternativi, come è noto ulteriormente incentivati dalla riforma di cui alla legge 479/99. Dalla relazione del Presidente emerge che: a) delle 3498 sentenze pronunciate dai giudici della sezione nel corso del 2002, 1762 sono state sentenze di patteggiamento; b) in particolare, il numero delle sentenze pronunciate all’esito di giudizio abbreviato è stato di 505 (su un totale di 1604) nel secondo semestre del 2002 e di 451 (su un totale di 1691) nel primo semestre del corrente anno.
Il Tribunale del riesame di Torino segnala percentuali di accoglimento delle richieste che testimoniano una rigorosa terzietà (18,32 % per il riesame ex art.309 cpp;- 20,42 % per gli appelli ex art. 310;- 15 su 28 gli appelli del PM accolti).

2.2 – La criminalità organizzata italiana

Relativamente ai reati di competenza della DDA, i dati trasmessi lo scorso anno conservano tuttora validità ed attualità. Al 30 giugno 2003 risultano pendenti dieci procedimenti a carico di persone note per il delitto di cui all’art.416 bis c.p.; tre sono i procedimenti aperti nel periodo giugno 2002-giugno2003. Molto più numerosi sono i procedimenti pendenti per il delitto cui all’art.74 DPR 309/90: 71, dei quali 27 avviati nel periodo di tempo sopracitato. Significativi i dati relativi ai delitti di cui all’art.629 c.p.(10 proc., dei quali 3 aperti nel medesimo periodo).
Il numero dei collaboratori ammessi a programma di protezione attualmente in corso, è di 35; due persone sono state inserite in tale programma nel periodo 1.7.02/30.6.03.
La presenza di gran lunga più significativa di gruppi organizzati di criminalità riguarda la ‘Ndrangheta calabrese. Sembra potersi escludere un radicamento di gruppi criminali riconducibili alla Camorra, alla Sacra corona unita o alla Mafia siciliana ( è stata però accertata la presenza e l’attività criminosa in Torino di soggetti sicuramente legati a gruppi mafiosi catanesi).
Molti procedimenti hanno confermato la consistenza di legami criminosi a livello internazionale tra gruppi italiani e referenti in altri Paesi (in particolare Sud America, Canada e Australia).
Particolare attenzione è stata riservata, e ovviamente continuerà ad esserlo, ad un monitoraggio sull’eventuale partecipazione di soggetti pregiudicati e ritenuti in collegamento con gruppi di criminalità organizzata ai cantieri di lavoro aperti per le opere funzionali allo svolgimento delle Olimpiadi invernali del 2006.

Tra i numerosi procedimenti avviati nel corso dell’anno e riconducibili all’attività di gruppi di criminalità organizzata italiana si segnala quello ( forse primo anche a livello nazionale) che ha tratto spunto da segnalazioni inviate alla DIA dal Servizio Antiriciclaggio dell’ufficio Italiano Cambi, concernente l’attività di alcuni soggetti – operanti nell’ambiente dei “prestasoldi” presso il casinò di Saint Vincent - che risultavano aver movimentato nel corso degli ultimi anni ingenti somme di denaro, verosimilmente riconducibili ad attività di riciclaggio.
Si segnala inoltre (anche perché intrecciato con manifestazioni di criminalità straniera , così introducendo la trattazione del successivo paragrafo) il procedimento relativo all’operazione denominata “Primavera Albanese”, che ha consentito il sequestro, a più riprese, di circa 40 kg.di eroina di ottima qualità, nonché l’arresto in flagranza di 11 persone, il fermo di altre 4 e l’esecuzione di ordinanze di custodia cautelare per altre 7, di nazionalità diverse: italiana, albanese, algerina e marocchina.
Le varie fasi dell’operazione, sviluppate in collaborazione con le Polizie di altri Stati europei, hanno consentito di stabilire che l’organizzazione era strutturata su più livelli: al più basso, quello del minuto spaccio, erano preposti cittadini extracomunitari (prevalentemente Nord-Africani) che operavano nelle grandi città, in particolare Torino; a quello intermedio - di custodia presso soggetti non pregiudicati e in luoghi considerati insospettabili per le forze dell’ordine - operavano soggetti di nazionalità italiana, che in qualche caso si occupavano anche della spedizione e della consegna dello stupefacente agli spacciatori; il vertice era formato esclusivamente da soggetti di nazionalità albanese, di notevole spessore criminale.
La pericolosità dell’ organizzazione va individuata nel particolare vincolo associativo e nelle caratteristiche di omertà proprie della cosiddetta “mafia albanese”. Un’organizzazione che sembra aver effettuato un vero e proprio salto di qualità nelle “gerarchie” criminali, affiancando e in molti casi superando il primato di quelle italiane nella gestione del traffico dell’eroina, i cui canali di introduzione nello Stato passano sempre di più per il territorio balcanico, da essa attentamente controllato.
Degna di attenzione è anche la dimostrata saldatura tra le componenti di diversa nazionalità a cui sono state attribuite mansioni differenti, quasi a voler creare una massa ingarbugliatissima di complicazioni investigative che renda più difficile risalire ai veri organizzatori. Nel contesto dell’operazione sono state individuate le correnti di riciclaggio del denaro proveniente dalla vendita dello stupefacente, nonché elementi di comunanza investigativa con altre indagini attualmente in corso ad opera di varie Procure della Repubblica.

2.3 – La criminalità straniera

Il nostro territorio, sia per quanto riguarda Torino sia per quanto riguarda le altre province del Distretto, risulta contrassegnato da una ramificata presenza di gruppi di varia etnia coinvolti nel compimento di molteplici attività delittuose: spaccio di sostanze stupefacenti; sfruttamento della prostituzione con i correlati fenomeni di tratta di persone dall’estero; traffico di armi; reati contro il patrimonio. Risulta confermato il giudizio di particolare pericolosità relativo ai gruppi delinquenziali di etnia albanese, nigeriana, magrebina, rumena e slava.
Non sono emersi dati significativi circa l’esistenza di legami organizzativamente stabili tra i gruppi stranieri ed i gruppi italiani di criminalità di stampo mafioso.
Particolarmente significativa è l’indagine relativa ad una pericolosa associazione per delinquere, formata da soggetti tutti di nazionalità ucraina, che avevano dato vita ad una struttura finalizzata al compimento di estorsioni sul nostro territorio in danno di loro connazionali che effettuavano trasporto di persone e merci dall’Ucraina in Italia e viceversa. L’attività del gruppo, con estensione territoriale in altre regioni italiane, si avvaleva anche della copertura di un’associazione italo-ucraina denominata “Patria”, che copriva i versamenti estorti agli autotrasportatori con il paravento di un’iscrizione all’associazione medesima, in cambio dell’inesistente vantaggio di fornire eventuale assistenza ai medesimi, una volta giunti in Italia. Detto sodalizio criminoso è risultato essere propaggine operativa di un gruppo appartenente alla mafia russa, legato alla cosiddetta “Brigata di Leopoli”.

Va altresì segnalato, sempre nel quadro delle indagini sulla criminalità straniera, che in numerosi casi il traffico di sostanze stupefacenti, gestito da soggetti albanesi, è risultato fondato su strutture organizzative presenti in Lombardia, che provvedevano a rifornire il mercato clandestino nelle province di Asti ed Alessandria, utilizzando la complicità di individui colà residenti.

