Caro Francesco…

… ragioniamo in termini di innovazione sostenibile
29 giugno 2009 - Giancarla Codrignani

Caro Francesco,
credo che non sia di grande beneficio politico né riandare alle grandi utopie (da continuare a praticare con la mente, ovvio, sapendo che non sono “ancora” realizzabili), né dire che “questo Paese non è riformabile”, espressione che consente la pigrizia di non ripensare almeno i metodi.
Meglio riandare alla storia. Nella mia regione “celebriamo” i 150 anni della fine del governo pontificio. Nel IX secolo la Francia aveva Carlo Magno. Per avere il “senso dello Stato” occorre sentire di avere uno stato. L’anomalia italiana è questa e spiega il debito colossale, la pervasività delle mafie, l’evasione fiscale.
Meglio guardare al concreto dell’oggi? Sì, a patto di rendersi conto della complessità della situazione: l’Europa ha ormai solo governi di centro-destra con crescita di nazionalismi e pensieri unici; la globalizzazione - che è una tendenza, di per sé non negativa, ineludibile fin da quando scomparve l’espressione “imperialismo delle multinazionali” – incalza perfino con spostamenti di popolazione incontrollabili (porre all’Occidente una giusta tassa per far decollare i paesi poveri sarebbe in “questo” contesto praticabile?).
Abbiamo difeso la Costituzione: lasciatemi dire che, andando continuamente in giro per interventi, il referendum del 2006 oggi sarebbe a rischio. Le difficoltà reali sono ben maggiori di quando ascoltavamo Dossetti.
Allora bisogna tenere i piedi per terra e ragionare in termini di innovazione sostenibile. I vecchi partiti – dico un paradosso – non sono caduti per “mani pulite” e la corruzione: sono caduti perché vecchi e superati. Da almeno trent’anni si discute sulla “forma partito” e non si è trovato nulla di meglio: le alternative sono forme populiste o frammentazioni di società civile autoreferenziali. Il “nuovo” va intanto avanti per conto suo e nessuno può ormai pensare di fare una campagna elettorale o d’opinione (come noi ora) se non ricorrendo alle nuove tecnologie; ma nessun genitore sta vicino al figlio impegnato sulla play-station per evitare che si abitui a uccidere virtualmente senza provare emozione. Tutti noi (intendo dire la minoranza configurabile nei lettori di “repubblica” o di “mosaico di pace” o di “arcoiris”, cioè la netta minoranza del Paese) rifiutiamo il “grande fratello” e perfino i tg, ma la stragrande maggioranza (mettiamo in discussione il principio base della democrazia “una testa un voto”?) viene plagiata o anestetizzata. Non si può non tener conto di fenomeni che stanno divenendo antropologici.
La sinistra non ha televisioni né mezzi per rendersi visibile ed è spesso arretrata nel rendere appetibili i suoi blog o le sue news. Una vera sinistra, d’altra parte lavora non sulla propaganda, ma sulle idee (per troppo tempo è stata – diciamo pure per fortuna – ideologica e organizzata a modo di chiesa), cosa difficile in regime di alienazione diffusa. Quindi necessariamente o resta fuori da logiche di governo (anche perché pensa che la sinistra non debba mai governare se gli sconfitti si dividono) o segue chi pensa che senza un’alleanza con Casini/Cuffaro si resta minoranza.
Se posso esprimere la mia opinione, credo che sia necessario rendersi conto del contesto culturale e politico del nostro tempo, internazionale e nazionale, e tentare di aprire al nuovo: innovando alla testa (il successo della Serracchiani è dovuto alla sua critica al PD), ma anche alla base. Prodi non aveva ricevuto nessuna bacchetta magica, ma è stato fatto fuori da chi non capiva che, di fatto, non si erano vinte le elezioni se avevamo maggioranza a rischio in Senato. In un Paese che per cinquant’anni – caso unico nella politologia occidentale – non ha mai avuto alternanza di governo (il che significa ipermoderato) Prodi era una scelta compatibile con i condizionamenti culturali italiani. Difficile sostituirlo, non perché non ci siano in giro persone adatte (basterebbe cercarle) ma perché sono invincibili le gerarchie di partito (elette “dalla base” perfino con le primarie) che non possono vincere, sia perché viviamo in un tempo di assenza di grandi statisti (speriamo in Obama, ma in Europa il massimo è la Merkel, una volta affondato - mi auguro di no, ma con questa crisi è probabile - Zapatero); sia perché la politica si è fatta complessa e non sarà facile se non si studia (cosa che non è praticata né in alto né in basso) uscire da una crisi storica che non favorisce la democrazia; sia perché la base è, ovunque, così depressa politicamente da non accorgersi che la storia sta dando un’accelerata potente e che tra pochi anni - sempre che non intervenga un qualche incidente ecologico o bellico - vivremo in società profondamente diverse.
Quindi, se abbiamo usato qualche volta con consapevolezza le parole “libertà”, “democrazia”, “giustizia sociale”, “diritti” e via enumerando e mettendoci anche, chi mai ce l’avesse, la fede cristiana, vedere come si paga la coerenza. Personalmente non sono mai stata iscritta a un partito, ma ho sempre lavorato con quello che più era vicino non tanto alle mie idee quanto alle politiche possibili. Mi dispiace che sia stato fatto fuori Veltroni che sapeva bene che sarà difficile vincere le prossime elezioni (forse per fortuna), ma che voleva azzerare molte cose superate e pensare qualcosa di nuovo, ovviamente in un certo numero di anni. A prescindere da quello che penso io, chiunque pensi al riscatto della politica deve pensare a lavorarci sodo, ovunque, sul territorio o producendo analisi e proposte, senza preclusioni aprioristiche, senza settarismi, moralismi e parecchi altri-ismi. Ai tempi di Moro e Berliguer non era molto diversa l’infelicità politica della sinistra desiderosa di onnipotenza: erano diversi loro, ma questo appare chiaro oggi, non a quei tempi.

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