8 MARZO 2009
Ancora una volta ci chiedono che senso ha questa ricorrenza. Nessuno fa la stessa domanda per il 1°maggio, chissà perché. Incroci sbagliati del pensare simbolico?
Comunque, rievocando la tradizionale risposta delle donne che sarebbe carino rovesciare il valore evocativo sugli altri 364 giorni, invitiamoci a raccogliere le forze perché, appunto, il resto dell'anno sarà più difficile a causa dei pesi che si scaricano sulle spalle femminili soprattutto nei tempi di crisi: per tutti, perfino per alcune di noi, le donne sono l'ammortizzatore sociale "naturale". Già da tempo ragazze giovani si licenziano rinunciando a un lavoro precario che serve spesso a pagare una badante per il nonno con l'Alzheimer, senza sapere che la frustrazione sarà così grande da mettere a repentaglio gli equilibri familiari. Anche questa è violenza, come è violenza riconoscere la parità senza "differenza": ai tempi di Anna Maria Mozzoni si pretendeva l'uguale pagamento delle tasse senza ritenere uguale il voto; oggi si chiede il comune pensionamento anche se la carriera femminile è stata danneggiata dai ritardi dovuti ai compiti familiari addossati a un solo genere.
Ma in questi mesi del 2009 tutti i media hanno messo in rilievo la violenza sessuale, con due operazioni di denuncia scorretta: è ritornata la "donna-vittima" da tutelare (con le ronde pronte alla difesa delle "nostre" donne) e si calca la mano sullo straniero, come se non si sapesse che il maggior numero di violenze - pedofilia compresa - si scatena all'interno della famiglia. Accade così che la violenza è diventata il paradosso di una "violenza sulla violenza". Eppure sono passati davvero molti decenni da quando Freud ha insegnato la connessione fra le pulsioni di vita e di morte e le violenze. Perfino le donne che sono impegnate nei movimenti nonviolenti sanno quanta sia la fatica di trasmettere la testimonianza di genere ai maschi, capaci di rifiutare la guerra ma indifferenti alla responsabilità di rispettare i "no" delle loro compagne.
Nella catena dell'evoluzione l'uomo mantiene legami tutt'altro che deboli con il rapporto predatorio sui corpi femminili e il diritto patriarcale di proprietà sulla famiglia: il controllo sulla libertà altrui, la mancanza di rispetto per la dignità femminile, il sesso espresso come sopraffazione genitale, la reazione violenta verso chi uno dice di amare non solo sono intollerabili in un regime di civiltà, ma sono un limite a nominare la pace. La pace per porre termine ai conflitti, la pace sociale, la pace familiare reclamano la nonviolenza totale, quella che nasce dal sopprimere l'ideologia dell' "amico/nemico" istintivamente radicata nei rapporti detti d'amore che possono uccidere nel corpo e, con lo stupro (ripeto: anche domestico e coniugale), nell'anima.