I dati della Procura di Torino trovano rispondenza nelle notizie comunicate dal Presidente della Corte di appello e dagli altri uffici del Distretto, i quali fanno sapere che sono in sensibile crescita i reati commessi da cittadini stranieri ed in special modo da cittadini di origine extracomunitaria.
I cittadini stranieri costituiscono, nei processi davanti alla Corte d'appello, la maggioranza degli imputati di delitti in materia di stupefacenti. In prevalenza si tratta di immigrati clandestini e senza fissa dimora, la cui collocazione a livello criminale è, nella maggior parte dei casi, quella di "spaccio da strada" o di poco superiore. Appare, però, ormai evidente anche il radicamento sul territorio di un'aggressiva criminalità di origine extracomunitaria: in special modo è di origine albanese quella dedita allo sfruttamento della prostituzione ed all'importazione di sostanze stupefacenti;- è di origine balcanica o rumena quella dedita a reati contro il patrimonio;- è di origine magrebina quella dedita allo spaccio al minuto delle sostanze stupefacenti.
Nei processi per omicidio trattati dalla Prima Sezione della Corte di assise di appello di Torino, gli imputati stranieri sono stati 6, di cui 3 originari del Marocco (giudicati per omicidio ai danni del coniuge) e 3 originari dell'Albania (giudicati per omicidi collegati alla prostituzione o ai danni di rumeni). Sono in carico alla stessa Sezione, inoltre, un processo con imputati albanesi per associazione a delinquere finalizzata all'introduzione in Italia di ragazze dell'Est, anche minorenni, a scopo di prostituzione, e omicidi collegati; nonché un processo a carico di imputato rumeno per riduzione in schiavitù di ragazza minore rumena.
Nei processi pervenuti alla Seconda Sezione della Corte d'assise d'appello, su un totale di 11 imputati, 2 sono cittadini extracomunitari.
Complessivamente, alla Corte d'appello sono pervenuti, nel periodo in esame, 5 processi per riduzione in schiavitù (contro 1 del periodo precedente).

Dalle relazioni degli uffici giudiziari del Distretto, si segnalano – nel territorio di Asti - importanti processi in materia di criminalità organizzata per sfruttamento della prostituzione (soprattutto in danno di donne di origine slavo-albanese, magrebina ed africana in genere); i più gravi fra questi reati sono ascrivibili a gruppi di albanesi, che tendono a costituirsi in vere e proprie associazioni per delinquere e ad operare sia nel campo dello sfruttamento della prostituzione, in cui si sono avuti anche casi di compravendita da un gruppo all'altro di giovani donne sfruttate, sia nel campo del traffico della droga e del traffico di armi. Nella lotta fra clan contrapposti vi sono stati casi di omicidio o di tentato omicidio.
ACasale Monferrato sono stati iscritti 153 procedimenti a carico di cittadini extracomunitari, per altro con una sensibile diminuzione rispetto al dato dell'anno precedente.
La Procura di Verbania segnala un’indagine di carattere internazionale, riguardante il traffico di sostanze stupefacenti, condotta in collaborazione con la Procura Federale di New York e con la Procura Generale presso la Corte di appello di Atene, che ha portato all’arresto di numerose persone, al sequestro di un imponente quantitativo di ecstasy e, in USA, al sequestro di beni riciclati per un valore intorno ai 16 milioni di dollari. Due imputati sono stati condannati a pena ridotta, considerata la collaborazione ai sensi dell’art. 73 comma 7 dpr 309/90.
In sintonia col quadro generale, e tuttavia meritevoli di menzione per talune specificità, le notizie provenienti dal circondario di Vercelli, dove si sono venute affermando, negli ultimi anni, nuove associazioni criminose di non comune pericolosità ( di matrice albanese, nigeriana, serba, montenegrina, polacca), dedite al reclutamento e allo sfruttamento di persone costrette alla prostituzione, al transito illegale nel territorio italiano di clandestini diretti verso altri stati europei, a rapine e furti che causano notevole risonanza nella collettività, specie per la diffusa sensazione dell’inadeguatezza del contrasto.
Destano preoccupazione, poi, quei fenomeni che la Procura della Repubblica di Torino definisce “salti di qualità” e che consistono nella crescente aggregazione di persone, soprattutto straniere, in ambiti criminali più complessi di quelli di partenza, con destinazione ai reati in tema di sostanze stupefacenti e in tema di sfruttamento della prostituzione. Le indagini sono ardue, non solo per la difficoltà di individuare le persone e per la loro clandestinità, ma anche per l’atteggiamento di scarsissima collaborazione e per la omertà che le caratterizza.
Significativo un dato relativo alle “piccole” rapine, dove gli stranieri coinvolti risultano, sia pure di poco, in numero superiore rispetto agli italiani (rapine commesse da italiani n. 162, contro le rapine commesse da stranieri n. 185).
Infine, la criminalità straniera preoccupa anche perché non sempre è agevole condurre indagini od eseguire le sentenze nei confronti di soggetti di cui spesso non si conoscono le esatte generalità. Vari uffici giudicanti del Distretto, conseguentemente, auspicano che, attraverso opportuni accordi con i vertici delle Autorità di polizia, sia costituita, sulla base dei nominativi incrociati con le impronte digitali, un'apposita banca dati dei soggetti di origine extracomunitaria che abbiano riportato denunce.

2.4 – Delitti oggettivamente e soggettivamente politici ovvero di contenuto terroristico

La Procura di Torino comunica, quanto ai gruppi terroristici italiani, che non sono stati commessi atti criminosi, nel nostro Distretto, riconducibili a gruppi clandestini quali le Brigate rosse od organizzazioni similari.
Sono state segnalate, in varie occasioni, scritte inneggianti alle Br e alla lotta armata, soprattutto in locali interni a stabilimenti industriali del gruppo Fiat. Le relative indagini non hanno consentito l’identificazione degli autori. Peraltro, in assenza di ulteriori dati di riscontro sulla presenza nel Distretto di nuclei organizzati facenti capo alle Br, non appare particolarmente significativa la comparsa di tali scritte.
Da un punto di vista generale, non vi è alcun dubbio che il nostro territorio, ed in specie Torino, rappresenta tuttora un possibile luogo di attività di gruppi clandestini come le Br, in considerazione sia della “storia” di tale gruppo terroristico, sia della fase ancora delicata - sul terreno industriale e finanziario - attraversata dall’industria automobilistica torinese, con potenziali residue tensioni sociali sullo sfondo.
Quanto ai reati di natura politica commessi da altri gruppi sovversivi, sono da ricordare varie vicende tradottesi nel compimento di atti eclatanti di protesta da parte di soggetti dell’area dell’antagonismo politico più radicale. Si è trattato di episodi avvenuti o in occasione di scontri di piazza con le Forze dell’ordine, o di atti a sorpresa. Tutti questi episodi sono unificabili in una valutazione unitaria, quali manifestazioni anche violente di un forte antagonismo politico, che peraltro non sembra ancora possedere una sua specifica dimensione nè organizzativa nè clandestina.
Quanto ad atti eversivi riconducibili ad una specifica matrice anarco-insurrezionalista, non si sono registrati nell’anno in corso specifici atti criminosi, a differenza di quanto avvenuto in altre regioni e specificamente in Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna e Sardegna. Peraltro la situazione del nostro Distretto rimane in proposito delicata, perchè alcuni dei più noti esponenti di questo filone della anarchia italiana sono residenti nella nostra regione e risultano tuttora in stretto contatto con le omogenee aree politiche di altre zone.
Quanto al terrorismo straniero di matrice fondamentalista, non sono avvenuti nel territorio del Distretto fatti di reato con tale matrice. Rimane – come già segnalato lo scorso anno - il pericolo di una presenza sul territorio di soggetti legati a detti gruppi.
Per completezza di esposizione va ricordato che nel novembre scorso il Ministro degli Interni ha decretato l’espulsione di alcuni cittadini extracomunitari qualificandoli come pericolosi per la sicurezza dello Stato. Per alcuni di loro il GIP di Torino aveva poco prima respinto – per mancanza di sufficienti gravi indizi – la richiesta della Procura di custodia cautelare in carcere quali partecipi di associazione sovversiva ex art. 270 bis cod. pen. – La straordinarietà della misura amministrativa ( prevista dalla legge con una formula ad ampio spettro di discrezionalità) sollecita – per il futuro – una riflessione sull’opportunità, comunque, di un miglior coordinamento con l’Autorità giudiziaria, quando il provvedimento riguardi soggetti sottoposti a procedimento penale.

