Nakba
Nakba è la parola araba che in italiano si traduce catastrofe. Viene utilizzata dai palestinesi per definire gli eventi del 1948 in cui furono sfollati dalla terra che fino a quel momento avevano occupato. Definisce anche la tragedia che si è prodotta fino ai nostri giorni. Forse i numeri dicono con maggiore chiarezza il disastro umanitario nel quale si trovano i palestinesi che vivono in 58 campi profughi dentro i territori occupati e in giro per il Medio Oriente. Erroneamente ieri ho valutato i 500 milioni di euro che l'EU spende ogni anno come 1 miliardo di vecchie lire e invece si tratta di 1000 miliardi. L'UNRWA, l'agenzia delle Nazioni Unite che fornisce i servizi di base nei campi profughi, ospita 500 mila bambini nelle scuole. Di questi, 200 mila sono “concentrati” nella sola Striscia di Gaza. Per svolgere tutti i compiti assegnatigli dalla comunità internazionale l'UNRWA si serve di 30 mila persone. Circa 10 mila a Gaza. Se per i palestinesi è nakba, per il resto del mondo si chiama fallimento. L’unica speranza è negli occhi di quei bambini. Possano avere il coraggio di vincere l’idea di nemico per costruire un altro domani.