È l'ora dei bambini
Si sentivano, soprattutto, le loro tenere voci, questa sera, quando abbiamo iniziato l’iniziativa dell’ “ORA di silenzio”, in solidarietà con il “DIGIUNO per la Pace”, che si svolge a Vicenza (e a Trieste), almeno fino alla data del passaggio per la nostra città della “MARCIA mondiale per la Pace e la Nonviolenza”, l’8 novembre prossimo.
È quella l’ora in cui i bambini, accompagnati dai genitori, che son tornati dal lavoro, escono, prima di rincasare definitivamente per la pappa e la nanna.
Il sole, stasera, è ancora generoso, e ci regala una splendida luce che inonda, di traverso, la Piazza principale del nostro capoluogo, quella che porta memoria di antichi eventi e lotte e sofferenze della nostra gente, divenuta, tramite essi, libera e non più schiava, cittadina e non più suddita di qualcuno: i “Signori”, cui la piazza era stata dedicata, siamo noi, ora. Anzi lo sono tutti i cittadini, uguali per legge.
Qualche targa lo ricorda: “Nomi dei vicentini morti nelle guerre di indipendenza italiana”, leggo davanti a me, mentre, in silenzio, vado meditando, non senza lasciarmi interrogare da ciò che mi attornia e mi riconduce al mio impegno e alla mia, necessaria e personale, purificazione dalla violenza e dall’ingiustizia.
Non sono loro, oggi, quelli che si sacrificano per l’”indipendenza”? Non sono coloro che si battono ancora, senza demordere, “in un tempo in cui tutti gli strumenti legali per fermare la mostruosità di una nuova base militare americana sono stati ostacolati e bocciati; in un mondo strapieno di basi militari americane ed in una città occupata massicciamente da tale presenza militare”, come recitava il volantino di convocazione?
I bambini, si diceva. Li osservo avvicinarsi a noi, incuriositi, e, poi, sulle spalle dei papà, che fanno “cavalluccio”, con la sussultante andatura. Il mio sguardo, curioso, vaga nella Piazza, e scorge, proprio davanti ai miei occhi, sulla facciata principale della torre-campanile di piazza, altri bambini, scolpiti nella pietra. “Uno” sta sulle ginocchia di una donna, che qualcuno chiama Madonna, e si protende verso la Piazza, come ad andare incontro ai suoi abitanti e frequentatori. Ma ce n’è anche un altro - che non avevo mai notato prima – in rilievo, su di uno scudo araldico in pietra. È ritto, come a dire, nel simbolo, il motivo e lo scopo che danno senso a ciò che fanno (o dovrebbero fare) gli uomini: la vita degli uomini che nascono su questa terra e che vorrebbero abitarla con dignità.
Noi stiamo un’ora in silenzio (accompagnato, per alcuni, da una giornata di digiuno), i bambini, non distanti, parlano e giocano; mentre giunge alle orecchie il cicaleccio continuo e simpaticamente incomprensibile di due orientali, sedute sui gradini della Chiesa dedicata al patrono di questa città, san Vincenzo. Un po’ più lontano, ma anche lui ben udibile e con un vociare ininterrotto, un po’ meno simpatico, un predicatore (così mi sembra; è alle mie spalle, noi siamo fermi, in cerchio): chissà quali promesse di salvezza o destini di perdizione andrà annunciando a questi cittadini di Vicenza, che hanno svenduto la loro dignità e la loro libertà per una manciata di soldi e in un silenzio ben diverso dal nostro, il quale vorrebbe gridare, gridare con il nostro corpo ora muto: “è l’ora di cambiare (non di dimenticare la storia, o di “voltare pagina” smettendo al protesta contro il Dal Molin)!”, “è l’ora di tornare dentro di noi (e fra di noi, come uomini, senza razzismi o respingimenti di alcuno)!”, “ è l’ora dei bambini (di tutti i bambini del mondo) e del loro futuro!”.
Forse anche quel leone (“di San Marco”) che sta in alto sulla colonna di fondo della Piazza dei Signori, è stanco di vedere ciò che viene fatto alla sua (alla nostra) città, e non vuole più cantare “sul ponte sventola bandiera bianca”. Sì, “il pan ci manca”, ma è il pane dell’indipendenza, il pane della (vera) democrazia, il pane della libertà, il pane della gioia di vivere (e non solo di sopravvivere, di ingrassare e di morire sazi).
È per questo che anche stasera – come tante altre volte – siamo qui, in silenzio, ma non sconfitti, bensì a testa alta, a dire e a gridare, con le bandiere non bianche ma colorate, il nostro “NO!”: no al Dal Molin, no alla xenofobia, no alla morte per fame, no a ogni forma di violenza, e “SI!” alla pace e alla giustizia.
Vicenza, 24 settembre 2009