2.5 – Reati contro la Pubblica Amministrazione

Mentre nel Distretto la situazione non presenta particolarità meritevoli di nota (Aosta segnala un’indagine per corruzione, truffa aggravata ed altro che ha condotto all’arresto di un funzionario e di un assessore regionale), la Procura della Repubblica di Torino comunica che i procedimenti in materia, iscritti nel periodo in esame, sono stati 307. Quelli definiti ed esauriti 193.
Particolare rilevanza, per delicatezza e complessità, hanno avuto, tra gli altri:
· il procedimento relativo a fatture per operazioni inesistenti concernenti la società Publigest; costituisce stralcio dal noto procedimento relativo a tangenti pagate a funzionari dell’ospedale Molinette di Torino, tuttora in fase di indagini preliminari;
· il procedimento per millantato credito, conclusosi con sentenza di condanna in primo grado, concernente pagamenti per ottenere il trapianto di reni presso il reparto di nefrologia dell’ospedale Molinette;
· il procedimento relativo a vasto fenomeno di corruzione, per atti contrari ai doveri d’ufficio, presso le camere mortuarie di vari ospedali cittadini, coinvolgente infermieri e numerose ditte di pompe funebri;
· il procedimento, nel quale è stato disposto il rinvio a giudizio dei titolari di alcune case di cura, riguardante la prassi illegittima della rotazione forzata dei degenti, fonte di enormi guadagni alle predette strutture sanitarie, con danno per la Regione.

Sono in fase di chiusura due indagini relative ad episodi di corruzione commessi da personale del Centro Servizi delle Imposte dirette di Torino e dell’Agenzia delle Entrate del Piemonte.
E’ in fase conclusiva l’indagine avente ad oggetto la produzione e commercializzazione di valvole cardiache “TRI Tecnologies”, relative a forniture mediche poste in essere su un arco temporale particolarmente ampio da alcuni medici con incarichi apicali nell’Azienda ospedaliera San Giovanni Battista di Torino.
E’ anch’essa in fase conclusiva l’indagine relativa all’accusa di sistematica turbativa, da parte di imprenditori, di gare pubbliche del Comune di Torino, di altri Comuni e di altri Enti. Gli indagati sono 220 e 330 sono le gare pubbliche per le quali si sono ravvisate possibili turbative. Sono state eseguite numerose misure cautelari per ipotesi associative e di corruzione.

2.6 - Reati in materia economica (fiscale, societaria, fallimentare)

Secondo la Procura della Repubblica di Torino, nel settore che riassuntivamente può essere denominato diritto penale dell’economia si devono segnalare consistenti ombre.
Si registra innanzitutto una sostanziale svalutazione dei reati economici, concretizzatasi non mediante la depenalizzazione (che avrebbe avuto almeno il merito di evidenziare con chiarezza certe scelte), quanto piuttosto mediante previsioni normative che lasciano apparentemente sussistere i reati tradizionali, ma che in concreto rendono impossibile o estremamente difficile iniziare procedimenti penali e comunque portarli a compimento. Ciò che comporta, di fatto, il venir meno di un apprezzabile effetto deterrente.
In concreto: la legge prevede tuttora come reato il falso in bilancio e gli illeciti commessi dagli amministratori. E tuttavia: perché si apra un procedimento penale per il reato di falso in bilancio occorre che la posta falsificata superi il 5% del risultato di esercizio o l’1% del patrimonio netto della società. Questa tecnica (le “soglie” di punibilità) esclude in pratica la rilevanza penale per falsi in bilancio di proporzioni elevatissime. Inoltre, la soglia di punibilità commisurata al patrimonio netto della società ha per effetto una evidente disparità di trattamento tra società “ricche” e società “povere”: nel senso che la quantità di falso in bilancio che si può commettere senza pratiche conseguenze dipende dalla quantità del patrimonio della società; che sarà naturalmente più elevato per le prime e più basso per le seconde. Ma il falso in bilancio è sempre compiuto con la volontà di ingannare i soci o il pubblico. Ed è sempre un reato che cagiona un danno a soci o creditori. Per cui ogni falsificatore di bilancio è sempre su un piano di parità, sia “ricca” o sia “povera” la società. Perché allora, nei due casi, i soci e i creditori debbono godere di una diversa tutela? Perché i falsificatori del bilancio hanno un trattamento diverso, più vantaggioso nel caso di società “ricca”?
In ogni caso, se nonostante tutto il processo per un’ipotesi di falso in bilancio dovesse essere iniziato e celebrato, in pratica esso non potrebbe quasi mai concludersi con una sentenza di condanna, se non con quella che, sempre più spesso, viene spacciata come sentenza di assoluzione, anche se dichiarativa dell’estinzione del reato a seguito di prescrizione. Le pene previste, infatti, sono tali da garantire la prescrizione massima in sette anni e mezzo e addirittura, per le contravvenzioni (il falso in bilancio “tradizionale”, l’illegale ripartizione degli utili), in quattro anni e mezzo. Pensare di concludere in un periodo di tempo così limitato l’intero iter processuale, in tutti i suoi gradi, per un falso in bilancio che - avendo superato le soglie di punibilità, giunga tuttavia a giudizio - è contraddetto dalla costante esperienza giudiziaria. E se è in pratica impossibile o vano celebrare i processi, c’è anche da chiedersi se valga la pena di impiegare tempo e risorse (anche e soprattutto economiche – le consulenze costano un sacco di soldi) per celebrare “riti” destinati a prescriversi o a concludersi con sanzioni minime, decisamente sproporzionate rispetto alla gravità dei fatti. E sì, perché le pene previste o concretamente irrogabili per i reati qui in esame non sono poi molto lontane da quelle che si infliggono nelle aule giudiziarie per i danneggiamenti delle vetture in sosta praticati con chiavi o punteruoli dalle fidanzate abbandonate, ovvero per le fattispecie di sosta con voucher contraffatti…...
Consequenziali sono i dati offerti dal Presidente della Corte di appello e dal Presidente del Tribunale di Torino. Questi osserva che per i reati societari propriamente detti (essenzialmente, il falso in bilancio) i processi sono pochissimi (tre in tutto), presumibilmente in seguito alla sostanziale abrogazione della normativa penale societaria ( oltretutto, il principale processo pendente è sospeso, in attesa che la Corte di Giustizia europea verifichi la conformità alle direttive comunitarie delle riforme italiane in materia di falso in bilancio).

2.7 – Reati in materia di prevenzione infortuni, igiene del lavoro e malattie professionali
La Procura della Repubblica di Torino segnala, per la sicurezza e l’igiene del lavoro, che il 2003 è stato - nell’area di sua competenza - l’anno in cui si sono raccolti i frutti dell’azione giudiziaria promossa in precedenza con particolare intensità.
Numerosi sono stati i procedimenti penali per omicidi colposi o lesioni personali colpose derivanti da infortuni sul lavoro (anche mortali) e malattie o tumori professionali.
Importanti sia le indagini che la Procura di Torino svolge in ordine al c.d. mobbing, sia quelle che hanno messo in luce l’utilizzo di agenzie investigative da parte di alcune aziende per l’assunzione di informazioni indebite sui dipendenti, sia i procedimenti nell’ambito dei quali si è ascritta ad aziende anche di grandi dimensioni la violazione dell’art. 4 Statuto dei lavoratori, per l’installazione senza previo accordo con le rappresentanze sindacali di impianti e apparecchiature atti a rendere possibile il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Per quel che riguarda la tutela del consumatore e del cittadino, la Procura di Torino ha svolto indagini in ordine a problemi quali: le acque minerali (con la scoperta di un fenomeno allarmante, come la sistematica esecuzione sul territorio nazionale di analisi senza l’osservanza dei metodi prescritti dalla normativa di riferimento); la BSE , sotto il profilo della somministrazione di sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica; i mangimi contenenti farine di carne; i farmaci somministrati in modo pericoloso per la salute pubblica; le condizioni di salubrità degli alimenti somministrati in esercizi pubblici largamente frequentati come i bar.
Si sono concluse (ma altre sono ancora in corso) le indagini su molteplici aspetti relativi all’impiego di sostanze dopanti o pericolose per la salute nel mondo dello sport, calcio e ciclismo in particolare. L’indagine che ha scoperto un eccesso di mortalità per sclerosi laterale amiotrofica tra i calciatori ha suscitato grande interesse. Sono in corso i primi dibattimenti per reati inerenti all’importazione e vendita non autorizzate in Italia via internet (soprattutto da parte di ditte statunitensi) di prodotti ad azione anabolizzante.
Sono in corso indagini o dibattimenti sul delicato problema degli alimenti transgenici. Siffatte indagini, svolte con la collaborazione dei NAS, hanno consentito di accertare la presenza sul mercato di prodotti transgenici non dichiarati al consumatore (ivi compresi latti per lattanti e prodotti di c.d. agricoltura biologica); ed hanno, altresì, consentito di scoprire la immissione sul mercato di sementi di mais con presenza non segnalata di varietà geneticamente modificate. Importante, a quest’ultimo riguardo, è stata l’azione svolta dalle diverse Procure piemontesi sotto il coordinamento della Procura Generale, in stretto e proficuo collegamento con le competenti Autorità regionali.
Significativa è l’azione volta a controllare la sicurezza antincendio di molteplici strutture pubbliche e private. Va notato che, nell’ambito di indagini in corso sulla sicurezza antincendi (ad es., di edifici storico-artistici o di strutture sanitarie), è emerso un fenomeno: l’ente interessato presenta un progetto di adeguamento alle norme antincendio; il progetto viene approvato con prescrizioni da parte dell’Autorità competente; ad anni di distanza, controlli promossi dall’Autorità giudiziaria mettono in luce che il progetto non ha avuto attuazione, e che tale omessa attuazione non è stata riscontrata dagli organi preposti.

