Castel Volturno un anno dopo
Il 18 settembre scorso ricorreva il primo anniversario della strage dei sei immigrati uccisi a Castel Volturno e non s’è vista una riga di giornale a ricordarla. Soprattutto non c’è stata un’inchiesta giornalistica che abbia raccontato cosa è cambiato in quell’area un anno dopo, come vivono oggi i ghanesi e le comunità migranti, a che punto è il processo e la ricerca della verità...
E la riflessione amara va a un giornalismo distratto e immaturo che non è più capace di andare in profondità, di cercare le ragioni e di raccontarle, di comprendere per informare e far conoscere. All’indomani della strage anche qualche ministro in carica disse che si trattava di un regolamento dei conti all’interno della malavita e che gli uccisi fossero spacciatori. Dal racconto dei pentiti, oggi sappiamo che l’unica ragione era «sottomettere la comunità dei neri, ormai dovevano capire (...).
L'ordine di Giuseppe Setola era: "Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono le donne, anche le donne"». Lo racconta l'assassino pentito Oreste Spagnuolo. «Difatti per noi era indifferente colpire uno o l'altro. E ci eravamo attrezzati per ucciderne molti di più».
Alla cerimonia organizzata per ricordarli nel paese c’erano una cinquantina di persone insieme all’assessore regionale Corrado Gabriele, il vescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino, l’imam di San Marcellino, il sindaco di Castel Volturno, Francesco Nuzzo.