Nel campo profughi di Aida

12 ottobre 2009 - Tonio Dell'Olio

Più di 400 i partecipanti a Time of responsabilities, l’iniziativa della Tavola della pace in Palestina-Isarele. Nella prima giornata ci siamo suddivisi in gruppi per andare a incontrare, ascoltare, vedere. La vergogna del muro che stringe d’assedio e rende invivibile anche la vita di Betlemme, il campo profughi di Aida (lo stesso visitato dal Papa qualche mese fa), tante famiglie che ci ospitano per il pranzo.
Le famiglie del campo profughi, come una reliquia, conservano devotamente la chiave della casa che hanno dovuto abbandonare nel 48 per far spazio agli israeliani. Molte di quelle case non esistono più ma loro stringono quella chiave come segno di un passato lontano e di un diritto violato. Di un futuro al quale nessuno deve sottrarsi: il tempo delle responsabilità, appunto. AbdelFattah, direttore del centro culturale del campo, ci dice in faccia senza mezzi termini: “Il silenzio della comunità internazionale è una vera e propria complicità che spinge a volte alla violenza. La vera sfida è restare umani in queste condizioni disumane”. Ma non possono permettersi il lusso della disperazione. “Temiamo il giorno – continua AbdelFattah - in cui i nostri figli ci chiederanno: “Cosa avete fatto per noi?”.
Quella stessa domanda è rivolta a ciascuno di noi e per questo siamo nel “tempo delle responsabilità”.

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