Per quanto infine riguarda la Polizia giudiziaria operante nei settori della tutela del lavoro e della salute, va segnalata positivamente – anche su questo versante - la collaborazione in atto con la Regione Piemonte (Assessorato alla sanità), che ha condotto sia all’organizzazione di un servizio di polizia giudiziaria operante presso la Procura di Torino, specializzato nel settore della tutela degli alimenti e veterinaria, sia alla elaborazione di un protocollo operativo – coinvolgente tutte le Procure del Distretto - per la gestione degli infortuni sul lavoro, con il coordinamento della Procura Generale.

2.8 – Reati concernenti le c.d. fasce deboli

Questo nevralgico settore è stato di fatto coordinato – nell’anno trascorso – dal collega Pier Luigi Zanchetta, che ha confermato anche in questa veste le grandi qualità, professionali ed umane, che tutti gli riconoscono.
L’impegno del settore è stato, come al solito, rivolto ai reati per i quali persone offese sono anziani, malati di mente (o psichicamente deboli) e minori, nonché ai reati - principalmente quello dei maltrattamenti in famiglia - espressione di conflittualità endofamiliare.
Quanto alle prime due categorie (spesso coincidenti), sostanzialmente stabile è il numero di reati di circonvenzione, perseguiti con successo nella quasi totalità dei casi denunciati. Allo stesso risultato non si giunge per i sempre numerosi (pur se in leggera flessione) reati di truffa e di furto, perpetrati con l’inganno, ai danni di anziani da parte di sedicenti incaricati di pubblico servizio/pubblici ufficiali introdottisi nelle loro abitazioni: la difficoltà a perseguire detti reati sta nella, quasi sempre inevitabile, scarsa incidenza della collaborazione offerta dalle stesse persone offese, le quali o non sanno descrivere o non riconoscono gli autori del reato. Ad ogni buon conto sembra che raggiungano un qualche effetto le campagne di sensibilizzazione per una maggiore attenzione al fenomeno: si registra infatti un numero crescente di casi (peraltro sempre troppo piccolo per l’ampiezza del fenomeno), in cui gli anziani sventano il tentativo criminoso ai loro danni.
Un numero elevato di minori, alcuni addirittura bambini, sono vittime di abusi sessuali anche gravi. Si conferma un fatto da tempo oggetto di osservazione: nella quasi totalità dei casi gli autori sono membri della famiglia ristretta o congiunti o amici di famiglia.
Per quanto riguarda i reati ai danni di minori stranieri commessi di solito da connazionali, mentre si registra una diminuzione di denunce di ragazzini, per lo più zingari rom, sorpresi a rubare negli appartamenti, in aumento è il fenomeno di bambini e ragazzini organizzati da adulti per chiedere l’elemosina e/o, soprattutto, compiere borseggi sui mezzi pubblici.
Da registrare infine un alto tasso di conflittualità all’interno della famiglia, che si esprime spesso con veri e propri atti di maltrattamenti: un fenomeno esteso ad ogni fascia d’età, concernendo coppie sia di recente, o recentissima, formazione, sia di formazione ultraventennale. Scopo dell’attività della Sezione, laddove è possibile e cioè nei casi meno gravi, è anche di giungere ad una mediazione tra le parti, che conduca ad una ricomposizione del nucleo familiare o, quantomeno, ad una separazione non conflittuale.

2.9 – Reati di “sicurezza urbana”

Il gruppo di lavoro denominato “sicurezza urbana” tratta reati c.d. di microcriminalità (vendita di sostanze stupefacenti, “piccole” rapine, estorsioni, porto e detenzione illecita di armi, resistenza a pubblico ufficiale, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, furti, immigrazione clandestina, etc.).
La normativa introdotta dalla L.189/2002 in materia di immigrazione e repressione dei reati connessi a quella illegale ha determinato, per alcune nuove figure di reati contravvenzionali (in particolare l’inottemperanza all’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato impartito dal Questore), la necessità di ricorrere al rito direttissimo nel termine delle quarantotto ore. Sono state trattate, fino all’autunno scorso, n.1065 direttissime, di cui n.701 si riferiscono alla c.d. legge Bossi-Fini.
Le previsioni incriminatrici della l. 189/2002 hanno determinato un consistente e significativo aumento del numero di arresti, con un incremento nel periodo 9/2002-7/2003 di ben 382 unità, per un totale di 4390 arrestati e 470 fermati, per complessivi 4860 provvedimenti di Polizia giudiziaria: dei quali solo n. 1456 riguardanti cittadini italiani e ben 3404 riguardanti, invece, cittadini stranieri.
Gravi e seri dubbi sulla costituzionalità della legge sopra citata hanno dato origine a numerose eccezioni di illegittimità costituzionale, con la conseguente sospensione di vari procedimenti.

Il quadro che conclusivamente emerge dall’attività del gruppo “Sicurezza urbana” è certamente di allarme per il numero di persone (sia italiane che straniere) che dedite ad attività delittuose che, seppure minori dal punto di vista della consistenza e gravità del singolo reato, tali certamente non sono come percezione sociale e delle vittime.
Per il tipo di reati qui in esame si registra una netta prevalenza di autori stranieri rispetto a quelli italiani. Con punte sicuramente significative, come i n. 779 stranieri arrestati o fermati per reati in tema di stupefacenti contro i n. 171 cittadini italiani; od ancora i n. 302 stranieri arrestati in flagranza per i delitti contro pubblici ufficiali contro i n. 171 cittadini italiani.
Le presenze più significative sono quelle provenienti dai paesi dell’area africana-mediterranea, dal Golfo del Leone e dai paesi dell’Europa orientale. Massiccio l’aumento dei cittadini rumeni, che si avviano a divenire la prima comunità di Torino e del Distretto.

2.10 – ALTRI PROFILI DI CRIMINALITA’ IN ALCUNE PROCURE PIEMONTESI

Alessandria e provincia si confermano passaggio e/o smistamento di affari illeciti talora di notevole entità, soprattutto con riferimento al traffico di sostanze stupefacenti. Le ricchezze del territorio rendono la zona appetibile per un tipo di delinquenza itinerante. Vengono segnalati vari casi di “pendolarismo criminale”.
Si registra un aumento dei reati di usura e ricettazione (in particolare di titoli di credito rubati), versante sul quale vi sono stati significativi interventi investigativi.

Nel territorio di Aosta, la ricchezza della Regione agevola la commissione di delitti connessi alla volontà di intercettare illecitamente flussi di denaro finalizzati ai finanziamenti delle imprese nei vari settori. Sono state compiute importanti operazioni in materia di traffico illecito di sostanze dopanti, e in materia di usura concernente il settore dei cosiddetti “prestasoldi” gravitanti nelle immediate vicinanze del Casinò di St. Vincent.

Nel territorio di Asti si registra un significativo incremento di fenomeni di criminalità organizzata in vari settori, dagli stupefacenti allo sfruttamento della prostituzione (in danno di donne di origine slavo-albanese, magrebina ed africana in genere). Numerosi e rilevanti anche i reati tributari e le truffe in danno all’erario. Significativi i risultati conseguiti nell’inchiesta relativa all’ormai noto fenomeno dei cd. “caroselli fiscali fraudolenti”, posti in essere mediante l’utilizzo di società appositamente create per interporsi fittiziamente nelle cessioni comunitarie. Notevole allarme sociale è stato provocato, inoltre, dall’incremento di rapine in danno di istituti di credito, distributori di benzina, tabaccherie.

