Augurio di Avvento 2009
Cari amici,
vi ho scritto diverse volte e molte cose, ultimamente, ma tengo fede a questo impegno di inviarvi qualche riflessione in occasione di alcune scadenze significative dell'anno: come quella che ora si avvicina, ossia, per i cristiani, l'Avvento.
Penso che nel nostro affaccendarci abbiamo bisogno di momenti di sosta, e guai se non ce li prendiamo! Per pensare e discernere, per ringraziare e per ritrovare quell'equilibro che ci permetta di diffondere un po' di serenità e di pace. Quanto ce n'è bisogno! Occorre che giustifichi questo mio dire?
E, d'altronde, non potrebbe essere questo il contributo più originale (e necessario...) che possiamo/dobbiamo portare (anche fra le persone e i movimenti “impegnati”...)?
L'Avvento è, per i cristiani, “tempo di attesa”.
Ecco, a tal proposito, le parole di una donna di cui sto rileggendo diverse cose e che adotto come traccia di questo Augurio: “I beni più preziosi non devono essere cercati, ma attesi” (Simone Weil). Nietszche diceva più o meno la stessa cosa allorché affermava che quando aveva smesso di cercare aveva “trovato”. Questo pensiero ha un'antica tradizione (e verità). In fin dei conti - soprattutto quando si va avanti con l'età, o, meglio, con la maturità umana e spirituale - ci si rende conto che “tutto è donato”: “Tutto è grazia”(cioè dono), concludeva quel tale.
Ma proprio perché è dono, diventa anche responsabilità, messa nelle nostre mani. Il “venire” della salvezza - comunque la si voglia intendere - ci impegna nella “con-versione”, nel cambiamento di rotta. Scriveva un poeta che in molti amiamo, Rainer Maria Rilke: “Il futuro entra in noi allo scopo di trasformarsi in noi molto prima che esso avvenga”. Bellissimo. Ciò non è molto distante dalla nota esortazione di Gandhi: “ Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo” ? C'è una imprescindibile dimensione personale-individuale della conversione.
Ma vi è pure una chiamata comunitaria-sociale. Tra l'altro, io non conosco “salvezza” individuale: mano a mano che vado avanti nella vita, mi sento sempre meno “individuo” separato e sempre più legato a qualcuno o qualcosa. Nella salvezza e nella perdita. È la mia sensazione, non so la vostra. E, a pensarci bene, ciò è paradossale, o, meglio, in controtendenza, come si dice oggi: poiché tutto concorre ad isolarci, a separarci, a distinguerci (e, spesso, a contrapporci) gli uni gli altri.
A proposito della situazione del nostro paese - altrove, in alcuni casi, la situazione, per fortuna, è ben diversa - mi ha fatto pensare, fatte le debite proporzioni, ciò che ho letto qualche tempo fa:
"Siamo tornati ad essere dei Gesuiti, senza la loro mirabile dottrina, dei Domenicani, senza le loro acutissime lettere; e corriamo, come ai bei giorni di Filippo il Bello, contro i Templari di questo momento, incontro al Tempio massonico; dove dicesi, si distribuisce la cuccagna, desiderando che questa si trasporti, coi relativi ministeri sabaudini, di nuovo nelle Sacrestie." (Gian Pietro Lucini, Antimilitarismo, 1913).
I tempi del Concilio e del post-Concilio, anche nella nostra Diocesi, sembrano, infatti, lontani. La “cuccagna” è finita, è vero. Ma è proprio adesso che ciascuno (ciascuna persona e ciascun gruppo organizzato, quindi anche la Chiesa) corre la tentazione di voler salvarsi da solo. Per fortuna che c'è qualcosa che “resiste”, che non si lascia omologare nei nuovi stili di “autoconservazione”, qualcosa (qualcuno) che vive ancora in atteggiamento di “attesa” e di “dono”, più che in quello della “ricerca” (di spazi e visibilità) e di “conquista” (di potere e di influenza).
Abbiamo, sì, bisogno di un vero atteggiamento di “attesa” (“ad-tendere”): “Devi imparare a sederti sul silenzio - gli diceva lei esortandolo con l'indulgenza di una buona maestra - Non aspettarti niente, ma sii pronto a tutto” (Mario Martinelli, Il Granduca, La Grafica, p. 133).
Perciò vi AUGURO Buon Avvento, come occasione e grazia per una liberazione dal “pre-tendere” e per lasciarci visitare dal “veniente”, in qualsiasi forma esso si presenti. E di farlo insieme. Dietro “la piccola porta”, diceva Walter Benjamin, può sempre apparire il Messia.
Il vostro, Maurizio