Le generazioni del non lavoro
Il “posto fisso” è questione che riguarda le politiche del lavoro che soltanto i sindacati, le forze imprenditoriali e il governo possono trattare con competenza e qualche possibilità di soluzione. In questa rubrica mi preme mettere in luce non tanto i danni che produce la precarietà in termini di sfruttamento del lavoro, di retribuzioni risibili, di pensioni-miraggio, di riduzioni in schiavitù..., quanto i gravi danni (a volte irreparabili) della flessibilità spinta, dell’inoccupazione e del lavoricchio.
Intere generazioni si misurano quotidianamente con spinte di passione e di entusiasmo spente sugli scogli del "mi dispiace" dopo l’ennesimo colloquio, con il senso di inutilità, con le fragilità della propria personalità gettata nel mare degli squali della competizione. Sono graffi nell'anima e non soltanto soldi non guadagnati. È dramma quotidiano di chi si sente pietra di scarto. È l'invio di un curriculum dopo l’altro senza ricevere nemmeno la ricevuta di ritorno. È l'impossibilità di costruire un futuro. Sì, soprattutto è questo sguardo interrotto sul proprio futuro che fa vivere come sospesi. Incapaci di progetto.
Un appello a tutti quelli che contano: non illudete i giovani con false promesse. Ponete piuttosto la questione seriamente al primo posto delle urgenze nazionali perché il lavoro fornisce il sale alla vita e troppo spesso la vita di tanti giovani resta senza sapore. Col rischio di buttare via la minestra.