Nel territorio di Biella, il mercato degli stupefacenti è alimentato dalla presenza di un rilevante numero di discoteche ed altri locali di intrattenimento per giovani, dove, fra l’altro, sono frequenti le risse, caratterizzate da pesanti pestaggi ed accoltellamenti. Si segnala un’ampia operazione finalizzata al contrasto del narcotraffico tra l’Italia e la Spagna.

Nel territorio di Cuneo è stato deciso ed effettuato un piano capillare di intervento per contrastare il traffico di sostanze stupefacenti, a livello di spaccio. I risultati sono stati notevoli, in quanto sono stati sequestrati kg. 0,033 di eroina, kg. 0,147 di cocaina, kg. 3,354 di hashish, kg. 0,269 di sostanze psicotrope di varia composizione, con la denuncia di 35 persone, di cui 22 in stato d’arresto e la segnalazione di altre 140 al Prefetto.

Nel circondario di Novara v’è da sempre una forte incidenza della criminalità economica, attesa l’alta percentuale di reati fallimentari e societari che vi si registrano. Si nota però come la nuova disciplina sui reati societari ha comportato l’azzeramento completo delle informative per il reato di falso in bilancio e reati connessi. Mentre sono aumentate le estorsioni. Viene segnalata l’individuazione di un’associazione a delinquere finalizzata a furti di autovetture di grossa cilindrata, commessi in varie località del Nord-Italia, ed alla esportazione e vendita dei veicoli in Francia ed in Portogallo, previa falsificazione dei dati identificativi. L’associazione era composta da cittadini italiani e stranieri, ciascuno con compiti ben definiti: alcuni operanti in Germania, altri in Francia ed in Portogallo, oltre al gruppo operante in Italia.

Nel circondario di Verbania sono stati conseguiti importanti risultati in materia di sostanze stupefacenti. Sono stati sequestrati, complessivamente, kg.19,350 di droghe pesanti e kg.8,340 di droghe leggere. Sono state denunciate in stato d’arresto 17 persone, a piede libero 16; 563 persone sono state segnalate al Prefetto.

Da Tortona si segnala, quanto ai delitti che hanno suscitato maggiore allarme sociale, un procedimento, già definito in primo grado con rito direttissimo, per tentato omicidio mediante lancio di sassi da un cavalcavia, rilevando che tale tipologia di condotta in quel circondario assume particolare rilievo in relazione ai noti fatti di alcuni anni or sono.

La Procura di Casale Monferrato fa sapere che ha destato particolare allarme una rapina in villa ai danni di un orefice, con successiva cattura di un minore in ostaggio per coprire la fuga dei malviventi. L’inseguimento e la sparatoria delle forze dell’ordine, fortunatamente , si sono risolti senza feriti.

2.11 – L’ESECUZIONE PENALE: […]

3. LA GIUSTIZIA CIVILE

Il Presidente della Corte d’appello di Torino segnala in generale un incremento del flusso degli affari civili, cui si accompagna - in diversi uffici di primo grado, come Acqui, Alba, Asti, Ivrea, Novara, Verbania - un calo delle pendenze rispetto al precedente periodo ( negli altri la situazione delle pendenze appare invece stabile).
Sono prevalenti le controversie in materia di obbligazioni e contratti (in particolare compravendita e appalto), società, infortunistica stradale, lavoro.
Purtroppo la durata dei processi non può certo dirsi soddisfacente: mediamente, infatti, occorrono due-tre anni in primo grado, e un anno-un anno e mezzo in Corte d’appello.
Per l’attività dei Giudici Onorari Aggregati (GOA), è quasi unanime il riconoscimento che essi hanno svolto una gran mole di lavoro; ma qualche rilievo è stato formulato sul livello qualitativo.
Molti Tribunali (Asti, Casale, Mondovì, Novara, Alessandria, Saluzzo) prevedono di smaltire l’arretrato assegnato alle sezioni stralcio entro breve. Analoghe valutazioni positive sono state formulate dal Tribunale di Ivrea, in cui non operano GOA.
Più complessa, invece, appare la situazione dei Tribunali di Biella ( la durata media nella trattazione supera i tre anni e mezzo) e Vercelli
*******

Quanto al funzionamento della giustizia nel campo delle controversie di lavoro, di previdenza ed assistenza, i dati e le valutazioni del periodo in esame richiamano sostanzialmente quelli dell’anno precedente.
Il Presidente della Corte comunica che anche per le cause di lavoro vi è stato un incremento delle sopravvenienze; l’incidenza delle controversie in materia di pubblico impiego è stata -in Corte- modesta (del 5% circa).
I tempi lunghi riguardano anche questo settore ( in grado di appello le udienze di discussione sono state fissate a 20-23 mesi dalla data di presentazione del ricorso; le prospettive future, però, dovrebbero essere migliori; analogamente lunghi sono stati i tempi per la definizione della cause di lavoro in primo grado; solo i Tribunali di Ivrea e di Saluzzo hanno comunicato che la definizione avviene in tempi “contenuti”: non più di un anno).
Secondo quanto segnalato dal Presidente del Tribunale di Torino, è in atto un cambiamento sensibile nella tipologia delle controversie di lavoro: meno cause previdenziali, meno questioni di licenziamento, ma più cause di lavoro nel settore del pubblico impiego (spesso introdotte con ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c.), più cause di c.d. mobbing (variamente inteso) con richieste di risarcimento in misura molto elevata. Tra gli altri, ecco un rilievo interessante (ed allarmante), che si riporta testualmente:
“Sono in corso controversie conseguenti alla intervenuta frattura nell’ambito delle relazioni industriali tra CGIL, da una parte, CISL e UIL dall’altra. Questa frattura sta comportando l’insorgenza di questioni legate all’esercizio di diritti fino a poco fa tradizionalmente gestiti in comune fra le varie Organizzazioni, che ora si contrappongono le une contro le altre. Sono ora in discussione questioni di grande portata sulla validità di accordi sindacali ai quali il nostro sistema lavoristico condiziona scelte importanti nel campo occupazionale e, specificamente, per la messa in cassa integrazione o in mobilità dei lavoratori”.
Viene poi segnalata una diminuzione delle definizioni conciliative, un fenomeno di cui è difficile individuare la vera causa, se non pensando all’ “oggettivo aumento del numero degli avvocati che trattano la materia del lavoro” . Secondo il Presidente, spesso si tratta di “avvocati civilisti in genere, che risentono di maggiori rigidità nel rapporto con il cliente, forse per la mancanza di un filtro utilmente esercitato dalle organizzazioni di categoria che, per tradizione, costituivano l’elemento di collegamento fra i lavoratori o i datori d lavoro e certi studi legali”.

Da ricordare, ancora, quanto osserva il Presidente di Tribunale di Asti, secondo cui è assolutamente eccezionale che il lavoratore, che pure chiede il provvedimento di reintegra, sia poi effettivamente interessato a rientrare in azienda: di norma il lavoratore ha piuttosto interesse – da un punto di vista sostanziale – al pagamento di una somma di denaro ed opta, dopo la pronuncia, ai sensi del comma 5 art. 18 St. lav. come modificato dalla legge 108/90, per il pagamento della c.d. “indennità sostitutiva” (del resto appare improbabile che si desideri realmente rientrare a lavorare in una azienda nella quale sono ormai completamente logorati i rapporti con i vertici).

