In memoria del padre dello Statuto dello Lavoratori

6 ottobre 2009 - Cristina Tajani*

Proprio mentre il mondo del lavoro subisce i contraccolpi di una recessione profonda e globale, la scomparsa di Gino Giugni, a ragione considerato - insieme a Giacomo Brodolini - il padre dello Statuto dei Lavoratori, appare come un monito di condotta per le donne e gli uomini che a diverso titolo - studiosi, commentatori, politici, operatori economici - quotidianamente si occupano delle questioni del lavoro.
Un monito a prendere sul serio il dettato costituzionale quando, nell'art. 1, pone il lavoro come fondamento della nostra Repubblica e quindi del nostro vivere sociale.
La legge 300 del 1970, meglio conosciuta come Statuto dei Lavoratori, è stata - ed è tuttora - uno degli strumenti attraverso i quali la nostra Costituzione ha trovato la sua migliore attuazione. La tutela contro il licenziamento ingiustificato (art. 18), la repressione dei comportamenti antisindacali (art. 28), la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori contenute nello Statuto sono norme di civiltà che, consolidando lotte e conquiste del movimento dei lavoratori, vanno a beneficio dell'intera società in cui si applicano. Ma dalla vita di Giugni, insieme uomo di pensiero e di azione, ci viene anche un monito a non considerare mai immutabile lo stato di cose presenti, né a considerare come un vincolo, ma come un valore sociale ed economico, la tutela del mondo del lavoro. La recessione globale che stiamo attraversando, infatti, mostra come non ci sia crescita economica stabile e duratura che non poggi su un'equa distribuzione della ricchezza prodotta e su condizioni di lavoro stabili e dignitose.

Note

* Camera del Lavoro Metropolitana (Milano); Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare (Università Statale di Milano)

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