Il muro di Berlino e gli altri muri
Lasciate che una volta tanto scriva di un argomento di cui oggi riferiscono tutti i giornali: il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino.
Se oltre a celebrare giustamente il passato riuscissimo a riflettere sull’oggi, dovremmo pensare anche ai muri che resistono e si consolidano.
Il muro che si erge maestoso e minaccioso tra Messico e Stati Uniti a impedire che i disperati della parte povera dell’America possano sedersi alla stessa tavola ricca degli americani del Nord.
Il muro di mare in cui abbiamo ridotto il Mediterraneo che prima cuciva come ago e filo i popoli che vi si affacciano e che ora respinge al mittente ogni questua di dignità.
Il muro di Israele, monumento rassegnato di fronte alla scommessa che i conflitti prima o poi finiscono, totem di cemento armato e di elettronica avanzata, agnello d’oro innalzato a idoli che “hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni: sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (Salmo 113).
Perché i muri sono gli scogli su cui si infrangono le speranze dei popoli.
Sono le dighe che impediscono alle folle di incontrarsi per scoprire che si può essere amici e non v’è malocchio o condanna all’odio perenne.
Sono prigioni a cui si condanna anche chi le costruisce.