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Quanto alle cause fallimentari, mentre in Corte d’appello l’andamento risulta complessivamente stazionario, il Presidente del Tribunale di Torino segnala un sensibile aumento rispetto all’anno precedente. Ciò risponde, verosimilmente, ad un peggioramento dell’economia del circondario.
Non vi sono stati, nel periodo considerato, casi di apertura di procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Di contro si sono registrati molti casi di fallimenti concernenti imprese di dimensioni medie e medio-grandi. Una parte di esse fa registrare una totale assenza o, comunque, una scarsissima consistenza di attivo liquidabile. Di ciò vi è piena consapevolezza sin dall’inizio della procedura, tanto che molte istanze appaiono motivate dall’esigenza di acquisire titolo per recuperare l’IVA esposta a debito in occasione dell’emissione delle fatture. Sembra tangibile l’effetto indiretto delle difficoltà riguardanti la massima industria produttiva cittadina.
A Biella la media annuale delle sopravvenienze fallimentari è alta (35-40): ciò rispecchia la crisi economica in atto, che “morde” in particolare il territorio biellese, caratterizzato da forte e radicata vocazione imprenditoriale, che si estrinseca soprattutto in un settore fortemente ciclico quale è il tessile e il meccano-tessile. Molte procedure sono rallentate o addirittura non possono essere chiuse per la pendenza di un contenzioso tributario od anche per la mancata esecuzione da parte del fisco (che adduce “mancanza di fondi”) di cospicui rimborsi in materia di IVA o di imposte dirette, cui è pacificamente tenuto.
Diffuso, nel Distretto, è il rilevamento di un notevole aumento delle istanze di richiesta fallimentare, e soltanto alcuni uffici (Aosta, Alba, Saluzzo, Tortona, e Cuneo) comunicano una sostanziale stabilità.

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Con riferimento alla materia delle separazioni personali e dello scioglimento del matrimonio, il Presidente del Tribunale di Torino comunica un lievissimo calo delle separazioni ed un sensibile aumento delle cause di divorzio. Il rapido mutare delle situazioni, per vari motivi, mette frequentemente in crisi equilibri raggiunti, con nuove richieste di intervento del giudice nella composizione del conflitto. All’aggravamento del contenzioso contribuiscono anche le situazioni di crisi economica.
Un dato costante viene segnalato dai circondari del Distretto, cioè la prevalenza delle separazioni consensuali su quelle giudiziali e la prevalenza delle une e delle altre sugli scioglimenti dei matrimoni, con litigiosità più decisa soprattutto per gli aspetti economico-finanziari.
In linea generale, viene segnalata una certa incidenza delle separazioni immediatamente dopo il matrimonio, anche a distanza di pochi mesi. I divorzi risultano essere in aumento.
Le impugnazioni avanti la Corte di appello (in costante aumento) si concludono in buon numero con un accordo delle parti. I provvedimenti presidenziali vengono emessi in tempi rapidi (due-tre mesi dalla presentazione del ricorso); tempi più lunghi (da 18 a 24 mesi, mediamente) sono richiesti per la definizione in primo grado dei procedimenti contenziosi di separazione e di scioglimento del matrimonio (con riferimento a quest’ultimo tipo di procedura, la durata media, per fare un esempio, è stata indicata dal Tribunale di Cuneo in 122 giorni); in grado di appello detti procedimenti si concludono, mediamente, in un anno.

*******

Passando ora ad alcune considerazioni sul funzionamento in generale del settore civile, vanno segnalati i risultati positivi del Tribunale di Asti, ascrivibili anche alla nuova organizzazione in sezioni a competenza separata nel settore civile e penale.

Quanto al Tribunale di Torino, il Presidente del Tribunale ha trasmesso un prospetto (integralmente riprodotto nel testo scritto della relazione), dal quale si evince un buon andamento delle cause contenziose, dove l’arretrato è in costante (e sensibile) diminuzione, semestre dopo semestre. Infatti le 39.135 cause civili contenziose dell’inizio del 2001 sono diventate 29.622 al giugno 2003, dopo 30 mesi.
In cifra assoluta l’ “erosione dell’arretrato” è stata di 9.513 cause, con un tasso di decremento del 24,3% in 30 mesi, che è pari al 9,72% all’anno.

Prosegue, nel contempo, l’attuazione del c.d. “Programma Strasburgo”, del quale si è ampiamente riferito nella relazione dello scorso anno. Dalla sintesi dei risultati raggiunti emerge che le cause civili ultratriennali sono state drasticamente ridimensionate, con una decisa inversione di tendenza rispetto al recente passato (quando tendevano, invece, ad aumentare, anno per anno).
E’ pertanto pienamente legittima la soddisfazione manifestata dal Presidente del Tribunale di Torino per questi risultati, indice di un impegno e di una condivisione degli obiettivi non solo da parte dei giudici ma anche del personale di cancelleria.
Da segnalare, infine, che secondo i calcoli dell’Ufficio di Presidenza la durata media dei processi civili avanti al Tribunale di Torino, attualmente, è di 354 giorni.

4 – IL GIUDICE DI PACE

L’ufficio di Torino consta di 119 giudici onorari e 70 dipendenti amministrativi.

Per il settore penale si segnala: le maggiori tipologie di reato riscontrate sono guida in stato di ebbrezza, ingiurie, percosse, minaccia; - sono state emesse (nel periodo considerato) n. 867 sentenze penali, di cui 33 impugnate (con una percentuale pari al 3,6%); - i tempi di definizione dei processi penali sono stati di 82 giorni, in media.

Quanto al settore civile: il flusso delle opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni della P.A. è aumentato di oltre il 20%;- le sentenze civili pronunciate sono state 10.287, di cui il 23% secondo equità;- le impugnazioni sono state n. 166 con appello in Tribunale e n. 20 con ricorso in Cassazione (complessivamente n. 186, pari all’1,8% delle sentenze emesse);- limitatamente agli appelli, le riforme (totali o parziali) del giudice di secondo grado hanno interessato il 60% dei casi;- limitatamente ai ricorsi per Cassazione, la percentuale dei provvedimenti di rigetto è stata del 67%;- la durata media delle cause civili è stata di 60 giorni.

5. LA GIUSTIZIA MINORILE

Secondo il Presidente del Tribunale, la preoccupazione in ordine al futuro dei Tribunali per i minorenni, già segnalata in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2003, continua a permanere, nonostante le note vicende parlamentari dei relativi progetti.
In tema di criminalità minorile, il Procuratore della Repubblica osserva che nel periodo considerato essa non è sostanzialmente aumentata e, anzi, il numero dei fascicoli penali iscritti nel 2003 sarà sicuramente, a fine anno, inferiore rispetto a quello del 2002. Neppure la qualità dei reati è stata tale da destare un maggiore allarme.
Va però seriamente considerato il diffuso disagio di molti ragazzi, di cui è segnale anche la perdurante ricerca delle nuove droghe, come l’ecstasy, e la diffusione, anche all’interno di varie scuole, del consumo dell’hascisc.
Importante è l’educazione dei giovani, nelle scuole e nei luoghi di socializzazione, alla legalità, che comprenda anche un loro orientamento a evitare il consumo di droghe leggere e pesanti. Occorre, soprattutto, proseguire (perché si sono rivelate la strada giusta anche per realizzare una città più sicura) le politiche sociali di sostegno alla famiglia e ai minori. Per contro, si registrano già i danni derivanti dalla contrazione degli investimenti di spesa nel settore sociale.
Un impegno forte è costituito dai minori stranieri, per i quali vengono adottate misure di protezione quando vivono in condizioni di pregiudizio in famiglia oppure non hanno in Italia i genitori che si occupano di loro: in questo caso viene aperta di solito una tutela.
Quanto al profilo penale, i reati commessi da ragazzi extracomunitari sono stati numerosi (ben 3667), ma di questi quasi un terzo (1110) sono violazioni dell’art. 6 comma 3 legge n. 110/1975 Turco-Napolitano che prevede come reato il fatto dello straniero che, richiesto dalle forze di polizia, non esibisce i documenti di identità o il permesso di soggiorno: e molte volte i ragazzi stranieri non si rendono conto che la legge li obbliga, a differenza dei loro coetanei italiani, a portare ed esibire questi documenti.
Ci sono anche dei ragazzi di strada, soprattutto marocchini e rumeni, quasi sempre senza famiglia in Italia o privi di una famiglia, i quali dormono con altri connazionali in fabbriche abbandonate o in case fatiscenti occupate e che commettono dei piccoli reati come mezzo di sopravvivenza.
Quanto alla criminalità grave, ci sono zone della città di Torino più difficili, dove si creano “scuole” di illecito (furtarelli, piccoli spacci, piccole rapine) spesso “dirette” da adulti. Costoro pongono - alla Procura della Repubblica per i minorenni - un problema di competenza rispetto alla possibilità di approfondimenti investigativi, mentre non è possibile l’invio di segnalazioni alla Procura ordinaria quando gli elementi siano ancora troppo deboli.
Si segnala un’importante indagine, condotta dalla Procura ordinaria di Torino, conclusa con la denuncia di cittadini rumeni che “importavano” e “trattenevano” dei bambini e dei ragazzi che commettevano furti con destrezza nel centro di Torino ma si erano insediati anche in altre città, come Alba.
I ragazzi che più spesso sono coinvolti in attività criminose sono soprattutto nordafricani (prevalentemente provenienti dal Marocco) e dell’Europa orientale (prevalentemente rumeni, in quota molto più piccola albanesi, alcuni moldavi), provenienze che segnalano un legame fra condizioni di povertà socio-familiare e devianza. E’ da questi paesi che provengono per lo più i minori clandestini non accompagnati che giungono in Italia alla ricerca di fortuna o, in qualche caso, di più facile sopravvivenza.
La Procura della Repubblica per i minorenni si sta muovendo per la creazione di un sito informatico, che offra agli avvocati, ai servizi e alla popolazione di tutto il Piemonte e la Valle d’Aosta le informazioni utili per un più agevole accesso alla giustizia.

