21 settembre 2009
Il 21 settembre sarebbe il giorno che l'ONU dedica al disarmo. In Italia hanno ricevuto le onoranze funebri i sei militari uccisi in Afghanistan.
Della prima ricorrenza nessuno sa nulla e un pacifista che ha gridato "pace subito" (e neppure ha detto "ritiratevi") sembra - lo troviamo su you tube - essere stato trattenuto dall'assistenza come se fosse matto. Il lutto nazionale secondo la televisione ha emozionato la massa degli utenti con strumenti orientati a una compassione patriottica che turbava poco le coscienze.
Il mondo militare è cambiato, se è vero che nessuno nomina più la guerra senza aggiungere un aggettivo che la esorcizzi: anche i capi degli eserciti sanno che la guerra non ha più onore e che la sua realtà è solo quella della morte. Anche se preventiva o umanitaria la guerra uccide: non solo i nostri sei soldati, non solo le centinaia della Nato e degli Stati uniti, ma anche le tante migliaia di civili, che non possono accettare questa prevenzione e questa umanità.
Infatti, restiamo nella vecchia logica della risposta violenta: per estendere la democrazia dove ci sono dei confitti mandiamo in ritardo i soldati e non preventivamente i cooperanti e i maestri.
Le Nazioni unite non hanno potuto realizzare quella polizia internazionale capace di fare interposizione nei casi di gravi tensioni. Oggi autorizzano missioni che dovrebbero aprire le vie della pace e invece producono guai più gravi. In Afghanistan un minimo di prudenza avrebbe indotto a riflettere sulle sconfitte inferte da parte dei talebani agli inglesi nel secolo XIX e ai russi nel 1989.
Ma vale la pena di riflettere su questi funerali. Tutti amiamo il paese che chiamiamo patria come tutti i popoli chiamano patria la terra dove sono nati e dove non sempre riescono ad avere i diritti di cittadinanza. Ma dovremmo insegnare a noi stessi e alle nuove generazioni a costruire, in tutte le patrie, la vita e non la morte. La morte, che può entrare anche nella volontà di bene, non deve diventare esemplare e suggerire che è dovere ripetere le gesta dei padri e vendicare i morti della nostra parte. A quei funerali la televisione ha evidenziato da protagonisti dei bambini. E altri bambini e ragazzi hanno seguito i telegiornali, non senza sentirne qualche suggestione. I piccoli rimasti senza il babbo (che era evidente che capivano che cosa veramente accadeva nella loro vita) sono stati indotti a ripetere, mentre echeggiavano le grida cupe dei parà, comportamenti impropri per l'elaborazione di un lutto così difficile per loro: il berretto della Folgore non è adatto a un bambino. E tanto meno un'educazione che riproponga a noi tutti la morte come dovere. Non possiamo non ricordare, neppure nelle strette della dura necessità, il monito di papa Giovanni: "la guerra è roba da matti" (alienum a ratione).