Per parte sua, Il Presidente del Tribunale minorile osserva come persista ancora il c.d. doppio binario (sostanziale diversità dell’iter processuale e dell’esito del processo a seconda che l’imputato sia italiano o straniero) di cui si è ampiamente riferito l’anno scorso.
Per quanto riguarda l’apertura di una comunità sperimentale a controllo rafforzato, aspramente criticata dagli organi di stampa, va detto che si tratta di un’ esperienza ancora troppo recente perché si possa farne un giusto bilancio. E’ importante, comunque, segnalare il protocollo di intesa siglato dal Comune di Torino, dal Regno del Marocco e dalla Repubblica di Romania, che consente una rapida identificazione dei minori stranieri, punto di partenza sia per un rimpatrio assistito che per un progetto di risocializzazione.
E’ doveroso, secondo il Presidente, ricordare che il Ministero della Giustizia ha ridotto i fondi necessari al pagamento delle rette di comunità per i minori sottoposti alla misura cautelare del collocamento in comunità, per cui il Centro per la Giustizia minorile di Torino, erogatore dei fondi, ha invitato tutti i magistrati a fare un uso parsimonioso della suddetta misura. Le negative ripercussioni di questa situazione sono evidenziate nel testo scritto della relazione.
Sono diminuiti i reati dei ROM: verosimilmente la diminuzione è la positiva conseguenza di una maggiore attenzione da parte della Procura ordinaria verso gli adulti che sfruttano i minorenni.
Si è riscontrata una flessione degli arresti e dei fermi.
Anche il fenomeno delle minorenni straniere provenienti dai paesi dell’Est indotte alla prostituzione, secondo l’osservatorio del Tribunale per i Minorenni, appare in calo. Ma è da rilevare che sono segnalate solo le ragazze che chiedono alle Forze dell’ordine o al Volontariato di essere aiutate a cambiare vita.

6– MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA E CARCERI

Per il Tribunale di Sorveglianza di Torino il carico di lavoro si è conservato elevatissimo. Complessivamente sono stati iscritti n.10.438 procedimenti (la diminuzione rispetto all’anno precedente si spiega col fatto che non sono stati computati i procedimenti per liberazione anticipata, ora di competenza del Magistrato di sorveglianza). Se ne sono definiti n.8.358 (collegialmente). Sono state decise con decreto presidenziale di inammissibilità n. 512 istanze.
Lunghi i tempi di definizione dei procedimenti instaurati a seguito di istanze di misure alternative formulate da persone che si trovano in stato di libertà, perché – nell’impossibilità, dovuta all’ineguatezza dell’organico di magistrati e del personale di cancelleria, di fare fronte tempestivamente a tutte le istanze – se ne sacrifica inevitabilmente la data di trattazione a favore dei procedimenti relativi a soggetti detenuti.
Sono in aumento le istanze proposte da soggetti tossicodipendenti o alcoldipendenti. Molto elevato rimane il numero di reclami avverso i decreti ministeriali impositivi del regime di cui all’art. 41 bis O.P.
In forte aumento le istanze di affidamento in prova al servizio sociale formulate dallo stato di libertà. In aumento anche le istanze di detenzione domiciliare. Ancora in aumento il numero di procedimenti instaurati per misure alternative (345 revocate nell’anno in esame).
Considerevolmente contenuto, ed altresì in calo, è il numero di istanze di rinvio dell’esecuzione della pena per ragioni di salute. La detenzione domiciliare, complessivamente, si presenta come istituto in netta espansione (579 det. dom. concesse contro 476 respinte).
Estremamente positiva la presenza nell’ambito del Distretto di numerose realtà territoriali che si attivano in vario modo per offrire ai soggetti in espiazione di pena concrete possibilità di reinserimento sociale.

Per quanto riguarda le principali innovazioni legislative, tra le meno recenti il Presidente segnala:
· la depenalizzazione introdotta con D.L.vo 30.12.99 n. 507 (mentre ha avuto scarsa rilevanza per il Tribunale di sorveglianza) ha invece avuto notevole e positiva incidenza sull’attività del Magistrato di sorveglianza, soprattutto a Torino, perché ha ridotto drasticamente il numero di richieste di conversione provenienti dalla Procure;
· il nuovo regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario ha realizzato uno spostamento di competenze oltremodo opportuno, che ha sgravato il Tribunale di una serie di decisioni che possono essere adottate in modo più rapido ed efficace direttamente dal Magistrato di sorveglianza che segue l’esecuzione della misura alternativa.

Quanto alle innovazioni legislative più recenti, Il Presidente menziona: la riforma dell’istituto della liberazione anticipata;- le modifiche degli artt. 4 bis e 41 bis OP;- la previsione di una nuova forma di espulsione per i detenuti extracomunitari condannati.

Obiettivi di tali riforme erano anche, senza dubbio: “deflazionare” il sovraccarico di procedimenti che rallentano l’attività del Tribunale di sorveglianza;- contribuire ad alleviare l’affollamento carcerario;- contenere la continua espansione del numero di persone sottoposte ad esecuzione extramuraria. Nel complesso i menzionati risultati non sono stati raggiunti, per una serie di motivi diversi.

Per quanto concerne il 41 bis, vanno segnalate ( oltre alle polemiche di questi ultimi giorni) le notevoli difficoltà a garantire il contraddittorio, per la contemporanea impossibilità di attuare o la traduzione degli interessati o la videoconferenza: non vi sono, nell’aula del Tribunale di sorveglianza, le necessarie attrezzature…
Per quanto concerne l'espulsione del condannato extracomunitario, la previsione di un ambiguo presupposto (la compiuta identificazione, che come tale può essere ritenuta esorbitante rispetto alla "sicura attribuzione dei fatti reato" e all'accertamento della nazionalità, estendendosi fino alle "esatte generalità") ha notevolmente limitato l'applicazione dell'istituto.

Quanto alla situazione delle carceri nel Distretto, va detto che numerosi istituti presentano gravi vacanze nell'organico di Polizia penitenziaria e di personale amministrativo e molti sono dotati di un organico di educatori assolutamente inadeguato.
Il considerevole numero di detenuti presenti (circa il 9% dei ristretti in tutta Italia) rende per un verso notevolmente impegnativa la funzione di sorveglianza, vigilanza e controllo, e per altro verso particolarmente elevata la richiesta di trattamento intramurario (primo passo nella rieducazione del condannato).
Si registrano notevoli difficoltà nella gestione dei servizi interni, sia nell'area educativa che in quella di custodia, nonostante il positivo adoperarsi del personale tutto.
Il generale buon livello delle strutture sanitarie di cui sono dotati gli istituti penitenziari del Distretto consente un'adeguata gestione intramuraria anche di detenuti versanti in condizioni di salute di una certa gravità.
Quanto ai Centri di servizio sociale per adulti (CSSA), l’imponente mole di lavoro positivamente svolta lascia pur sempre “scoperta” una nutrita serie di attività, a causa della sterminata dimensione delle competenze proprie di tale servizio.

6– EDILIZIA E SICUREZZA

In Torino, lamentano giustamente la loro collocazione fuori del palagiustizia “Bruno Caccia” i magistrati del Tribunale di sorveglianza ed i Giudici di pace. Non hanno trovato collocazione in tale Palazzo, inoltre, alcune strutture della Procura della Repubblica ( sale per intercettazioni), della Corte d’appello (Ufficiali giudiziari) e dell’Ordine degli Avvocati (biblioteca). L’esigenza di provvedere al riguardo è stata risolta avviando ( ormai operativamente, grazie alla disponibilità e collaborazione del Ministero della Giustizia, del DAP e del Comune di Torino) la ristrutturazione delle ex carceri di c.so Vittorio Emanuele ( c.d. carceri “Nuove”). In questo modo sarà realizzata una “cittadella giudiziaria”, concentrando praticamente nello stesso posto tutti gli uffici giudiziari della città. Va detto che non potrà essere ristrutturata con destinazione giudiziaria (per mancanza di fondi) una parte delle “Nuove”. Sarebbe invece sommamente auspicabile che tutto il complesso avesse la stessa destinazione, e che a tal fine fossero reperiti i necessari fondi, oggi mancanti.

Persistono, in vari uffici del Distretto, problemi di sorveglianza e sicurezza, anche a causa della carenza di fondi e dei ritardi ministeriali nel rimborsare le spese anticipate dai Comuni. Va però dato atto alle Autorità competenti ( i Comuni in particolare) di Aosta, Alessandria e Cuneo di essersi attivate per ricercare soluzioni ai principali problemi.

Il Tribunale di Sorveglianza ed il Tribunale per i Minorenni di Torino han dovuto registrare situazioni di insicurezza che hanno comportato l’adozione di misure almeno relativamente più adeguate.

Sul piano dell’edilizia giudiziaria del Distretto, alla segnalazione - già fatta lo scorso anno - delle iniziative in Asti, può ora aggiungersi Acqui Terme, dove il Comune ha progettato (avendo ottenuto il relativo finanziamento) un nuovo palagiustizia, eseguendo nel frattempo consistenti ristrutturazioni nell’attuale sede.

6– DIFESA D’UFFICIO E PATROCINIO DEI NON ABBIENTI

Il Presidente della Corte di appello comunica che ormai massiccio è il numero di richieste di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e conseguentemente elevato quello delle richieste di liquidazione e decreto di pagamento delle relative parcelle difensive. A queste ultime si aggiungono quelle dei difensori d'ufficio di imputati irreperibili o insolventi; il che comporta un non trascurabile aggravio di lavoro.
Nella relazione scritta vengono denunziati alcuni effetti “perversi”, con indicazione dei possibili rimedi.

Dal Distretto provengono segnalazioni sostanzialmente concordi, secondo cui la nuova disciplina ha comportato l’apertura di un numero imponente di “pratiche”, con conseguenti gravi difficoltà per uffici già alle prese con deficienze strutturali di base, e con cospicui esborsi di denaro pubblico, che rischiano addirittura – secondo alcuni – di risultare alla lunga insopportabili per le casse dello Stato.

Degna di nota la sigla di un protocollo d’intesa fra Tribunale dei minori e Ordine degli Avvocati, in base al quale sono state approvate delle parcelle-tipo per le attività compiute dai difensori davanti al GIP, al GUP e al dibattimento. L’accordo ha consentito (essendo la difesa d’ufficio – comunque a carico anticipato dello Stato - quasi la regola ) di ridurre i tempi della liquidazione compensi agli avvocati, e nel contempo di ridurre il lavoro della cancelleria penale.

CONCLUSIONE

Circola da tempo (è ormai diventato una favola metropolitana) uno stereotipo, secondo cui i magistrati direbbero sempre di NO.
NO a tutto.
I magistrati si opporrebbero a qualunque mutamento. Si ostinerebbero a contrapporre – sempre - un muro invalicabile di NO alla generosa volontà riformatrice della politica.

Non è vero.

I magistrati sanno – per spirito critico ma anche autocritico - che nel mondo della giustizia italiana devono cambiare moltissime cose.
E sanno anche – i magistrati - che molte cose cambieranno comunque.
I magistrati i cambiamenti li vogliono, nell’interesse del servizio che devono rendere (ma che non riescono a prestare con la necessaria celerità ed efficienza). Li vogliono, quindi, nell’interesse dei cittadini.
Ma per essere davvero nell’interesse dei cittadini - di tutti i cittadini – occorre che le innovazioni siano tali.
Che siano innovazioni: non regressioni negative. Che siano innovazioni: non ritorni all’indietro presentati come riforme. Al riguardo, il pensiero praticamente unanime della magistratura associata è questo:

· Sarebbe un ritorno all’indietro la frammentazione della magistratura, attraverso la riesumazione di meccanismi di selezione e di carriera che la Costituzione (art. 107, 3° comma) esclude, nel volere che i giudici si distinguano solo per diversità di funzioni.
· Sarebbe un ritorno all’indietro la trasformazione dell’interpretazione in operazione meccanica di individuazione della volontà della legge ( in pratica dei “desiderata” della maggioranza politica contingente: non importa – va da sé – di quale colore).
· Sarebbe un ritorno all’indietro l’emarginazione del CSM realizzata sottraendogli – nei fatti – ogni potere reale nei settori più qualificanti.
· Sarebbe un ritorno all’indietro la separazione delle carriere fra magistrati requirenti e giudicanti, perché inesorabilmente destinata a configurare il PM come dipendente dal potere esecutivo (non importa – e ancora una volta va da sé – quale potere esecutivo;- perché non è questo problema di destra o di sinistra: è una questione di architettura costituzionale, che prescinde dalle maggioranze politiche contingenti).

Perché le innovazioni siano vere, e non si traducano in regressioni negative, i magistrati sanno che occorre una seria discussione.
Una discussione collettiva. Che si sviluppi sul terreno della ragione. Sul terreno degli interessi generali, non su quello degli interessi settoriali o particolari. Non sul terreno degli anatemi o dei regolamenti di conti.
Questa discussione, oltre alla magistratura, deve coinvolgere l’avvocatura, il mondo dell’università, la cultura giuridica e ogni articolazione della società civile interessata. Ciascuno orgoglioso della sua autonomia culturale. Ciascuno capace di far valere le ragioni della propria tecnica o esperienza. Ma al tempo stesso, con disponibilità ad operare insieme. Per fare – insieme - passi avanti sul terreno delle soluzioni possibili. Da proporre alla politica e ai cittadini.

Ma attenzione: il sistema giustizia non si identifica soltanto con l’apparato o con l’ordinamento giudiziario. Non si esaurisce su questi versanti.
Il suo segno distintivo è il catalogo dei diritti che lo ispira ( diritti di libertà e sociali, individuali e collettivi).
In altre parole, il sistema giustizia è un progetto di relazioni sociali e di tutele. Un modello di rapporti fra libertà e autorità. Un sistema di valori.
La stella polare di questo sistema – nella nostra Costituzione – è il primato dell’uguaglianza e dei diritti. A questo primato si sono ispirati quegli interventi legislativi e quelle politiche della giustizia che (avendo come obiettivo l’interesse generale, di tutti i cittadini) hanno cambiato – in positivo – il rapporto fra giustizia e cittadini e il ruolo dei magistrati.
Da circa un decennio, questa linea segna il passo. L’estensione del controllo di legalità anche ai poteri “forti” l’ha messa in crisi. Come metro di valutazione dell’intervento giudiziario, invece dei tradizionali parametri di correttezza e rigore, è stato imposto il criterio dell’utilità, in questo o in quell’altro senso. Con effetti culturali ( e non solo) rovinosi.
Recuperare il primato dell’uguaglianza e dei diritti. Questa è la sfida. Una sfida che interpella tutti gli uomini di buona volontà interessati a migliorare lo stato della giustizia. Con questi uomini di buona volontà i magistrati italiani saranno sempre – costituzionalmente – in perfetta sintonia.

Con questo auspicio, ringraziando tutti i presenti per la loro cortese attenzione, Le chiedo – signor Presidente – di voler dichiarare aperto l’anno giudiziario 2004 del Distretto della Corte d’appello di Torino.

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